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Bergman 100: La vita, i segreti, il genio (2018)

Un documentario sulle luci e le ombre di uno dei più grandi registi di teatro e cinema

Questo è Ingmar Bergman… un regista di 38 anni.

È il 1957 e Bergman soffre di terribili dolori di stomaco.

Quando non riesce a dormire, scrive.

A gennaio di quell’anno scrive questo al suo amico medico, Sture Helander:

“Non riesco mai a dormire oltre le quattro e mezzo del mattino. È l’ora in cui il mio stomaco inizia a rivoltarsi, e in cui la mia ansia è tale da alimentare una fiamma ossidrica. Non so cosa mi succeda, ma è qualcosa impossibile da descrivere. Forse ho paura di non essere abbastanza bravo.”

A causa di aspettative incredibilmente alte e di pretese sempre più esagerate, non solo qui in Svezia, ma in generale in tutto il mondo, si è sottoposti a una grandissima pressione.

Quindi, è importante cercare… di non fare caso a tutte queste aspettative.

Ingmar Bergman, Ernst Ingmar Bergman, è preda di un’ansia costante e persistente.

Il 1957, è un anno decisivo per lui.

In quel periodo, soffre di una terribile ulcera gastrica, ma non ha tempo per curarsi perché deve iniziare sei diverse produzioni.

Pensando… all’enorme sforzo produttivo fatto da Bergman nel 1957, continuo a chiedermi: “Come ha fatto?”

È il mese di gennaio del 1957, e dopo poche settimane, uscirà questo film, ‘Il settimo sigillo’.

Bergman lo ha girato l’estate precedente.

Sono tredici anni che dirige film, e questa è la prima volta in cui ha totalmente carta bianca.

Tu chi sei?

Io sono la morte.

E quella carretta lì al cancello è tua?

Sì, è la mia macchina…

Un pezzo da museo.

Questo film si intitolerà: ‘Il posto delle fragole’.

Nel gennaio del 1957,

Bergman non lo ha ancora pensato, né tantomeno girato.

Ma, prima della fine dell’anno, anche questo film uscirà in sala.

Come ciò sia stato possibile va oltre la nostra comprensione.

È impossibile capire come abbia potuto affrontare… un carico di lavoro così grande.

In questo stesso anno, Bergman gira un film per la televisione, un lungometraggio di ambientazione ospedaliera e firma la regia di quattro produzioni teatrali…

Regia di Ingmar Bergman.

…due delle quali sono semplicemente immense.

Quando provo a datare qualcosa, lo faccio in base ai miei film e agli spettacoli teatrali.

Non ricordo molto della mia vita privata, non mi ricordo quando sono nati i miei figli.

Non so dire quanti anni abbiano. Lo so pressappoco, ma non mi ricordo… in che anno sono nati.

Quest’estate, Bergman compirà 39 anni.

Ha già sei figli, avuti da tre donne diverse.

E questo è anche l’anno in cui finalmente capisce che i suoi film, per poter diventare dei capolavori, devono parlare di lui.

Dopotutto, lui è Ingmar Bergman.

L’anno è il 1957.

Bene, vogliamo cominciare?

D’accordo, cominciamo.

Chiediamo di spegnere le luci.

Ingmar Bergman è un mistero.

È il regista più famoso del mondo, intorno al quale si è creato una specie di mito.

In particolar modo perché ha scritto molti libri sulla sua vita pieni di informazioni contraddittorie.

Quando Bergman scrive di se stesso, nessuno sa cosa sia vero e cosa falso.

Se cercate Bergman, l’unico luogo in cui potrete trovarlo sono i suoi film.

Nei suoi film, Ingmar Bergman è totalmente sincero.

E questa abitudine ha avuto inizio nel 1957.

Qualsiasi artista che crei degli intensi ritratti dei suoi problemi, che ritiene significativi non solo per sé, ma anche per gli altri, deve necessariamente “usare” se stesso.

E quindi viene sempre fuori la questione dell’egocentrismo.

È inevitabile, in effetti.

Lei non è altro che un vecchio egoista.

Non ha riguardo per nessuno e in vita sua non ha ascoltato che se stesso.

Lui si è sempre ispirato moltissimo alla sua vita, e ha preso… le sembianze di tanti personaggi diversi.

Io la vedo così.

Io vorrei essere caloroso, dolce e vitale…

Quella è la vita orribile di Ingmar, come la descrive lui. Una volta mi ha detto:

“La mia vita è tremenda, ho solo il mio lavoro”.

E io: “E il tuo matrimonio, i tuoi figli?”

Ha risposto: “La mia vita è comunque tremenda.”

Perché mi guarda così? È inquieto? Ha i nervi scossi? Qualcosa non va?

Stia zitto lei! Mi lasci in pace!

Penso che risulti evidente in molti dei suoi film.

Prendete ‘Sinfonia d’autunno’, nel quale una pianista vive per la sua arte, ma trascura i propri figli.

Aiutami!

Tutti questi film, che si può pensare parlino di qualcun altro, parlano invece, senza dubbio, dello stesso Bergman.

Il cammino che Bergman intraprende nel 1957, esplorare l’animo umano facendo film partendo da se stesso, lo conduce a un immenso successo mondiale.

Negli Anni ’70, in cui si svolge questa intervista, fu coniato un neologismo per questa tendenza: la Bergmanìa.

Seduto vicino a me c’è uno degli uomini più amati e oserei dire persino venerati del mondo cinematografico, di quello teatrale, e anche dell’intera industria dello spettacolo in generale.

Ingmar Bergman ha diretto un numero impressionante di capolavori:

‘Il volto’, ‘La fontana della vergine’… La lista è lunga.

‘Come in uno specchio’, ‘Passione’…

E non ne ho nominati parecchi…

Desideravo intervistare Bergman da molti anni, ma mi dicevano che sarebbe stato impossibile.

Ho avuto paura che all’ultimo non si presentasse. Magari è un po’ bizzarro…

Per prima cosa, vorrei farle i complimenti per essere arrivato puntuale, oggi.

So che a lei piace la puntualità. Ci siamo visti ieri sera, e…

Il famoso conduttore televisivo, Dick Cavett porta il suo intero studio a Stoccolma solo perché Bergman possa finalmente concedergli un’intervista.

Durante quest’intervista, è Cavett a mostrarsi nervoso.

Immaginavo che Ingmar Bergman, il giorno del nostro incontro, sarebbe emerso da una caverna piena di ragnatele, illuminato da luci soffuse

e vestito come il Conte Dracula.

Cavett sbaglia il titolo di un film.

Capolavori come ‘Il posto delle fragole’,

‘Sorrisi di una notte d’estate’, e ‘Il settimo velo’… ‘Il settimo sigillo’.

Ha detto ‘Il settimo velo’, invece di ‘Il settimo sigillo’.

Lo so!

L’avevo rimosso, me l’ha appena fatto ricordare!

Ma ho fatto anche un altro errore: ho detto Ingrid Bergman, invece di Ingmar Bergman.

Penso che quasi tutti siano in grado di distinguerli.

Anche lei mi sembra un po’ nervoso.

Sì, è vero. È vero.

Dick Cavett, che ha intervistato decine di personaggi importanti, è così nervoso che balbetta e quasi si inchina

davanti a uno svedese vestito in modo semplice e con uno strano accento.

Ma che cosa c’è in Bergman?

Come ha fatto quest’uomo a diventare una simile icona?

…una Targa dello Svenska Filminstitutet a due dei nostri più grandi registi,

Ingmar Bergman e Victor Sjöström.

“IL NUOVO FILM DI INGMAR BERGMAN”

Ti piacciono le fragole di bosco?

Conosco un posto dove ce ne sono tante. Andiamo?

Nei primi Anni ’50, Bergman scopre la formula per il successo.

Corpi nudi e giovani inseriti nel romantico scenario di un arcipelago svedese.

‘Monica e il desiderio’ scatena un vero e proprio voyeurismo di massa, ottenendo un enorme successo internazionale.

Andiamo. Possiamo andare dove vogliamo!

Dopo il successo mondiale di ‘Monica e il desiderio’,

Bergman rivolge il suo interesse alla vita interiore dei personaggi.

“‘IL SETTIMO SIGILLO’ MIGLIOR FILM SVEDESE DELL’ANNO”

Nessun drammaturgo svedese aveva raccontato la Svezia medievale con tale passione dai tempi di ‘La saga dei Folkungar’, di Strindberg.

E desta ancor più stupore che ora lo si faccia su pellicola…

Il 7 febbraio è il giorno della prima de ‘Il settimo sigillo’.

Questo per Bergman, è il primo grande evento del 1957.

“INGMAR BERGMAN ‘IL SETTIMO SIGILLO'”

Ah, la telecamera è là. Quando sono arrivato lì, la gente sussurrava: “C’è Ingmar”.

“Mi raccomando, fa’ silenzio.”

Cose così. Ingmar era lì, come l’albero maestro nel mezzo della nave.

Dopo quel successo, nessuno si è più immischiato in quello che avevo intenzione di realizzare.

Potevo fare tutto ciò che volevo.

Una delle più famose personalità svedesi viventi e grande regista cinematografico,

Ingmar Bergman ha ritratto in un suo film un frammento della Svezia di seicento anni fa, un Paese oscuro e brutale colpito dalla peste.

D’accordo, ci sono. Pronti?

Sì.

La prima volta che ho visto ‘Il settimo sigillo’ mi ha colpito che fosse in bianco e nero.

Era molto diverso… dai musical di Hollywood dello stesso periodo.

Ne ‘Il settimo sigillo’ lo spettatore ha… un’immagine… della Svezia medievale, la Svezia del XIV secolo, nel periodo in cui venne colpita dalla Peste Nera.

‘Digerdöden’, credo che si dica così, in svedese.

La peste!

Rimani dietro quel tronco!

Ho paura di morire!

Non voglio morire!

Ricordo la scena… in cui Erik Strandmark è talmente spaventato dalla Morte, che avanza avvolta nella sua veste nera… che si arrampica su un albero, e rimane avvinghiato a un ramo mentre la Morte si fa sempre più vicina.

Accidenti, ma stanno tagliando proprio il mio albero?

Ehi tu, sudicio tagliaboschi! Che stai facendo al mio albero?

Lui è sull’albero, e la Morte… lo sta tagliando.

E lui dice: “Perché lo stai facendo?” “Perché la tua ora è giunta.”

No, aspetta, non è questo il modo.

Ah, e quale sarebbe il modo?

E poi il giullare dice:

Non c’è una scappatoia?

Qualche particolare eccezione per gli attori?

Eh, no. Nessuna eccezione.

“Nessuna eccezione per gli attori?”

È una battuta meravigliosa.

Per ‘Il settimo sigillo’, a Bergman viene data la più completa libertà artistica, ma pochissimo tempo e un budget molto limitato.

Bergman stava molto attento a dove posizionare la macchina da presa, per evitare di filmare gli edifici sullo sfondo, che erano vicinissimi a quella che noi chiamavamo “la foresta”.

Bergman è alla ricerca della spiaggia perfetta, con l’attrice Bibi Andersson e il direttore della fotografia Gunnar Fischer.

E finalmente la trova: Hovs Hallar, nella regione della Scania.

Lì gira la sua scena più famosa.

Tu chi sei?

Io sono la Morte.

Sei venuta a prendermi?

È già da molto che ti cammino a fianco.

Me n’ero accorto.

Sei pronto?

Non avevo mai visto un film nel quale la Morte fosse visibile.

La Morte, con un trucco da pagliaccio, che apre il suo mantello e lo schermo diventa nero.

Dammi ancora del tempo!

Tutti lo vorrebbero, ma non concedo tregua.

Tu giochi a scacchi, vero?

“Chi sei?”

E l’uomo in nero risponde: “Io sono la Morte”.

Dopodiché… o si accetta che quella sia veramente la Morte, oppure si dice: “Ma va’, quello è Bengt Ekerot.

Gli hanno pitturato di bianco la faccia e gli hanno messo una tonaca”.

Però quello è il meraviglioso potere della suggestione, è la magnifica eccitazione di quando si fa qualcosa a cui gli spettatori crederanno ciecamente.

‘Il settimo sigillo’ rispecchia il mondo interiore di Bergman, che per tutta la vita ha avuto una grande paura della morte.

Il film parla proprio di questo.

Questo film è stato un tentativo… di sbarazzarmi della mia paura della morte.

E in parte, ha funzionato.

Sono cresciuto in una casa pastorale.

Sono il figlio di un pastore luterano e per questo sono vissuto sempre a contatto con la morte.

Ingmar Bergman è cresciuto a Stoccolma, negli Anni ’20.

Ha un fratello maggiore, Dag e una sorella minore, Margareta.

Sua madre si chiama Karin e suo padre Erik è un pastore luterano.

Alexander, figliolo…

Davanti a questi testimoni, mi hai accusato di avere ucciso mia moglie e i miei figli.

Cosa?

Ci sono molti uomini di chiesa nei film di Bergman.

Il più famoso di tutti è il Vescovo Vergérus di ‘Fanny e Alexander’.

Questo personaggio è ispirato proprio al padre di Ingmar Bergman.

Ecco. Cammina…

Perfetto.

Interpretare quel personaggio freddo, anzi freddissimo, fu divertente. Era un uomo…

Intriso di tantissime convinzioni malsane.

Non capisco… Pensavi forse di farla franca dopo aver disonorato un’altra persona?

Era una scena orribile quella delle frustate.

E Bergman disse: “Dannazione… mi ricordi davvero tanto mio padre”.

Sì, somigliavo a suo padre.

Che genere di punizione preferisci?

Verga, olio di ricino o ripostiglio buio?

Quanti colpi di verga?

Dieci.

Allora la verga.

Ho affrontato la mia educazione mentendo… e fingendo.

Assumendo un’identità… che i miei genitori… avrebbero potuto reputare accettabile.

Mentivo senza riserve… con facilità.

Ogni tanto, una bugia veniva scoperta e punita severamente.

Tirati su, Alexander!

Vuoi forse dirmi qualcosa?

No, niente.

Dovresti chiedermi scusa.

Bergman racconta di questi maltrattamenti nella sua autobiografia,

‘Lanterna Magica’.

Ma questo libro non risulta essere sempre una fonte attendibile.

Come farà in molte altre occasioni, durante la sua vita,

Bergman proietta su se stesso alcune delle esperienze di suo fratello.

È davvero bizzarro. Prendiamo le percosse, per esempio.

Non era il piccolo Ingmar a essere picchiato, era Dag.

Dag Bergman è di quattro anni più grande di Ingmar.

I due fratelli litigano spesso e Dag, essendo il maggiore, ha quasi sempre la meglio.

Mi ricordo di un’estate nella nostra casa di campagna.

Io avevo dieci anni, lui cinque o sei.

Era venuto a pescare con me.

Io non lo volevo, chiacchierava troppo e spaventava i pesci.

Così gli avevo detto che sarebbe potuto venire, a condizione che tenesse i bigattini in bocca. Aveva accettato, ma con tutti quei vermi che gli uscivano dalla bocca stava quasi per piangere. Probabilmente ne aveva ingoiato qualcuno.

Metto la moneta qui.

Cosa devo fare?

Devi mangiare questo lombrico.

Cosa?

Chiudi il becco e non fare lo scemo.

E va bene, dammi quello stupido lombrico.

Anche crescendo,

Dag ha cercato di rovinare la vita di Ingmar.

La sua versione del film ‘Spasimo’, è diametralmente opposta alla generale interpretazione che si dà del film.

Lasciatemelo dire: Ingmar era sempre l’allievo preferito.

Abbiamo avuto gli stessi insegnanti.

E un giorno, di fronte all’intera classe, uno di questi insegnanti mi disse:

“Stamattina ho fatto lezione a tuo fratello, il Maestro Bergman, nella cui conoscenza non vi sono lacune.

Guardando te, vedo il Maestro Bergman, nelle cui lacune non v’è alcuna conoscenza”.

Apra il libro. I compiti per oggi.

Svelto! Svelto!

“La battaglia durò tre giorni.”

‘Spasimo’ dipinge il ritratto di un liceo svedese negli Anni ’40.

È il primo set frequentato da Bergman, che ha scritto la sceneggiatura del film e collabora alla regia.

Ma sogna di diventare lui stesso un regista.

I critici svedesi non hanno pensato che Ingmar facesse riferimento a se stesso, come in una sorta di autoritratto?

Di certo non può essere stato così, perché Ingmar era un angioletto a scuola, era amato da tutti.

Ed è stato così fino al suo diploma.

Questo si chiama imbrogliare, signore. Imbrogliare!

Quando questa intervista con Dag stava per essere trasmessa alla televisione nazionale svedese, negli Anni ’80,

Ingmar Bergman protestò energicamente.

E alla fine, ottenne l’ultima parola della loro annosa diatriba.

L’intervista, mai trasmessa, solo ora può essere vista per la prima volta.

Ingmar era senza alcun dubbio… il figlio preferito di nostro padre.

Io ero il ragazzino da prendere a frustate.

Papà mi picchiava più o meno ogni volta che mi vedeva.

Ingmar non ha sofferto davvero ed era molto contento di passare il tempo con nostro padre.

Molto presto ha capito che se avesse fatto domande intelligenti sulla vita degli angeli e su com’erano Gesù Bambino e il Paradiso, sarebbe stato ricompensato con cioccolata calda e biscotti.

“Santo, santo, santo è il Signore, Dio dell’Universo.”

“I cieli e la terra sono pieni della Sua gloria.”

Mio fratello era, in un certo senso, una persona… completamente… e irreparabilmente danneggiata, per via del modo in cui era stato cresciuto.

E in fondo… io ho avuto un’educazione simile alla sua.

Si potrebbe quasi dire che sono stato cresciuto nello stesso, identico modo di mio fratello.

Il danno che ne è derivato è stato a lungo termine.

E io… ho passato gran parte della mia vita a cercare di riprendermi dai danni di quell’educazione.

Non ti libererai mai di me.

I film di Bergman ‘Spasimo’ e ‘Fanny e Alexander’ sono autobiografici.

Lui è andato in quella scuola. Lui ha avuto quel padre.

Però forse non è lui il personaggio principale.

Forse Ingmar Bergman in realtà è la piccola Fanny, che osa ammettere di essere rimasta lì, in silenzio, testimone dell’abuso.

Che cosa leggi, Alexander?

Buonanotte, figliolo.

Più o meno in quel periodo, il giovane Bergman inizia la sua fuga nell’illusorio mondo del cinema.

È un luogo meno violento e lui ci sta bene.

Se non sbaglio, avevo sei anni quando ho visto il mio primo film.

Parlava di un cavallo…

‘Black Beauty’, mi pare.

E poi, da quel momento… diventai uno spettatore appassionato.

Andavo al cinema tutte le volte che i miei genitori me lo permettevano.

Avevo un proiettore e dentro c’era soltanto un film molto breve, lungo più o meno tre metri.

Si vedeva una ragazza sdraiata.

Era addormentata, poi si svegliava e cominciava a danzare.

Dopodiché usciva dall’inquadratura, sulla sinistra.

E si ricominciava da capo, ancora e ancora… Questa è la mia più… straordinaria, meravigliosa esperienza cinematografica.

[Ingmar] La potevo far muovere io! Se giravo piano, lei si muoveva molto piano e se invece andavo veloce, lei danzava molto velocemente prima di uscire. E… persino oggi… quando mi siedo al tavolo del montaggio, trovo tutto estremamente affascinante, estremamente coinvolgente. Riscopro la magia del movimento, tutte quelle ombre sul mio piccolo schermo. È esattamente… lo stesso fascino che subivo quand’ero bambino.

Spesso Bergman racconta storie che dice essere ispirate a eventi della sua vita, mentre le testimonianze e la realtà ne raccontano altre. Bergman disse che era stato mandato nella Germania Nazista, con un programma di scambio per studenti, quando era un ragazzino. Ma in realtà, aveva diciott’anni. Era quasi un uomo.

Negli Anni ’30, era molto comune mandare in Germania bambini appartenenti alle classi medio-alte affinché imparassero il tedesco. In quel periodo, la Germania era una grande nazione che ammiravamo e amavamo moltissimo. Era anche più grande di quanto non lo siano gli Stati Uniti oggi!

[Ingmar] “Dopo la funzione, bevevamo il caffè nel salone della parrocchia. Molti indossavano l’uniforme e c’erano parecchie occasioni per dire ‘Heil Hitler’.”

Lo stesso Ingmar Bergman ha descritto quel soggiorno in Germania come un punto di svolta per lui. Era arrivato, proveniente da una vita piuttosto grigia e monotona, in un mondo in cui le persone credevano in qualcosa ed erano pronte a morire per un ideale. Ammirava quello straordinario oratore che era Hitler. Si schierò decisamente dalla parte della Germania, durante la guerra.

[Taccuino di Ingmar Bergman, 1937-1939] Siamo arrivati a Weimar, a mezzogiorno. La parata e il discorso di Hitler erano previsti per le due e mezza, ma la città era già in fermento con largo anticipo. Non avevo mai visto niente che si avvicinasse neanche lontanamente a quell’imponente dimostrazione di forza. Ho gridato come gli altri. Ho sollevato la mano come loro, ho urlato come loro e ho amato come loro.

Nel libro ‘Lanterna Magica’, Bergman scrive che gioiva dei successi di Hitler e che si addolorava per le sue sconfitte. Vedendo le foto dei campi di concentramento, si convince che siano state artefatte per scopi propagandistici. E fino al 1946, all’età di 28 anni, Bergman non rinnega Hitler. Ma poi si vergogna di averlo appoggiato e giura che non si farà mai più coinvolgere dalla politica, neanche nei suoi film.

[Michael Degen, attore] Non riesco a capire come lui, dopo la guerra, quando i campi di concentramento erano stati rivelati al mondo intero, abbia potuto ancora appoggiare Hitler. E… come l’abbia potuto… ancora difendere! È orribile.

Nello stesso periodo in cui appoggiava Hitler, Bergman era molto vicino a un giovane ebreo fuggito dalla Germania, Dieter Winter, che era stato accolto a casa dei Bergman.

[Jan Winter, figlio di Dieter Winter] Mio padre non aveva preso la cosa troppo sul serio. Al contrario,

era piuttosto arrabbiato per il modo in cui Bergman descriveva il loro rapporto. Sono abbastanza certo che mio padre considerasse quell’atteggiamento di Bergman più grave di una semplice posa. Perché era come se Bergman si volesse in qualche modo vantare di presunte amicizie naziste di gioventù.

[Maria-Pia Boëthius, scrittrice] Alcuni esitano e trovano difficile credere a Bergman quando dice di essere stato un nazista. In un certo senso, riesco anche a capirlo. Ingmar Bergman è un maestro… nel creare miti, nell’intrecciare storie, molte delle quali riguardano la sua stessa vita. Si potrebbe pensare che abbia cercato… di mettere volutamente se stesso, un uomo famoso, sotto una cattiva luce. Ci sono persone che si comportano così. Ma dopo avere parlato a lungo con lui, mi sono convinta che avesse veramente quel tipo di simpatie.

[Ingmar] A volte, la mia realtà è… completamente distorta. Io riesco a inventare una realtà che risulta essere del tutto… assurda.

[The Dick Cavett Show – 1971]

[Dick Cavett] Qual è il suo parere sulla psichiatria?

[Ingmar] Come ha detto?

[Dick Cavett] Psichiatria.

[Ingmar] Che cos’è? Cioè, so cos’è, ma lei cosa intende?

[Dick Cavett] Intendo quello che le persone…

[Ingmar] La mia opinione sulla psichiatria?

[Dick Cavett] La sua opinione. Lei viene analizzato molto spesso, nel suo lavoro.

[Ingmar] Sono stato da uno psichiatra una sola volta, nella mia vita. Più o meno quindici anni fa. Perché ho la sindrome delle gambe senza riposo. Sa cos’è? Quando ci si stende e le gambe fanno…

[Dick Cavett] Succede anche a lei?

[Ingmar] Sì.

[Dick Cavett] A me sempre, divento matto quando vado a letto.

[Ingmar] È terribile! E lei ha mai avuto…

Ingmar Bergman spesso confonde gli episodi del suo passato. A quest’intervista, si fa accompagnare dall’attrice Bibi Andersson, ma forse non avrebbe dovuto.

[Bibi Andersson] Non ricordi bene, a proposito dello psichiatra.

[Ingmar] Ah, sì? Davvero?

[Bibi Andersson] Quella volta eravamo insieme e lo psichiatra non ha detto che lui era perfettamente sano.

[Dick Cavett] Ah, no?

[Bibi Andersson] No, ha detto che… era talmente pieno di nevrosi che se gliele avesse curate probabilmente avrebbe smesso di fare film. È stato molto diretto.

[Ingmar] Non lo ricordo, l’ho dimenticato.

Nel 1957, Bergman va da uno psichiatra per la prima e ultima volta, in cerca di aiuto per la sua sindrome delle gambe senza riposo. Quello è anche l’anno in cui i suoi film diventano la sua terapia. Certo non gli manca il materiale: ha paura del buio, ha dolori di stomaco, è geloso. Soffre di claustrofobia, ha problemi con il cibo, con i germi e con gli animali. Bergman distorce facilmente la verità e vive il lavoro come una dipendenza.

[Owe Svensson, tecnico del suono e fonico] A posteriori, ci ho pensato spesso e ora ho quasi paura a dirlo, ma adesso si parla molto di certe patologie…

[Mikael Persbrandt, attore] Oggi potremmo dire che Bergman aveva una patologia che non è stata curata. Sarà stato così.

Dopo un’infanzia molto sofferta, l’adolescenza non offre a Bergman alcun sollievo.

[Ingmar] Ero alto… curvo… e terribilmente magro. Come un graffio sul negativo di una fotografia. E per di più… avevo un’acne terribile. Il mio corpo mi rendeva molto infelice. E tutte le ragazze… pensavano che io… avessi un aspetto incredibilmente bizzarro.

[Anders Thunberg, scrittore] Non socializzava molto con gli altri ragazzi. Non sapeva ballare, non giocava a tennis e non andava in barca. E non succedeva mai che fosse lui a tuffarsi per primo dal molo. Passava tutto il tempo in camera sua a fare spettacoli con i burattini.

[Ingmar] Da subito, il mondo femminile è stato un universo separato dal mio. Un territorio sconosciuto che io, con grande entusiasmo, avevo deciso di esplorare.

Delle prime fidanzate di Bergman, Karin Lannby è probabilmente la più importante. È un’attrice, una poetessa e una spia. Insieme aprono un teatro a Stoccolma.

[Anders Thunberg, scrittore] Karin Lannby e Ingmar Bergman si conobbero in un collettivo della Città Vecchia. Quello per noi fu un periodo drammatico, perché vedemmo la Germania Nazista occupare la Danimarca e la Norvegia. Una delle prime cose che lui le disse presumibilmente fu: “Siamo matti allo stesso modo, noi due”. Molti segnali indicavano che quella sarebbe stata una relazione burrascosa. Bergman era estremamente geloso. E questo fu confermato da molte persone che lavoravano con lui.

“LA FURIA DEL PECCATO”

Karin Lannby fu presa a modello per il personaggio di Ruth nel film ‘La furia del peccato’, del quale Bergman scrisse la sceneggiatura.

[Scena da “La furia del peccato – 1947]
Sei già geloso?
Non tollero che tu mi sia infedele.
Vuoi portarmi a casa e uccidermi allora?
Sicuro.
Ebbene, fallo allora!

[Anders Thunberg, scrittore] E Karin aveva davvero una vita segreta: era stata assoldata dai servizi segreti svedesi. Doveva tenere d’occhio i ristoranti, i bar, gli stranieri che potevano essere coinvolti in attività sospette. Ma Bergman di tutto questo non sapeva niente.

Un uomo geloso che frequenta una misteriosa spia… non proprio un’accoppiata perfetta.

In una bozza per il suo ‘Lanterna Magica’, poi eliminata, Bergman aveva scritto di un litigio che era andato avanti per giorni e che aveva avuto il suo culmine quando Karin Lannby, nuda e malconcia, aveva tentato di accoltellarlo. Bergman aveva reagito colpendola con uno sgabello. Il viso di lei era divenuto bianco, i movimenti spasmodici.

Bergman scrive:

“Mi rendo conto che la sto strangolando. Le sto sbattendo la testa contro il pavimento, mentre sono dentro di lei. Lei vuole che la uccida e io sono pronto ad assecondarla.”

Perché Bergman eliminò questo passaggio dal suo libro?

[Anders Thunberg, scrittore] Perché non doveva essere vero? In fondo quella bozza la scrisse proprio per la sua autobiografia anche se, allo stesso tempo, in quella autobiografia, scrisse… che Karin Lannby significava molto per lui, anche a livello sessuale. Bergman la mette giù così: “Lei ha aperto la gabbia e ha liberato un malato di mente”.

[Scena da “Un mondo di marionette – 1980]

Nei suoi film, Bergman spesso ritorna sulla folle gelosia che provò stando insieme a Karin Lannby e sulla rovina che una simile gelosia può causare. Ma la tensione perversa del loro rapporto diventa decisiva per la sua arte.

[Ingmar] Scrivere, a volte, può avere una funzione… terapeutica.

[Anders Thunberg, scrittore] Karin Lannby continuava a ripetergli: “Devi produrre qualcosa, non puoi semplicemente andare avanti a fantasticare su idee e progetti.” E successe che una volta finita la loro relazione, Bergman cominciò a produrre… moltissime cose. È stato un po’ come se durante la loro relazione una batteria fosse stata lasciata in carica e all’improvviso avesse iniziato a sprigionare scintille.

Dopo Karin Lannby, Bergman comincia a dirigere film. Non ha esperienza e molti interferiscono nel suo lavoro. Dirige pessime sceneggiature di altri autori.

[Scena da “Musica nel buio – 1948]

E quando finalmente riesce a dirigere un proprio lavoro, è troppo inesperto, troppo solo, troppo nervoso.

[Scena da “la prigione” – 1949]

[Dick Cavett] Non so se lo ha intitolato ‘La prigione’.

[Ingmar] Sì, ‘La prigione’. È stato il mio primo film tratto da una mia sceneggiatura.

[Dick Cavett] Che ci può dire di questo film? La maggior parte delle persone forse non l’ha visto.

[Ingmar] È un film davvero brutto.

[Katinka Faragó, direttrice di produzione] I critici furono piuttosto cattivi con lui. Qualcuno riconobbe il suo talento, ma disse che aveva ancora molta strada da fare. Fu accusato di essere un burlone infantile.

Vedere i suoi primi film imbarazzava molto Bergman. Ce n’è uno del quale si vergognava così tanto da proibirne la proiezione. Di questo film non può essere mostrato alcun fotogramma, né la locandina. Neanche al giorno d’oggi.

Il film si intitola, ‘Ciò non accadrebbe qui’.

“REGIA DI: INGMAR BERGMAN”

“CRISI”

[Ingmar] Il mio primo film, ‘Crisi’, fu realizzato nei teatri di posa della Svensk Filmindustri. Io ero ingestibile e detestato più o meno da tutti. Ed ero estremamente insicuro.

[Inga Landgré, attrice] Gridava e inveiva contro tutti durante le riprese di ‘Crisi’. A causa della sua insicurezza e forse anche della sua grande ambizione. Era la sua occasione per fare cinema. Credo che con quegli atteggiamenti intendesse dire: “Io sono Ingmar Bergman, un regista emergente!” Però secondo me Ingmar era il più nervoso di tutti. Era preoccupato e soffriva di dolori allo stomaco. Non dava indicazioni agli attori, ma continuava a tormentare il nostro gentile direttore della fotografia, Gösta Rosling.

[Katinka Faragó, direttrice di produzione] Chiaramente non stava bene. Aveva costantemente dei dolori di stomaco. Era sempre tormentato dal pensiero di non essere all’altezza.

[Ginilla palmstierna-Weiss, scenografa teatrale] Io non sono né una terapista, né una psicoanalista, ma ho grande comprensione per la sua angoscia. L’angoscia è parte integrante… di quella maniera tutta europea di fare arte.

Non posso, non posso! Sono consumata dall’angoscia.

Con il tempo sarebbe migliorato. Ma torniamo al 1957, l’anno più prolifico per Bergman. Dopo l’uscita a febbraio de ‘Il settimo sigillo’, l’anteprima dell’imponente messa in scena del ‘Peer Gynt’ di Henrik Ibsen al Teatro di Malmö segue dopo sole tre settimane.

“LA PIÙ GRANDE PRODUZIONE TEATRALE DI TUTTI I TEMPI”

Non erano delle prove, era un rito. L’atmosfera era elettrica, l’aria vibrava… C’era una struttura, c’era un metodo e c’erano delle regole. Ha lavorato e ha impostato la regia seguendo un ritmo. Anche il lavoro pratico… tutto aveva un ritmo.

Ingmar aveva un talento incredibile, era davvero bravo, e aveva deciso che avrebbe ottenuto quello che voleva, ad ogni costo.

[Ingmar] C’è qualcosa di bizzarro nel fatto che io realizzo costantemente qualcosa e, nello stesso tempo, sono sempre sul punto di cominciare un nuovo film, un nuovo spettacolo teatrale… Questo significa che soltanto il presente esiste. Quando finisco un film, per me non esiste già più. E lo stesso vale per un’opera teatrale, subito dopo non esiste più…

Forse non era famoso a livello mondiale, ma era l’uomo più importante nel mondo del teatro.

[Ingmar] E poi… ci siete voi due. Voi dovete stare qui. Vi mettiamo qui. Bene…

Mentre Bergman lavorava lì, c’era un grande cartello all’entrata della sala principale.

C’era scritto, in svariate lingue: State zitti! Non un fiato! Muti!

Nessuno si azzardava neanche a starnutire! Che ci fa lì quella cassa? Perché diavolo hai pensato di metterla lì?

Silenzio! Zitti!

Sposta quel microfono, accidenti!

Volete stare zitti, lì nell’angolo?

In cuffia sento un rumore continuo.

Silenzio!

Silenzio!

Continuate così, fate a pezzi lo spettacolo!

Aveva sempre… gli occhi socchiusi. E certe volte, faceva così, si voltava… si girava da questa parte, guardava fuori dalla finestra, e diceva qualcosa di molto intelligente… e di incredibilmente profondo. Dopo tornava a guardarci.

Noi eravamo tutti seduti lì, a bocca aperta. Parlava sempre di demoni, ma lui stesso aveva un aspetto demoniaco.

Il ‘Peer Gynt’ è considerato un testo impossibile da mettere in scena. Bergman si spinge fino al limite: la sua versione del dramma dura più di cinque ore. Non ha nessuno con cui confidarsi, fatta eccezione per il proprio diario.

“Almeno oggi è domenica. È stata una settimana di prove infinite. È impossibile farcela, anche impegnandosi al massimo. Non credo che sarà una buona messa in scena. Purtroppo, la colpa è solo mia. Non ero preparato. E non sono riuscito a venirne a capo.”

E poi andammo a vedere la prova generale del ‘Peer Gynt’. Lo spettacolo durava cinque ore. Ma era meraviglioso e anche dopo cinque ore il mio unico pensiero fu: “Devo assolutamente comprarmi un biglietto per vederlo di nuovo. Subito!” Era davvero geniale!

Come fa a farlo? Come ha fatto a farlo? Quelle dinamiche erano qualcosa di mai visto prima. È stato incredibile.

È difficile capire che cosa l’abbia reso così. A volte non ci si rende conto… Si sente solo che c’è qualcosa… che ti travolge.

Sembravano tanti film di avventura concentrati in uno solo.

Il giorno seguente, il più importante giornale svedese, il ‘Dagens Nyheter’, scrive: “Tutto ciò che occorre fare è spingere coloro che ne hanno la possibilità ad andare di corsa a Malmö, che al momento, è la capitale teatrale della Svezia e probabilmente, dell’Europa intera.”

Così va meglio!

D’accordo.

Lì… Va bene.

Silenzio sul set. Silenzio. Motore.

146-171, prima.

Come regista, dava grandi emozioni. Perché lui stesso era curioso e appassionato. Guardava spesso le inquadrature attraverso la macchina da presa. Diceva: “Fermo là. Vieni avanti! Sì, così è ottima!” Costruiva le sue regie in maniera trascinante e coinvolgente.

[Ingmar] Così… Poi, guarda, lì ce n’è un altro… E dopo va di nuovo giù.

È una persona molto convincente.

[Ingmar] Ora guardala.

Credo che sia perché, nella maggior parte dei casi, ha le idee molto chiare e le sue proposte si basano su ragioni precise.

Era un personaggio particolare, perché lasciava agli attori ampio margine per mettere in pratica le proprie idee e… anche le proprie intuizioni. Li guardava con entusiasmo. Non sopportava che un attore si limitasse a seguire le indicazioni del regista. Voleva che gli trasmettesse la sua personale ispirazione.

Ho sempre ritenuto Ingmar molto sensuale. Aveva una sensualità legata al suo lavoro artistico. Era molto fisico… Quando lavorava, era un anti-intellettuale. Si liberava di ogni pensiero, non si preoccupava del risultato. Era presente fisicamente e aveva un bellissimo modo di toccare gli attori. La sua presenza era tangibile, era seduttivo. Era molto sensibile ed estremamente attento.

Cos’è che vorresti fare diversamente?

Forse, non lo so, è il mio…

Ti metteva il braccio intorno alle spalle e diceva: “Lei cammina, si gira, e lui è lì.” Sì, insomma, creava una sorta di atmosfera. Invece di usare troppe parole si limitava a fare dei gesti che però potevano trasmetterti grandi emozioni e che ti davano moltissimo, se sapevi coglierli.

Ottimo! Accidenti, bene!

“Stai chiudendo gli occhi.” Mi disse: “Non ti voglio prendere in giro. Non lo farò mai. Mi serve che i tuoi occhi siano aperti perché anche se lì non c’è niente, è proprio di questo che parla la scena”. È l’indicazione più profonda… che potessi ricevere.

Quando sono andata a trovare Elliott, che stava girando un film con Ingmar Bergman, sono rimasta affascinata e ho assistito alle riprese per qualche giorno, pensando a quanto fosse fortunato Elliott. Ingmar Bergman era lì, in ginocchio, davanti a Elliott. La macchina da presa stava su un primo piano di Elliott e Ingmar parlava con lui durante la scena. Dato che ero una sua grande ammiratrice, ricordo di aver provato… un’immensa invidia per Elliott, perché aveva un regista così geniale che lo guidava.

Non c’è limite a quello che Bergman può arrivare a fare per ottenere il meglio dai propri attori. Durante le riprese di ‘Luci d’inverno’, Bergman trova che il suo protagonista, Gunnar Björnstrand, sia troppo allegro. Bergman decise di affrontare questo problema chiedendo al suo medico e amico di dire a Gunnar che soffriva di una malattia piuttosto grave. A Gunnar furono quindi prescritti dei farmaci, e alla fine diventò depresso per davvero. A quel punto era perfetto per interpretare un pastore pieno di dubbi che ha perso la fede in Dio. Ma questo, forse, significa superare un po’ il limite.

[Scena da “Luci d’Inverno” – 1963]

Sono stufo delle tue preoccupazioni… del tuo essere protettiva come una chioccia. Dei tuoi buoni consigli. Dei tuoi bei candelabri e delle tue tovaglie… Sono stufo della tua miopia… delle tue mani maldestre… e di quella tua ansia di far vedere che ci tieni. Mi costringi a preoccuparmi dei tuoi problemi fisici, del tuo stomaco in subbuglio, del tuo eczema, e… delle tue giornate.

[Ingmar] Quando vedo il girato, mi accorgo che la macchina da presa ha visto molto più di quanto non abbia visto io. È uno strumento… davvero fenomenale, quando si tratta di descrivere… l’animo umano. E il modo in cui si riflette sul viso di qualcuno.

[Ingmar] Più familiarità acquisisco con il cinema, che è uno dei mezzi espressivi che ho scelto, più percepisco ogni film che faccio come un modo per poter esprimere ricordi, esperienze, tensioni… situazioni.

Grazie!

Aprile 1957. È passato solo un mese dall’anteprima del ‘Peer Gynt’, ed è arrivato il momento di un’altra première. La televisione è arrivata in Svezia solo da un anno, ma Bergman ha già pronto il suo primo lavoro televisivo: ‘Arriva il Signor Sleeman’.

Sente di perdere qualcosa a causa dei limiti visivi del piccolo schermo?

[Ingmar] Al contrario. L’aspetto affascinante della televisione è che mi permette di giocare molto di più con i primi piani.

A un solo giorno di distanza dalla messa in onda di ‘Arriva il Signor Sleeman’, ancora un’altra première.

Radio Svezia presenta ‘Il detenuto’, di Bridget Boland, diretto da Ingmar Bergman.

Lavoravamo senza sosta… o facevamo le prove, o c’era un’altra anteprima…

Oppure dovevamo prepararci per qualche altro spettacolo.

Era una nevrosi, una fortissima nevrosi. Penso che fosse così. Sentiva di non essere in grado di fermarsi, di mettere giù la penna o di smettere di girare.

Utilizzava il suo tempo con molta attenzione, come se fosse qualcosa di estremamente prezioso.

Non riesco a capire come ci sia riuscito, ma è chiaro che ha pagato un caro prezzo.

Guardando il ritmo e la concentrazione che Bergman manteneva nel 1957, ci si chiede se non assumesse delle droghe.

La questione è stata posta…

[Dick Cavett] L’ha mai incuriosita sapere se le droghe facciano vedere le cose in modo differente? Perché a lei interessa molto l’aspetto visivo.

[Ingmar] No, io… io non uso sonniferi. E men che meno le droghe, perché prenderle mi spaventerebbe a morte.

Presumibilmente provò l’alcool, quando era giovane, ma l’effetto che ne derivò non fu buono.

A quanto pare, il suo comportamento divenne strano e violento.

Mangiava solo yogurt svedese. Gli altri pranzavano e lui mangiava yogurt.

Dopo tre ore, si prese una pausa, e salì in camera sua, dove si mangiò il suo yogurt svedese.

Ma lo yogurt svedese non è l’unica dipendenza di Bergman.

Seguiva una dieta speciale e mangiava i biscotti secchi ‘Marie’. Aveva un tavolo personale, sul quale c’erano il suo copione e i biscotti Marie, che continuava a mangiare a causa del suo stomaco delicato.

Quando Bergman non c’era, eravamo tentati di prendere un biscotto per vedere se se ne sarebbe accorto.

“NON TOCCARE”

Era un maniaco del controllo e si accorgeva di qualsiasi cosa. Nessuno osava toccare i suoi biscotti. Una volta un attore ebbe il coraggio di prenderne uno, e Bergman non se ne accorse.

Allora un membro della troupe si avvicinò al tavolo per prenderne uno anche lui, ma lo rimise subito a posto, dicendo: “Ci potrebbero essere serie conseguenze, se gli rubo un biscotto.”

Aspettavamo tutti che si mangiasse il suo biscotto. Ma non prendeva quello in cima, perché qualcuno poteva averlo toccato. Ne sfilava uno da sotto, piuttosto.

Non era stato Max a prendere il biscotto. Forse Stig Järrel? No, non facciamo nomi…

E dire che non era affatto denutrito e pieno di energie, considerando che non mangiava mai verdure. Parlava in termini molto negativi delle verdure, come se fossero una sorta di minaccia. Qualcosa da cui guardarsi. Credo… che avesse un disturbo del comportamento alimentare. Ancor prima che si conoscesse il concetto di disturbo alimentare, lui ne aveva uno.

[Ingmar] È l’ora della pausa caffè. Pausa caffè!

Va bene.

Ecco il caffè!

[Ingmar] Caffè!

[Ingmar] Soffrivo continuamente… di ulcere gastriche e intestinali. Ero stato ricoverato al Sofiahemmet, e mentre mi curavano, io scrivevo.

[Dal diario di Ingmar Bergman – maggio 1957] “Ospedale Sofiahemmet. Stanco al limite della pazzia. Però qui è molto tranquillo e sono davvero grato a Sture, che mi ha trovato un posto. Questo è l’unico modo per ritrovare armonia e solidità. E per tornare a essere in grado di realizzare qualcosa di decente.”

Ingmar poteva girare un film e durante le riprese di quel film, contemporaneamente scriverne un altro. Nel 1957, aveva quasi finito di scriverne uno quando i suoi problemi di stomaco lo costrinsero a ricoverarsi. E io dovevo fare avanti e indietro con i copioni da battere a macchina. Al tempo stesso, lui si stava preparando per una ripresa del ‘Peer Gynt’, che era andato in scena la primavera precedente, e stava anche preparando un nuovo spettacolo teatrale, il ‘Faust’, che doveva debuttare nell’autunno di quello stesso anno. Ma io ne fui testimone, Ingmar, nonostante stesse così male da essere ricoverato, riuscì comunque a terminare il copione per il suo nuovo film.

Maggio 1957. Durante un ricovero in ospedale, Bergman scrive nel giro di poche settimane il copione del suo capolavoro,

‘Il posto delle fragole’.

“Io sono Isak Borg, Professore Emerito. Sono ancora vivo, sia spiritualmente che fisicamente. Sono le tre e mezzo del mattino…”

…Isak Borg e ho 78 anni. Domani nella cattedrale di Lund si celebrerà il mio Giubileo professionale.

Soltanto un mese dopo iniziano le riprese del film. Bergman ripercorre costantemente la propria giovinezza, così come fa il protagonista del film, interpretato da Victor Sjöström, il primo illustre svedese della storia del cinema. In un certo qual modo, Sjöström è l’alter ego anziano di Bergman e il suo personaggio ha proprio le stesse iniziali del regista: Eberhart Isak Borg… Ernst Ingmar Bergman.

Sara? Sara? Sono tuo cugino Isak. Sono un po’ invecchiato, naturalmente…

È qui che Bergman compie un grande salto, permettendo a qualcuno di interpretarlo. E questo segna il destino della sua produzione artistica.

Ne ‘Il posto delle fragole’, Bergman guarda a se stesso in maniera critica, non nasconde i propri difetti e si chiede che cosa accade alle persone che, come lui, trascurano tutto eccetto il lavoro.

…un senso di vuoto e di tristezza mi aveva assalito quasi con violenza quando fui distolto dai miei sogni.

Ecco cosa scrive Bergman nel suo diario, a proposito della sceneggiatura:

“Non so dire perché questo film abbia preso vita, ma so che è importante che io usi me stesso sia come albero che come ascia. Alla fine, è questo tutto ciò che ho.”

Ingmar non aveva neanche quarant’anni quando, ne ‘Il posto delle fragole’, ha fatto ritornare l’anziano Victor Sjöström alla propria giovinezza, facendoci vedere la sua famiglia, i suoi genitori. Ha ripercorso più o meno… la sua intera esistenza, proprio come se fosse ormai giunto davanti alla porta della morte.

Sognai di essermi smarrito, durante la mia consueta passeggiata mattutina, in una zona sconosciuta della città. Vagavo fra strade deserte e case in rovina.

Ciò che colpisce lo spettatore, all’inizio, sono le scene degli incubi. Diventa un incubo, ovviamente, vedere… il coperchio della bara che si apre e una mano che spunta fuori. Gli incubi non potrebbero essere più raccapriccianti di così. È un tipo di terrore alla Stephen King! E poi, anni dopo, mi è venuto in mente che quello che era stato detto a noi spettatori, ma non ancora a lui, è che forse è morto, e forse lo è sempre stato. E questa è la spaventosa rivelazione del film.

[Ingmar] Litigavamo in continuazione. Io avevo un’ulcera gastrica latente, che dopo un po’, ovviamente, ha cominciato a fare i capricci. Mi domandavo che cosa sarebbe successo se Victor mi avesse detto, che era troppo vecchio e che non ce l’avrebbe fatta. Ma, che diavolo, ce l’ha fatta!

Me la ricordo come una bella estate. Le giovani attrici prendevano il sole durante le pause della lavorazione. C’era molto affiatamento tra tutti i membri di quella troupe e si creavano anche delle coppie. Si sapeva chi stava con chi, se quei due non stavano più insieme o con chi quell’altro era stato prima.

[Ingmar] A volte, penso che una delle ragioni principali per le quali ho scelto di fare teatro sia stata avere l’opportunità di incontrare delle ragazze. Ma è una teoria alquanto imbarazzante, ed è soltanto una mia congettura.

Bergman fa partecipare la sua prima moglie, Else Fisher, alle riprese de ‘Il posto delle fragole’. La vediamo seduta sulla coperta. E questa è la sua prima figlia, Lena. Un ruolo lo diede anche alla sua amante, Bibi Andersson. Bergman, spesso, non si rendeva le cose facili.

Devo dire che Ingmar sceglieva sempre delle donne molto interessanti. Credo che queste donne abbiano avuto una considerevole influenza sul suo modo di intendere il cinema e l’arte in generale. E questo ha implicato anche un reciproco dare e avere.

Bergman aveva quasi sempre delle relazioni con donne che, in qualche modo, lavoravano con lui. La sua prima moglie, Else Fisher, era la sua coreografa, così come la seconda moglie, Ellen Strömholm. La vita sentimentale di Ingmar Bergman è a dir poco caotica. E nel 1957, lo diventa ancora di più.

Sì, ma credo che Harriet sia venuta… Prima Harriet e poi Bibi.

Sì, ma prima c’è stata Gun Grut, e poi Harriet. Giusto?

Non riesco a ricordarmi con chi stesse, in quel periodo. Forse con Bibi? Non lo so!

Ingmar Bergman sta frequentando Bibi Andersson, nel 1957. Harriet Andersson, stava con lui l’anno prima. Ma, nel ’57, Bergman, incontra anche la sua prossima moglie, Käbi Laretei, e inizia a vedersi con Ingrid Von Rosen, che poi, anche lei, diventerà sua moglie. E tutto questo, mentre è sposato con Gun Grut.

[Ingmar] Ero a Stoccolma, e mi innamorai di una ragazza… Si chiamava Gun. Eccola qui.

Sì.

Quando l’ho vista per la prima volta con Ingmar, mi sono ricordato quello che lui mi aveva detto agli Studi Cinematografici Råsunda, e cioè che lei aveva tutto il fascino femminile di un’ammaliatrice… E infatti lui aveva abboccato all’amo.

Gun Grut ha ispirato a Bergman più personaggi di chiunque altro. Forse perché lei era stata quella più ingannata? Forse i film di Bergman sono dei confessionali.

E io trasformo in arte la tua arte, la tua immortalità, la tua vanagloria e la tua stupida, insopportabile virilità. Ecco cosa ti dico!

La mia giovane moglie mi ha detto che avevate cinquant’anni all’incirca.

La piccola strega!

Stai creando l’ouverture di un’opera.

Sei stata infedele?

Sì.

Bergman ricorda Gun Grut anni dopo, quando scrive ‘L’infedele’, che racconta di come lui e Grut, tradite le rispettive famiglie, fossero scappati insieme a Parigi alla fine degli Anni ’40. E racconta anche la loro storia d’amore, violenta e infelice.

David fa delle domande strane, come se indagasse. E ridiamo… Quella sera, dopo cena… avevamo bevuto più del solito… Quella sera, si è scatenato l’inferno.

Che stai facendo? Sei impazzito? Lasciami andare! David! Che stai… Smettila, David! Ti ho detto di smetterla! Sei completamente pazzo! Lasciami andare! Smettila!

Io sapevo della storia con Gun, e la trovavo terribile. Perciò gli ho chiesto se potevamo cambiarla in modo che lui venisse perdonato o che almeno le chiedesse perdono. Ma Bergman rifiutò e disse che niente poteva essere cambiato. Assolutamente niente.

[Ingmar] Avevo un appartamento… con dentro qualche mobile. Io mi sono sposato… parecchie volte e ogni volta quell’appartamento diventava la casa della mia famiglia. Ma io non mi sono mai interessato molto a come fosse arredato… e a tutto il resto.

Io vedo il mondo di Bergman come un luogo meraviglioso in cui vivere, lontani dal mondo reale. Bergman lavorava agli stessi ritmi di Fassbinder. Fassbinder era dipendente dalle anfetamine. Forse Bergman era dipendente dal sesso?

[Ingmar] Per gran parte della mia vita, questa infedeltà è stata un vero trauma per me. Io sono stato notoriamente un infedele, sia nella vita sentimentale che nelle amicizie.

Le mie migliori amiche erano le sue mogli… le sue amanti, le sue donne, o qualsiasi cosa fossero.

Parliamo di un erotomane. Deve aver vissuto… in una sorta di bolla di tracotanza, piena di testosterone.

L’estate del 1957 sta giungendo al termine. Alla fine di agosto, le riprese de ‘Il posto delle fragole’ sono finite. Bergman dovrebbe essere sull’orlo di un esaurimento: le donne, il teatro, i film, il suo stomaco. Invece, si prende una pausa e va a Stoccolma, dove gira un altro film, ‘Alle soglie della vita’, ambientato in un reparto maternità.

[Scena da “Alle soglie della vita” – 1958]

Mamma… sto per avere un bambino. Perciò sono stata poco bene. Volevo abortire, ma non ce l’ho fatta.

[Dal libro di Ingmar Bergman: Immagini] “Mi ricordo che il consulente medico del film mi permise di assistere a un parto. Fu un’esperienza scioccante, ma formativa. Nonostante io abbia avuto cinque figli, non avevo mai assistito a un parto.”

Bergman si sbaglia. Ha sei figli, all’epoca. Ma ora che la sua carriera sta decollando, non ha tempo per la famiglia.

Quelle donne, nelle loro varie fasi, erano probabilmente tutte contemporanee, nella vita di Bergman. Sia che stessero perdendo un bambino, che fossero rimaste incinte da poco o che stessero per partorire. Questa brutta situazione era, in un certo senso, molto vicina ai testicoli di Bergman. Oppure al suo cuore. Dipende dall’angolazione da cui si guarda.

[Ingmar] Mi sentivo davvero in colpa, fino a quando… non ho capito che avere la coscienza sporca… per una cosa così seria, come l’aver abbandonato i propri figli, è soltanto civetteria. È mostrare al mondo un frammento di sofferenza che non potrà mai essere paragonato alla sofferenza che devono patire le altre persone. Sono stato distratto, con le mie famiglie. Non ho fatto alcuno sforzo nei loro confronti.

Nostra madre, una volta, fece un’osservazione su Ingmar, disse che non riusciva a capire perché lui dovesse sposare ogni ragazza con cui andava a letto. E lei era una donna di chiesa…

[Ingmar] Ero profondamente innamorato di mia madre. Lei era bellissima e per certi versi, irraggiungibile. A volte, era molto fredda, altre volte più affettuosa, ma ogni tanto teneva lontani noi bambini. Non sapevamo mai come si sarebbe comportata. Ma io ero assolutamente certo di una cosa, che l’amavo profondamente. E questo è uno dei miei primi ricordi d’infanzia: l’aver avuto un legame così forte con mia madre.

La madre di Bergman è stata ampiamente rappresentata nei suoi film. In molte produzioni degli Anni ’90, Bergman continua ad allargare la propria autobiografia cinematografica esplorando i rapporti con i suoi genitori e soprattutto, con sua madre.

[Scena tratta da “Il figlio della domenica” – 1992]

Ho pensato di prendere i bambini e andarmene via per un po’.

A te non piace la mia famiglia. Vuoi umiliare mia madre! Vuoi pareggiare i conti in un modo sofisticato. Ammettilo, dai!

[Ingmar] La penso così, perché il primo rapporto che si ha con le donne è quello con la propria madre e anche con le madri degli altri. Questo ci porta a farci un’idea piuttosto particolare delle donne. Siamo cresciuti con l’ideale Vittoriano della donna come madre, una donna che fosse irreprensibile e perfetta. E vedevamo anche un atteggiamento totalmente ostile nei confronti della sessualità. Io, almeno, sono stato educato così.

[Scena tratta da “Il silenzio” – 1963]

Va’, aspettami in camera. Facciamo un sonnellino.

[Ingmar] Questo ha reso le donne qualcosa di misterioso e pericoloso che deve essere analizzato e che si osserva, profondamente affascinati, ma con immenso timore.

[Ingmar] Sia il teatro che il cinema sono, in maniera incontestabile, dotati di una carica fortemente erotica. In queste circostanze, è molto facile che scocchi la scintilla del sesso.

Era un ricercatore che si addentrava in argomenti che lo incuriosivano molto. Voleva capire e si prendeva tutto il tempo che gli serviva. Lo si vede nelle sue sceneggiature, nella sua capacità di tirar fuori il meglio dalle attrici e nel modo di raccontare le loro storie.

L’innovativo ritratto delle donne che fa Bergman ne ‘Il silenzio’ ha aspetti che, ancora oggi, risultano provocatori. Il film viene censurato e, da subito, molto discusso.

Io credo che Bergman avesse un lato femminile molto sviluppato. Sentivo che capiva profondamente le donne. Avevamo un ampio spazio e infiniti colori con i quali giocare.

Ci sono scene molto potenti, ma anche piene di aggressività. Come in ‘Sussurri e Grida’, nel momento in cui la protagonista si ferisce la vagina. Tuttavia, io difendo quelle scene, perché contengono tanti altri significati. Queste donne sono forti, coraggiose, ma anche sensibili. Bergman aveva sentimenti contrastanti riguardo alle donne, ma quale artista di sesso maschile non è ambivalente nei loro riguardi?

In un certo senso, i suoi personaggi femminili sono diventati una cassa di risonanza, o se si vuole lo schermo su cui Bergman può proiettare le emozioni da lui immaginate e può rappresentare la sensibilità umana.

Non portavo mai via i ruoli alle mie amiche attrici. No, io li portavo via a Max Von Sydow e a Erland Josephson. Ma se avesse voluto loro, Ingmar avrebbe scritto dei film che parlavano di uomini, non di… donne. Lui, in realtà, voleva parlare semplicemente di esseri umani.

[Persona – 1966]

[Ingmar] Sono ancora soddisfatto di com’è venuto ‘Persona’, ma oggi l’avrei potuto fare in modo diverso. Però se uno sapesse sempre quello che sta facendo… forse non lo farebbe neanche.

[Ingmar] ‘Persona’ è nato da una riflessione sul concetto di verità. Volevo capire quale fosse la verità, e quando diciamo la verità. Alla fine era diventato tutto così difficile che ho capito che l’unica verità è restare in silenzio. Poi però, compiendo un ulteriore passo in avanti, è diventato chiaro che anche quello è interpretare un ruolo. È solo un’altra maschera, dunque dovevo salire ancora di livello.

Anche ‘Persona’ continua a raccontarci Ingmar Bergman. Le due donne protagoniste rappresentano i due aspetti del regista: uno è silenzioso per evitare di mentire, l’altro non smette di parlare.

L’acqua è fredda dopo il temporale. Troppo fredda.

Non ci separiamo da nemiche.

Non siamo tanto lontani da quello che accade nel film ‘Persona’, dove l’artista utilizza le persone, le studia e ne fa uso. Io credo che, in un certo senso, Bergman utilizzi i suoi attori per renderci visibile, per esternarci ciò che ha dentro e che anche lui sta cercando di scoprire.

[Persona – 1966]

Ti sei servita di me. Non so per che cosa, ma adesso non ti servo più e così mi butti via.

[Ingmar] In realtà, l’idea per il film mi è venuta quando ho visto una foto di queste due ragazze… erano sedute una di fianco all’altra e prendevano il sole. Ho pensato che fosse molto interessante, e che sarebbe diventato un buon film.

[Ingmar] ‘Persona’ e ‘Sussurri e grida’, sono i due film che metto da parte. Non posso andare oltre.

Durante le riprese di ‘Persona’, Bergman era sposato con Käbi Laretei, ma lui e Liv Ullmann diventano amanti.

Quando Ingmar era solo Ingmar, nella sua vita di tutti i giorni, era l’uomo più comune e normale con il quale… si potesse stare. Quando era Ingmar Bergman, invece, aveva le sue regole. “Non entrare nel mio ufficio quando sto creando. Quando la porta è chiusa, è chiusa. Devo fare colazione da solo, perché sto creando.”

Gli piaceva molto guardare in televisione, ‘La saga dei Forsyte’, e qualche altra serie che amava. Facevamo passeggiate. Prendevamo il traghetto per andare a comprare il giornale della sera. Facevamo cose molto semplici. Parlavamo a lungo… sdraiati sul nostro letto, che guardava il mare. Parlavamo di tutto quello che avevamo sempre sognato e di cose che non avevamo avuto il coraggio di dire a nessun altro. Parlavamo e fantasticavamo di questo. Erano argomenti sciocchi e infantili, immaginavamo che dei pirati arrivassero dalla Russia per attaccarci. E storie di fantasmi! Ce le raccontavamo a letto, lui era un esperto di storie di fantasmi. Era bravissimo… davvero il miglior amico che io abbia mai avuto. Non mi ha mai… mai fatto niente di male. Mai… E questa… è l’unica cosa che posso dire.

[Ingmar] Se fai un film che milioni di persone vedono e una o due persone stanno meglio, o accendono una nuova luce nella loro anima, allora il film non è stato inutile.

[La fontana della vergine – 1960]

[Ingmar] Ho sempre considerato girare dei film un’eccezionale opportunità per superare i limiti, per far passare la mia mano attraverso l’involucro della realtà, per raggiungere altri mondi, per riunire accadimenti… e tensioni. Quello che, a mio avviso, rende il cinema così misterioso e straordinario… è il fatto che aggiri l’intelletto e ci parli direttamente… Che è anche ciò che lo rende pericoloso. Parla direttamente alla nostra coscienza… e all’inconscio.

Lo facciamo ora?

[Ingmar] No, andiamo avanti. Esattamente lì. Vai avanti… Lì! Ora vai indietro. E ancora avanti. Sì! Perfetto!

Durante l’autunno del 1957, Bergman cura il montaggio de ‘Il posto delle fragole’.

[Ingmar] I film sono totalmente basati sul ritmo. È tutta solo una questione di respiro e di ritmo.

Il 16 novembre, viene trasmessa la sua riduzione radiofonica de ‘I giocatori’, di Gogol.

Per il ciclo di prosa radiofonica, abbiamo trasmesso ‘I giocatori’, regia di Ingmar Bergman.

Un mese dopo, ‘Il misantropo’ di Molière viene presentato al Teatro di Malmö.

[Ingmar] Quello, parlando di teatro, è stato il momento più bello della mia vita, perché nessuno ha interferito nel mio lavoro, e io ho potuto contare sui migliori attori svedesi del momento. È stato senza dubbio un periodo meraviglioso.

Quando Bergman mette in scena ‘Il misantropo’, nel1957, tutto va alla perfezione. Lui lavora con i suoi attori preferiti e riempie sempre la sala. Ma quando, quarant’anni dopo, rimette in scena quello spettacolo a Stoccolma e spera di rivivere la medesima atmosfera positiva di allora, le cose non sono più le stesse. I tempi sono cambiati, gli attori sono giovani e Bergman è ormai anziano ed è diventato incredibilmente potente.

Un’indagine per frode fiscale a Stoccolma, presumibilmente la più grande mai fatta…

…nei confronti di un regista e di alcuni attori…

Negli Anni ’70, Bergman viene accusato di evasione fiscale, perché ha una società offshore in Svizzera. Ma l’indagine viene chiusa. Ciononostante, Bergman si sente pubblicamente umiliato e, furioso, lascia la Svezia.

Possiamo parlare di quando è stato fermato per essere interrogato?

[Ingmar] Ero completamente confuso. Due giorni dopo sono stato assalito dalla depressione.

L’hanno trattata come un criminale?

[Ingmar] Sì, esattamente.

Si stabilisce in Germania, ma è ancora furioso con le autorità svedesi.

[Ingmar] Io non posso lavorare e neanche, di conseguenza, vivere in un Paese i cui burocrati mi hanno insultato pubblicamente e senza fondamento, mettendo in discussione la mia rispettabilità.

L’esperienza è traumatica, sia per Bergman che per tutta la Svezia.

Qui sentiamo la sua mancanza. Il suo naturale luogo di lavoro è la Svezia: Fårö e Stoccolma. Vorremmo davvero che tornasse.

Quando Bergman torna in Svezia, all’inizio degli Anni ’80, sono in molti a sentirsi in colpa… E lui ne approfitta per fare tutto quello che vuole.

[Ingmar] Le cose… fanno davvero ben sperare. C’è un’ondata di giovani attori preparati, capaci e molto promettenti. Non vedo l’ora di lavorare con loro.

Ne ha già individuati alcuni che potrebbero diventare attori di Bergman?

[Ingmar] Ce n’è sempre qualcuno. Sicuramente.

Ha già i suoi preferiti?

[Ingmar] Sì, mi permetto di fare delle scelte.

Ingmar Bergman era il re, l’imperatore. Chiunque volesse recitare nel miglior teatro del mondo, aveva bisogno del suo consenso. Gli dovevi piacere.

[Ingmar] Siediti!

L’atmosfera era carica di tensione, perché c’era Bergman. Quando Bergman provava, non si faceva rumore. Si camminava in punta di piedi.

Quando recitavi in un suo spettacolo, lo percepivi, se era fra il pubblico.

Era come essere messi su un vassoio d’argento. Non ci dovevano essere elementi di disturbo. Il pavimento doveva essere strofinato, tutto doveva essere perfetto. Potevamo sederci e ammirare ciò che stava per accadere.

Di fatto, tutti avevamo paura. Paura di dimenticare degli oggetti di scena, di far partire in ritardo un brano musicale. Perché in quel caso, sapevamo che la sua rabbia ci avrebbe annientati.

Ingmar, tu rimani qui…

[Ingmar] Dannazione, certo che rimango qui!

Sì. Sì! Ma che diavolo…

Ingmar?

[Ingmar] Sì!

Tutte le mattine… prima che lui entrasse in sala prove, i pavimenti venivano lavati, le finestre aperte, il suo tavolo sistemato al suo posto. Ci doveva essere silenzio assoluto. L’impianto di ventilazione veniva spento. Non volava una mosca. E tutto questo faceva pensare che lui fosse una persona estremamente seria.

Ma era anche… un gioco nevrotico.

Bergman lavora a grandi produzioni teatrali e il suo potere cresce. Ora è lui a decidere chi deve rivestire le cariche più importanti allo Svenska Filminstitutet, alla Televisione Nazionale Svedese, e al Teatro Reale Drammatico. E se qualcuno osa criticare Bergman, avrà grossi problemi.

La cosa peggiore fu la chiamata che ricevetti dal Teatro Reale Drammatico: “Adesso Ingmar Bergman si è anche ammalato. Ed è tutta colpa tua. Pensa… Pensa se dovesse morire! Sarebbe soltanto colpa tua!”

Ingmar è come Babbo Natale: distribuisce regali. Alcuni se li meritano, ad altri vengono negati, altri se li dovranno guadagnare. Perché lui era un grande manipolatore ed era arrivato ad avere il controllo ovunque. Era diventato l’artefice del destino di tutti noi.

O forse dovrei stare…

[Ingmar] Sì. Sì, esatto. Sì… Ah!

Oh, no, ti sei fatto male?

[Ingmar] Cosa? Mi si è bloccato un muscolo. Maledizione.

Chi gli stava attorno era sempre molto accondiscendente. Questa mancanza di carattere da parte degli altri lo fece diventare una specie di monumento.

I leccapiedi intorno a lui non si contavano. E tra loro, c’era il tipico bullismo da cortile della scuola, giocavano sporco… Perché tutti sapevano che recitare in un film di Bergman spalancava le porte anche a una prestigiosa carriera all’estero.

Mi rendevo conto che si comportava come un predatore. Ingmar era un carnivoro. Dunque, decisi di non farmi fregare. Ero terrorizzato di non riuscire a ricordare le mie battute, non volevo che succedesse davanti a lui. Un giorno, quando arrivammo al mio monologo, lui disse:

“Ehi, ehi, Micky il Cazzone, ti ho un po’ accorciato questa roba. C’erano un bel po’ di cose che non avevano senso.”

E io: “Cosa vuole che faccia?”

“Vieni avanti, facci sentire il tuo biascichio, e poi puoi anche andartene.”

“Biascichio? Intende il mio monologo?”

“Oh, oh, oh, sì. Cos’è, ti dispiace?”

“E io: no, per niente.”

E lui: “Oh, avete sentito tutti? A Mikael non piace essere diretto da me.”

Se Bergman ha problemi a lavorare con le persone, le cose si complicano ancora di più quando non è con le persone che deve lavorare.

Si impara presto che gli animali sono difficili da riprendere, però è tutto più bello, se ci sono degli animali in scena. Bergman non li utilizzava spesso, fatta eccezione per i gatti. Ma i gatti non fanno mai quello che vuoi che facciano, anche se ti chiami Ingmar Bergman. Li nutrivamo, li stancavamo e li sedavamo anche leggermente, ma scappavano sempre via lo stesso.

Forse lui era troppo agitato per loro.

[Ingmar] No! Maledetto gattaccio!

Credo che fosse in ‘Una vampata d’amore’ che volevano utilizzare un orso. E alla fine, riuscirono ad averne uno in prestito da uno zoo, mi pare. Ma a un certo punto delle riprese, Bergman si era talmente infastidito che disse qualcosa come: “Togliete subito di mezzo quel maledetto orso.” Il proprietario si offese, ovviamente, perché era un tipo molto permaloso. E aveva avuto l’impressione che il suo orso fosse stato trattato male. Disse che se avessero voluto continuare, Bergman si sarebbe dovuto scusare con l’orso. Immaginatevi la scena! L’orgoglioso ed egocentrico Ingmar Bergman che deve scusarsi con un orso per poter continuare a girare.

[Una vampata d’amore – 1953]

In molti hanno conosciuto la furia di Bergman, che ha dettato legge al Teatro Reale Drammatico per anni. Ora va in scena ‘Il misantropo’, per la prima volta dal 1957. Il protagonista è interpretato dal famoso attore e regista Thorsten Flinck.

Cos’è questo strano mondo in cui viviamo? Dove esser franchi e dire le cose viene considerato fuori luogo. Dove tutti si chiamano amici.

Thorsten Flinck era un attore geniale e un regista emergente. Mentre Ingmar Bergman era alla fine della sua carriera. Thorsten era anche… estremamente affascinante.

Non ci sarà un’ambientazione realistica. Non reciteremo in una classe con una lavagna. No. Reciteremo dietro le sbarre. In una gabbia.

Thorsten Flinck aveva decisamente l’aura di chi avrebbe fatto la differenza, di un artista dotato di un talento eccezionale. Sia come attore, che come regista.

Se una persona si sente minacciata dal talento di qualcun altro, di solito, si costruisce una sorta di pregiudizio negativo. Era come se Ingmar volesse eliminare la concorrenza.

Mentre provavamo ‘Il misantropo’, la moglie di Bergman era gravemente malata. E lui sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Quello è stato un momento molto particolare della sua vita.

Ingrid Von Rosen, la quinta moglie di Bergman, è il grandissimo amore della sua vita. Sono stati sposati per venticinque anni e Bergman è distrutto. Per la prima volta nella sua lunga carriera, non riesce a concentrarsi completamente sul lavoro. Non era tanto presente, prendeva dei farmaci molto pesanti, ed era estremamente infelice.

‘Il misantropo’ va in scena e fa il tutto esaurito, per un anno. Ma Bergman non segue il suo spettacolo. È depresso e rimane a casa.

Si disinteressò di quello spettacolo, che non saprei dire di quanto finì per allontanarsi dalla sua idea iniziale. Ma sono sicura che Thorsten ne abbia approfittato per fare molta sperimentazione.

Bergman non vede il suo spettacolo da parecchio tempo, ma assiste all’ultima rappresentazione svedese prima che la compagnia parta per New York.

Penso che Ingmar sia rimasto davvero scioccato. Immediatamente si rese conto di essere lui il colpevole se il lavoro che era stato fatto lasciava molto a desiderare. E chiaramente, non riusciva ad accettare quella responsabilità.

La gente entrava e a un certo punto qualcuno chiese a Bergman se sarebbe venuto anche lui. “No, io non vengo. Entrate e sedetevi. Ci siete tutti?”

Eravamo tutti seduti attorno al grande tavolo di quercia. Era il giorno del mio compleanno. Praticamente ogni sedia era occupata dagli attori e dai tecnici. L’unico posto libero era quello di fronte al grande maestro, quindi, io mi sono seduto lì.

Tutti pensavano che sarebbe stato come al solito: biscotti secchi e succo con acqua frizzante. E poi, in quello strano silenzio che ricordo, anche se sono passati venticinque anni… tutti improvvisamente cambiarono espressione, quasi prevedendo l’arrivo di una notizia spiacevole.

E Ingmar comincia a parlare: “Ehi, gente, siamo qui tutti insieme, come una grande famiglia numerosa. Ma quello che ho da dirvi non è molto divertente. Noi non andremo a New York.”

Ingmar, in quel momento, era divorato dalla rabbia. “Lo spettacolo finisce qui. Niente tour. E questo per colpa di una sola persona. Se tutti guardate… Guardate!”

Era deluso da ognuno di noi, ma soprattutto da Thorsten.

Era questo che pensava: che fosse tutta colpa di Thorsten.

Mosse delle critiche a Thorsten, anche sul piano personale.

È stata la tortura psicologica più terribile alla quale io abbia mai assistito.

Eravamo tutti ammutoliti.

Nessuno si sarebbe aspettato di assistere a quello che successe in quella stanza. E poi ci disse di andare fuori.

“Ah, tu no. Tu rimani.” Mi puntò il dito contro.

E dovevo rimanere anch’io, quindi ci siamo riseduti.

“Tu, ripugnante bastardo. Sei così…” No, davvero, non pensavo che potesse andare oltre, e invece ci andò, eccome.

Se ne stava lì, con un’espressione nauseata e lo stomaco in subbuglio.

“Ho dovuto chiedere ad Antonia di uscire a prendermi un secchio. Mi è venuto un conato di vomito, perché Thorsten mi ha fatto schifo. Lo vedi? È tutta colpa sua! Tu hai rovinato la mia commedia!”

Sembrava la scena finale di una tragedia shakespeariana. Era la lotta per il potere del re contro il principe, il futuro geniale regista. Non stava cercando di dimostrargli… che era stato lui a rovinare lo spettacolo. Voleva semplicemente distruggerlo.

Mi fece davvero molto male.

Ingmar Bergman comincia a staccarsi dal Teatro Reale Drammatico, mettendo in scena solo altri cinque spettacoli. Fugge dal mondo e si ritira sull’isola di Fårö. A dire la verità, lui è sempre fuggito dal mondo. È fuggito dalle mogli, è fuggito dai figli, dal suo Paese, dalla competizione, è fuggito dalle responsabilità… e dalla realtà. Nei suoi film, ha creato un mondo tutto suo. Un mondo nel quale ci racconta l’uomo Ingmar Bergman.

[Il poste delle fragole – 1957]

Non capisco mai se mia moglie piange davvero o fa finta. Adesso però mi domando se sia vero. Sì, penso di sì. Sì, dev’essere così la morte.

Oh, taci.

C’è un limite a quanto male ci si possa comportare, e a quanto pesantemente si possano calpestare gli altri. Ma… la storia ci mostra di continuo che riusciamo a perdonare i grandi artisti… quando quello che ci sanno dare è molto bello, quando i film e gli spettacoli teatrali sono straordinari. Forse c’è una compensazione, ma non si dovrebbe mai arrivare a distruggere gli altri. Anche se credo che Bergman, non avrebbe raggiunto vette eccelse, senza il suo lato oscuro.

È ormai il dicembre del 1957. ‘Il posto delle fragole’ viene presentato il giorno di Santo Stefano. È il momento in cui Bergman spicca il volo, ma questo è solo l’inizio. Le capacità artistiche che sta dimostrando danno alla Svezia un’enorme risonanza a livello mondiale. I ritmi frenetici, la grande qualità… tutto comincia nel 1957.

[Ingmar] Bergman… Seconda.

Bergman gira ‘Il volto’, ‘La fontana della vergine’, ‘Come in uno specchio’, ‘Luci d’inverno’, ‘Il silenzio’, ‘Persona’. Diventa inarrestabile.

Non sarò mai come te. Mai. Io cambio in continuazione.

“INGMAR BERGMAN IL SILENZIO”

A Cannes le sono stati assegnati cinque premi, negli Anni ’50. Ha ottenuto due Leoni a Venezia e l’Orso d’Oro a Berlino. E ha vinto anche due premi Oscar. Tutto questo negli Anni ’50. Negli Anni ’60, poi, premi e riconoscimenti sono continuati ad arrivare. Lei è senza alcun dubbio l’uomo con il palmarès più ricco della storia del cinema.

Ingmar Bergman, lei ha vinto il premio Oscar per il miglior film straniero, due anni consecutivi… Se lo aspettava?

[Ingmar] No, questa volta no. Non pensavo che l’avrei vinto… più di una volta.

Non c’è nessuno come Ingmar Bergman. Un artista, un artigiano… Un maestro.

Bergman è un grande cartografo. Voglio dire, parlando del XVI e del XVII secolo, quando furono scoperti nuovi continenti… lui ha un po’ questo ruolo… di esploratore, come regista. Ha l’ambizione, quasi colonizzatrice, di approdare su terre che, altrimenti, non avremmo potuto raggiungere, non avremmo mai potuto conoscere. E di portarle alla luce, che è poi la missione del cinema.

…che cerca di comprendere… il viaggio dell’anima e tenta… di descriverlo.

[Sinfonia d’autunno – 1978]

Eri convinta di avermi trascurata e volevi farti perdonare. Mi sono difesa come meglio ho potuto, ma potevo fare ben poco.

Alla fine degli Anni ’60, Bergman inizia a girare a colori e continua a creare splendidi film sulla sua vita e sulle sue relazioni.

[Scene da un matrimonio – 1973]

Ecco.

Ora guardatevi come se vi voleste bene. Sì, esatto. Fermi così. Perfetto. Grazie, io ho finito.

Puoi farne ancora qualcuna?

[Passione – 1969]

Il suo nuovo incarico è un grande onore, anche se ci scherza su. È un uomo di grande successo. Nei secoli dei secoli. Amen.

E se continuassimo a inquadrare lui?

Poi, arrivano gli Anni ’80, e Bergman gira il suo film più famoso. Il film che parla della sua infanzia.

[Ingmar] Fate partire la musica. E il brusio. La musica, per favore. Pronti? Azione!

[Fanni e Alexander – 1982]

‘Fanny e Alexander’ può legittimamente essere considerato la sua opera omnia, il suo film più grandioso.

[Ingmar] E poi posizioniamo il burattino. È la magia più grande che possa esistere… Uno, due, tre! Credo che questo sia uno dei miei film più gioiosi. Direi di averlo sempre considerato, in qualche modo, un film ottimistico.

Ha cercato di nuovo di evitarci, arrivando con un anonimo taxi, dopo un lungo giro, ma l’abbiamo visto e seguito. Doveva lavorare e questa volta nessun passaggio segreto ha potuto aiutarlo.

Prima domanda: Come sta?

[Ingmar] Sto bene. Ho molto lavoro da fare.

Come ci si sente ad aver vinto quattro Oscar?

[Ingmar] Non li ho vinti io. I vincitori sono stati… il direttore della fotografia, la scenografa, il costumista e il film stesso. È meraviglioso. Sono molto contento.

Pensa che…

[Ingmar] Non è difficile camminare all’indietro?

Ingmar Bergman… La nomino Commendatore.

[Telefonata, auunno 2006]

Pronto.

Pronto.

Ciao, Ingmar. Come stai?

Sono stato nella “Valle della Morte”…

Davvero?

Sì, sono stato molto male.

Ah, sì?

Sì.

“In questi giorni, in pratica… vivo da solo. Completamente solo, cosa che mi si addice parecchio.”

Vedevo la sua grande solitudine. Non esisteva una persona più sola di lui. Era un uomo… solo e sanguinante.

“Puoi darmi un po’ di calore umano?”, mi diceva… Voleva che stessi dietro di lui, quando aveva finito di mangiare, e che gli massaggiassi le spalle, per qualche minuto. Era una cosa veramente molto commovente. E alla fine, dopo circa quattro o cinque minuti, mi diceva: “Ho avuto abbastanza calore umano. Ora puoi anche andare.”

[Ingmar] Grazie!

Sì… credo che lei abbia assolutamente ragione. Era solo fino in fondo all’anima. Non c’è un’alternativa al rimanere soli, se una persona è arrivata dov’è arrivato Ingmar. Non c’è tempo per una normale vita familiare. E neanche per coltivare le amicizie.

A Cannes, nel 1998, a Ingmar Bergman viene assegnata la Palma delle Palme. La giuria è composta dai più importanti registi del mondo. Oggi, a distanza di vent’anni, continua a essere fonte di ispirazione.

Significa tutto per me, quello stronzo. E io lo amo profondamente.

È straordinario ricevere una simile eredità. Sì, può darsi che fosse una persona sgradevole. Però, ragazzi! Ci ha lasciato questa mole… di opere immense. Ed è per sempre!

Era così coraggioso. Non aveva paura. Posizionava la macchina da presa per catturare l’intimità più profonda.

Il suo tempo, e tutto ciò che il suo mondo ha dovuto affrontare, ha creato il suo genio. I suoi capolavori hanno condizionato l’umanità intera. Doveva andare così.

Vorrei che Ingmar Bergman fosse ricordato come colui che ha dato uno dei più straordinari contributi al cinema e al teatro.

È uno dei grandi maestri del cinema.

Credo… che non vedremo mai più un’artista così grande, in Svezia. Bergman ha significato per noi… più di Strindberg.

Mio padre… mi ha chiesto di chiedere a voi di perdonare un uomo anziano di non essere qui, stasera. Ha detto: “Dopo anni e anni, in cui ho giocato con le immagini della vita e della morte, la vita stessa mi ha infine raggiunto e mi ha reso riservato e silenzioso.”

Fino ad ora, Ingmar Bergman è stato l’unico ad aver ricevuto questo premio.

[Ingmar] Però se metto le orecchie dentro al cappello…

Dottor Bergman…

[Ingmar] Eh…?

Ingmar Bergman muore il 30 luglio del 2007, all’età di ottantanove anni. Quest’anno, ne avrebbe compiuti cento.

[Ingmar] Uno dei primi piani più belli che abbia mai fatto nella mia vita… è quello alla fine di questo film. Lui, a un tratto, ripensa alla sua giovinezza, al suo primo amore, ai suoi genitori, e lì io gli faccio questo lungo primo piano. È uno dei più belli che io sia mai riuscito a fare.

Il 1957 sta finendo. Due anteprime di film, altri due in lavorazione, un film per la televisione e quattro spettacoli teatrali in un solo anno. Una vita privata intricata, con quattro relazioni e sei figli. E un approccio narrativo che rappresenta una nuova e fondamentale svolta e apre la strada, nel cinema, a una vita piena di una magia senza precedenti. Ma che cosa ne pensa, Bergman, di questo anno folle?

Immagini che il 1957 sia stato il suo anno migliore…

[Ingmar] Perché avrebbe dovuto esserlo?

Ma… lei cosa ne pensa? Due dei suoi più grandi film…

[Ingmar] No. No, io non la vedo così. Io non valuto… Non è il modo in cui penso al mio lavoro. Perché, vede… Vede, io ho un film… Le ho appena scombinato l’inquadratura, vero?

Non si preoccupi.

Mi si stava addormentando il sedere.

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Ingmar Bergman

Images and Words In Ingmar Bergman’s Films

In teaching the films of Ingmar Bergman it has become increasingly clear to me that it is his personal vision which attracts the students. Those who do not share that vision often find Bergman unexciting; they argue that technically he has added little to the art of film making and that in the area of cinematic form he remains a borrower rather than an inventor.

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