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Recensione | Greyhound: il nemico invisibile

Leggi la recensione di "Greyhound: Il nemico invisibile", il nuovo film scritto e interpretato da Tom Hanks. Basato su un romanzo del 1955, il film segue un capitano della Marina Miltare Americana che deve guidare uomini e navi attraverso il pericoloso Oceano Atlantico infestato dai sottomarini U-Boot tedeschi.

Basato su un romanzo del 1955, il film segue un capitano della Marina Miltare Americana che deve guidare uomini e navi attraverso il pericoloso Oceano Atlantico infestato dai sottomarini U-Boot tedeschi.

“Signore, fa’ che il tuo Santo Angelo sia con me, e che il nemico malvagio non abbia potere su di me. Amen.”
—Ernest Krause, Greyhound: il nemico invisibile

Se durante questi tempi di pandemia siete alla ricerca di una storia di coraggio militare sotto il fuoco nemico, condita da orgoglioso patriottismo vecchio stile, Greyhound: il nemico invisibile (disponibile su Apple + a partire dal 10 luglio) dovrebbe appagare il vostro appetito.

Siamo nel Nord dell’Atlantico, Febbraio 1942, con Tom Hanks che interpreta il ruolo del capitano Ernest Krause, un ufficiale di carriera della marina militare americana alla sua prima missione da comandante. La sua nave è l’USS Keeling, un cacciatorpediniere di classe Fletcher con il nome in codice Greyhound. La missione di Krause è scortare e proteggere dai costanti attacchi degli U-Boot tedeschi un convoglio alleato di 37 navi, trasportanti truppe e rifornimenti, diretto a Liverpool. Ciò richiede l’attraversamento del notoriamente pericoloso “Black Pit”, un tratto di oceano così remoto che non può essere protetto dalla copertura aerea per questi due giorni di viaggio.  Per raggiungere lo scopo Krause ha esattamente quattro navi a disposizione. Questo tenso dramma in alto mare copre quelle 50 ore disperate.

Il film, diretto da Aaron Schneider, è un adattamento di The Good Shepherd [Il buon pastore], un romanzo del 1955 di C.S. Forester, un popolare scrittore di avventure navali (il ciclo del Capitano Horatio Hornblower e La Regina d’Africa sono tra le sue creazioni più celebri). Il romanzo di Forester è un resoconto non solo dell’azione ma degli stati interni mutevoli di Krause mentre la tensione e le vittime aumentano.

Interpretato con la sobria solidità che ormai ci si aspetta da Hanks, Krause è un tranquillo uomo di fede i cui valori come responsabilità, dovere e coscienza sono evidenti sin dalle prime sequenze. In un hotel, poco prima della sua spedizione, Krause incontra la sua amata Evelyn (una sottoutilizzata Elizabeth Shue). Lei gli regala delle pantofole con monogramma, ma rifiuta la sua offerta di matrimonio: “Lo vorrei tanto, ma non possiamo. Il mondo è impazzito, Ernie. Aspettiamo di poter stare insieme.” La delusione sul volto di Krause è visibile solo per un breve istante, siamo di fronte ad un uomo che sa lasciarsi una difficoltà alle spalle e guardare avanti: “Sappi che ti cercherò sempre, Evie. Dovunque mi troverò. Anche a mille miglia da te, spererò sempre di vederti sbucare dietro l’angolo.”

Durante la missione e attraverso le difficoltà incontrate Hanks è in grado di identificarci con le tensioni, i dubbi e la solitudine del personaggio, questa volta un uomo al comando di molti uomini. Krause, nonostante tutta la sua severità, ha i suoi momenti di dubbio e paura. Come molti uomini in cui il potere del comando è forte, a volte può ancora invidiare coloro che devono solo obbedire, anche fino alla morte. È profondamente consapevole del luogo in cui la ragione finisce e il fattore umano prevale.

Quando, nei primi giorni della navigata, è chiamato a dover giudicare quali provvedimenti prendere nei confronti di due giovani marinai che si sono presi a pugni, Krause diventa il buon pastore del suo gregge/padre-protettore che accomiata i due uomini con un “risanate le relazioni che avete danneggiato e inondatemi di pace. Ripetetevi e l’inferno si abbatterà su di voi,” che lascia gli astanti sorpresi e confusi.

Anche nell’euforia generale scatenata dall’affondamento del primo sommergibile nemico la sua coscienza gli ricorda amaramente che anche il nemico è una creatura degna di rispetto:

[Lt. Nystrom] Congratulazioni, Comandante. Il nostro primo U-Boot. Congratulazioni, signore. Cinquanta crucchi in meno.
[Captain Krause] Sì. Cinquanta anime.

Sono comunque brevi momenti di riflessione in un film in cui l’azione ha la precedenza. La storia qui, come nel romanzo, è quella di Krause: l’azione ruota attorno a lui e all’esterno da lui. Nessun altro personaggio tranne Krause ha più di una dimensione. Il resto sono voci su citofoni, brevi barlumi come quelli emessi dai proiettili. È una storia di tensione, non di dimensione, e così era intesa. Il racconto si concentra sulla sua responsabilità di comando mentre combatte il freddo, la notte implacabile, il mare brutale e la sua profonda stanchezza mentre insegue i sottomarini attaccanti nel gioco mortale del gatto col topo.

Mentre i sottomarini tedeschi iniziano a smantellare le sue navi—le scene eccitanti del fuoco di mortaio e dei siluri sono ostacolate da un CGI grossolanamente evidente—Krause sente il peso della sua inesperienza. Alla radio, la voce di un ufficiale tedesco (Thomas Kretschmann) emette minacce:

“Greyhound. Greyhound, Greyhound. Qui parla Lupo Grigio. Diamo la caccia a voi e ai vostri amici Eagle, Dicky e Harry. Guardiamo le vostre navi affondare. Sentiamo le urla dei vostri compagni che muoiono. Quanti ancora ne moriranno, prima di voi? Il Lupo Grigio ha molta fame. Le vostre mogli sapranno che siete morti e piangeranno a lungo prima di finire in braccio ai loro amanti.”

“Guten Morgen, Greyhound. Pensavate di essere sfuggiti al Lupo Grigio? Non è così, e non lo sarà mai. Il mare agevola la caccia del Lupo Grigio, non la fuga del levriero. Voi e i vostri compagni morirete, oggi”.

La storia ritrae così profondamente gli elementi del comando durante la battaglia che il libro fu a lungo usato come testo presso la US Naval Academy.

Non aspettatevi dunque di passare del tempo sotto i ponti esplorando i soliti personaggi stereotipati. Questo film è visto attraverso gli occhi del capitano e del solo capitano. Vengono in mente pochissimi altri film che osano rappresentare la solitudine del comando in modo così chiaro. C’è poco tempo per pensare, non c’è tempo per elaborare o persino per afferrare veramente gli orrori che si incontrano. L’unica cosa presente è la lotta per la sopravvivenza.

La lotta è implacabile e profondamente tecnica. Ci siamo abituati a scene di combattimenti con alcuni frammenti di incomprensibili tecnicismi seguiti da azioni viscerali e personalizzate. Quello che vediamo è ciò ci si aspetterebbe nel corso di una battaglia, inclusa la scena in cui Krause si taglia i piedi su vetri rotti. Il film, come la mente del capitano, è consumato dalle intricate richieste tecniche e personali richieste per dare la caccia a un sottomarino. Questo era chiaramente l’obiettivo qui, e il film è riuscito mirabilmente a mostrare quel particolare aspetto di questo tipo di guerra. Questo non è un modo comune per mettere in scena un film di guerra, ma vale la pena farlo bene in alcune occasioni e questo film raggiunge il suo obiettivo.

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