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JUVENTUS-LIVERPOOL 1-0: UNA VITTORIA, UN INCUBO

Cabrini, Scirea e Tardelli sono i tre alfieri juventini che hanno vinto tutto ciò che c’era da vincere al mondo. Ma come gioirne oggi?

LA PARTITA/IL RECORD FINITO NEL SANGUE

di Ivan Zazzaroni

BRUXELLES. Quest’ultima Coppacampioni è un’orrenda miscela calcio-violenza-sangue-onore-vergogna-disoccupazione-emancipazione-morte-droga-tradimento-birra-incapacità-demagogia. Non è spettacolo, se non quello della morte allo stadio. Non è vittoria, non è gioia autentica ma lacrime, lacrime versate per i caduti di un conflitto assurdo. Qualcuno ha detto che il successo è la miglior vendetta. Non sempre, non in un caso del genere. Ne sanno qualcosa Tardelli, Scirea e Cabrini, alfieri di una squadra — ma anche di una selezione nazionale — destinata a produrre vittorie, gente che oggi può davvero dire di aver vinto tutto: Coppa del mondo, campionato, Coppacampioni, Coppacoppe, CoppaUefa, Coppa Italia, Supercoppa, Mundialito per club. Nemmeno intimamente i tre possono ripensare con soddisfazione al traguardo tagliato, ora che hanno l’esatta percezione di ciò che è accaduto in una serata che resterà per sempre impressa nella loro memoria. «Preferiamo non fare commenti tecnici a una partita giocata soprattutto per gravi motivi di sicurezza, e poi questi commenti tecnici suonerebbero assurdi data l’ampiezza della tragedia — hanno scritto, insieme a Rossi, in una lettera consegnata alla stampa straniera — Non volevano giocare per rispetto dei nostri compatrioti morti. Ce lo hanno imposto… Non sapevano cosa fare alla fine della partita: onorare le vittime, dirigerci verso il luogo del disastro e magari eccitare ulteriormente gli animi, oppure recitare sino in fondo la nostra parte, perché dopo tutto credevamo il pubblico ignaro della tragedia. L ‘abbiamo fatto con la morte nel cuore e ora speriamo che nessuno ci chieda più una cosa del genere. Mai più. L’unico nostro pensiero è per i morti, i nostri feriti, le famiglie delle vittime, la loro angoscia, il loro dolore, i loro problemi…».

UMILIAZIONE. Il pensiero di Antonio, Gaetano, Marco e di tutti noi va ai morti e non alla Coppa dell’Heysel. Va anche a quella partita subita: un ossessivo, umiliante confronto con i cadaveri del settore Z e con la gente che da casa seguiva attonita le agghiaccianti immagini tivù. Un incontro di calcio che ai più ha ricordato quello da grande schermo giocato in un campo di concentramento nazista u-nicamente per tenere calmi i rivoltosi e che si scioglieva in un drammatico (e anche spettacolare) finale. Altre immagini, altri ricordi, altri pensieri si accavallano a pochi giorni da quella orgia di sangue che, alla 19 e 15, era ancora e soltanto il dodicesimo rendez-vous della Juve con la Coppa più agognata. Torna alla mente quel biglietto che doveva offrire il divertimento totale e che, invece, ha portato la morte.

ACCHIAPPATUTTO. Questa tristissima storia non è che il frammento dai risvolti più drammatici del romanzo calcistico scritto da Tardelli, Cabrini e Scirea. Nessuno prima d’ora aveva prodotta un’opera sportiva così suggestiva, opera della quale tentiamo una riduzione. Stagione 1977-’78, arriva a Torino Giovanni Trapattoni. La Juve tutta italiana di Scirea, Tardelli e Cabrini riserva di lusso che ha appena vinto Coppa Uefa (battendo nell’ordine Manchester City, Manchester United, Shaktior, Magdeburgo, Aek e Atletico Bilbao in finale) e campionato a quota record (51 punti), affronta per l’ottava volta l’avventura della Coppa dei Campioni. Supera i ciprioti dell’Omonia, gli irlandesi del Glentoran, gli olandesi dell’Ajax, ma si blocca a Bruges per la rete messa a segno da Van der Eycken al 117’, un minuto dopo l’espulsione di Gentile (un episodio discusso). È la squadra di Zoff, Cuccureddu, Gentile, Furino, Morini, Scirea, Causio, Tardelli, Fanna, Benetti, Bettega, Boninsegna, Virdis e Cabrini. La Juve ci riprova nel ’78-’79, uscendo al primo turno perché domata dai Glasgow Rangers, e nell’81-’82, quando lo stop si registra al secondo turno, a Bruxelles contro l’Anderlecht, dopo che i bianconeri hanno avuto ragione del Celtic (0-1 e 2-0). Il 1982 è l’anno del Mundial di Spagna: dell’insuperabile difesa di Scirea e Cabrini e della pazza corsa di Tardelli dopo il gol al Bernabeu. L’83, invece, consegna la Coppacoppe al termine di una spavalda e vittoriosa campagna durante la quale cadono una dopo l’altra Lechia Varsavia, Paris S. Germain, Haka, Manchester United e Porto a Basilea. Scirea, Cabrini e Tardelli sono sempre presenti, così come lo erano — o lo saranno — in occasione dei trionfi in campionato dell’81 e dell’82, in Coppitalia del ’79, e dell’83 e —    se vogliamo considerarlo manifestazione semiufficiale —    del Mundialito ’83. Al completamento del bottino manca dunque la Coppa dei Campioni, quel trofeo che nemmeno ad Atene, contro i tedeschi dell’Amburgo, Zoff, Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Bettega, Tardelli, Rossi, Platini e Boniek riescono a conquistare. Il dodicesimo assalto è quello buono (si fa per dire). Nell’ordine vengono superati il Tampere, il Grasshoppers, lo Sparta Praga, il Bordeaux e il Liverpool. Con Tacconi, Favero, Bonini, Brio, Briaschi, Rossi, Platini e Boniek sono sempre Scirea, Cabrini e Tardelli.

I VINCITUTTO. Al di là delle spiegazioni tecnico-tattiche dei loro successi, restano i ruoli di protagonisti recitati dal libero, dal terzino e dal centrocampista della Juventus e della Nazionale. Restano il loro temperamento, la loro esuberanza atletica e psicologica. Restano tre fior di campioni.

Guerin Sportivo, n. 23 – 5-11 giugno 1985

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