BRUXELLES, 29 MAGGIO
LA COPPA INSANGUINATA
La strage dell’Heysel deve insegnare molto anche al calcio italiano.
Le responsabilità degli inglesi, dell’UEFA, degli organizzatori e della polizia del Belgio.
È giusta la punizione dei club inglesi innocenti? La Coppa deve restare a Torino: con l’impegno di rivincerla subito
di Italo Cucci
I GIORNI che passano sembrano allontanarci dalla tragedia di Bruxelles, ma gli occhi e il cuore la trattengono, rifiutando d’accostarsi ancora al calcio, allo sport che ha rallegrato tanti anni della nostra vita.
Il compiacimento tante volte esternato d’essere testimoni d’un mondo diverso, negato alle quotidiane amarezze dell’esistenza, forse infantile perché legato a un gioco dato più agli innocenti entusiasmi che alle passioni bestiali, quella sorta d’orgoglio che ci ha nutrito negli anni s’è spento nell’allucinante serata dell’Heysel quando abbiamo ritrovato orrori e lacrime dimenticati e il senso d’inutilità del nostro sogno. Non vi dirò — altri lo faranno — lo sgomento di quelle lunghe ore d’assedio in uno stadio in cui s’era aperta una voragine d’inferno; non mi dilungherò sulle visioni atroci offertesi ai miei occhi quando ho intuito che dalla massa terrificata del settore Z doveva essersi librata la morte e sono andato a cercarla fra corpi smembrati e feriti, fra volti spentisi in una maschera di paura, fra le lacrime mute o disperate dei sopravvissuti che invocavano vita per gli amici o i parenti massacrati. Le ore trascorse da quella sera non hanno lenito il dolore ma attenuato l’ira e l’odio.
HO ODIATO con tutte le mie forze l’orda selvaggia di Liverpool, quei lupi ubriachi che si sono gettati con furia sanguinaria sugli Agnelli indifesi del maledetto settore Z, tutta gente tranquilla, estranea alle ben note risse del calcio, desiderosa solo di vivere qualche ora di svago. Ho odiato l’imbelle, impotente e arrogante polizia belga che, incapace di prevedere il pericolo costituito dai «reds», s’è disfatta nel caos ai primi incidenti, ha voltato vilmente le spalle agli «animals» scatenati, è risultata pressoché nulla nell’opera di soccorso, ha esibito una grinta da operetta nel tentativo di riprendere il presidio del campo, ha dovuto chiedere infine ai calciatori della Juve e del Liverpool l’agghiacciante esibizione dell’Heysel per evitare una più grande carneficina. Voglio dire a chi non c’era e tuttavia ha straparlato, ha sentenziato, ha criticato sciorinando accenti demagogici e imbecilli: tacete, voi che non c’eravate, voi che non avete vissuto quelle ore di paura, voi che non potevate capire quale rabbia omicida stesse montando fra le migliaia di italiani confinati nella curva juventina, gente che avrebbe certo spazzato via dall’Heysel, dai suoi dintorni, i «reds» vigliacchi, aggiungendo strage a strage. E invece, grazie a Platini e a Grobbelaar, a Cabrini e a Wark, a tutti quei ragazzi che sono scesi sul tappeto sconsacrato dell’Heysel, la paura s’è spenta, altre ansie — magari incoscienti — si sono accese, e nuovi sorrisi — ancorché folli — sono tornati sui volti della gente. E alla fine, quasi per miracolo, come esorcizzati dallo stesso nostro odio, gli «animals» sono scomparsi. Mentre la Juve improvvisava un macabro trionfo essi venivano rigettati verso la Manica, verso una sicurezza che forse non meritavano e che comunque oggi ci fa sentire più sereni. Perché l’ira selvaggia ch’era anche in noi, l’odio ch’era pronto ad esplodere in gesti inconsulti hanno lasciato il posto al ragionamento. Non alla rassegnazione, ma all’umana compostezza che vuole preghiere per i morti e per i vivi, e respinge la vendetta anche se non è subito disposta al perdono.
NOI VOGLIAMO soprattutto capire, e quello che non possiamo cogliere dalla bestialità di quel branco di liverpudiani ubriachi dobbiamo cercarlo in noi stessi. Quelli sono criminali incalliti, tristemente noti in Inghilterra e in Europa; noi siamo vittime non del tutto innocenti, colpevoli comunque di avere accettato il confronto con fanatici notori, illusi di poter chiudere una sfida con novanta minuti di gioco. Le vittime innocenti sono soltanto quelle che da qualche giorno giacciono sotto terra dove le ha accompagnate lo strazio dei famigliari e degli amici. Noi abbiamo ancora qualcosa da dire, qualche esame di coscienza da fare, qualche angolo dell’anima da ripulire dalle scorie lasciate dalla lunga abitudine alla violenza, dall’illusoria speranza in un calcio migliore, illusoria perché lo abbiamo veduto crescere nell’infamia di un tifo assurdo, volgare, demente, dato sempre più a una ritualità funesta, fatta di teschi e di insegne terribili, di slogan criminali, di invettive disumane, di cerimonie al limite della follia, le stesse che fanno imbrattare i muri con frasi che recano scherno ai morti dell’Heysel ed esaltano oggi Bruxelles contro quei fanatici juventini che ieri esaltavano Superga. Per questo, fermi in una calma mortale, vorremmo che all’improvviso sparissero dai nostri stadi le insegne di un tifo folle, paranoico; e non ci accontentiamo di sognarlo: lo pretendiamo da quei dirigenti che, negli anni, come apprendisti stregoni, hanno lasciato che la follia si scatenasse fino a risultare impotenti al momento di imbrigliarla, soggiogarla. Lo pretendiamo dalla Federazione, dalla Lega, dalle società che, tutte, oggi, devono adottare i morti di Bruxelles e rendergli omaggio mutando d’acchito la tendenza allo scontro fisico dei rispettivi tifosi, riconducendoli al rispetto se non all’amore per questo sport che sentiamo profondamente nostro non per l’agonismo o l’aspra rivalità che produce, ma per il senso di felicità che sapeva trasmettere insieme all’ammirazione e a quella sorta di innocente idolatria per i campioni che ci faceva essere tutti ragazzi anche se coi capelli imbiancati dal tempo.
ESAMINANDO noi stessi, finiremo per essere utili anche agli altri, in particolare a quegli inglesi che oggi sono sopraffatti dalla vergogna e credono di poter curare il morbo che dilania la loro vita sportiva serrandosi in un angolo, negandosi l’Europa e le antiche sfide che hanno fatto grande il calcio. Certo, comprendiamo lo spirito che ha partorito l’autopunizione della Federcalcio inglese; ma non crediamo sia giusto gioire come di una vendetta subito ottenuta; temiamo anzi sia solo motivo di vanto per quelle decine o centinaia di criminali di Liverpool che oggi possono andare fieri d’un altro risultato: sono riusciti a mettere in ginocchio la fiera Inghilterra madre del football; se ben conosciamo quella gentaglia, oggi può menar vanto di avere vinto la sfida di Bruxelles perché nelle loro menti bacate trova più significato una strage di «nemici» che un gol preso. Avere negato al calcio inglese il contatto con l’altra Europa è come aver assegnato a quei fanatici una medaglia. Il calcio, che si è dato leggi secondo le quali si è ben governato in circa un secolo di vita, attraverso queste leggi doveva punire soltanto il Liverpool, oggettivamente responsabile dei suoi «ani- mais»; il ritiro del «passaporto» all’Everton e agli altri club riporta indietro non solo tutta l’Europa calcistica ma anche quel grande paese sognato che doveva sorgere sull’abbattimento dei confini e dei nazionalismi e crescere nell’idea partorita dalla pace conquistata nel 1945. Vedete quanto può portare lontano una partita di calcio: non per mero idealismo ma per amore di una sicura fratellanza fra i popoli. Le lacrime dei ragazzi di Fagan nella cattedrale di Liverpool sono vere come quelle che noi abbiamo versato per le vittime dell’Heysel.
«UCCISO IL CALCIO:» questo il titolo de L’Equipe il giorno dopo la tragedia di Bruxelles. Il quotidiano sportivo francese trent’anni fa era stato l’ideatore della Coppa dei Campioni. L’amarezza e lo sdegno nel constatare la «distruzione» della propria creatura naturalmente oltre che quella di moltissime vite, sono stati grandi. «Sono da condannare», si diceva in un editoriale, «non solo gli autori dei misfatti dell’Heysel ma anche coloro che finora hanno tollerato manifestazioni di violenza negli stadi. Lo sport impiegherà molto tempo a rimettersi da una simile tragedia».
MI SENTO anche di respingere — a mente fredda — il ruolo di giudice assegnatosi dall’UEFA. Se la mano omicida è stata quella degli «animals» di Liverpool, la mente idiota che ha favorito il massacro è senza dubbio quella dell’ente calcistico europeo affidatosi alla federazione belga senza pretendere il controllo della sua organizzazione, apparsa colpevole fin dalla lontana vigilia, quando ha saputo interpretare soltanto un ruolo burocratico, mancando d’intelligenza e di ogni forma di prudenza. Mentre il signor Millichip, presidente della federazione inglese, comunicava la dura decisione di ritirare le proprie squadre dalla competizioni europee, l’intero gruppo dirigente dell’UEFA doveva dimettersi, imitato dalle autorità calcistiche e dai responsabili dell’ordine pubblico del Belgio. Tutti costoro — ripeto — sono più colpevoli della strage di Bruxelles di quanto lo sia il calcio inglese.
IN ITALIA questo doveva essere preteso, dai governanti del calcio come da quelli del Palazzo; si è invece preferito moraleggiare sul piccolo e stupido trionfo improvvisato all’Heysel dai giocatori della Juve, sicuramente stravolti dalla terribile vicenda di cui erano stati testimoni; o sulle ancora più stupide feste dei tifosi di casa nostra, che peraltro conosciamo da sempre e siamo pronti a strumentalizzare quando con caroselli o altre dimostrazioni di fanatismo «celebrano» le glorie patrie. In molte altre occasioni — lascio a ciascuno intendere quali — migliaia di italiani dimostrano immaturità e stupidità. Il calcio, ahinoi, ne ha allevati tanti, spesso con la complicità di quei potenti che dalla stupidità attingono forza. Piuttosto che rivolgersi ai veri colpevoli della strage pretendendo giustizia per i poveri morti di una triste giornata di maggio, si è preferito infierire sul trofeo ch’essi stessi erano andati a cogliere nello stadio di Bruxelles. Resti pure, quella Coppa dei Campioni, tra i trofei della Juventus: certo non le darà nuova gloria o felicità, speriamo invece che le dia l’energia, la determinazione sportiva, di riconquistarla fra un anno: solo una Coppa così, più vera, potrà essere dedicata al piccolo Andrea Casula e agli altri trentuno italiani che non sono più tornati dallo stadio di Bruxelles e sono stati portati sul freddo marmo di un obitorio coperti di bandiere e di sciarpe bianconere. Oggi piangiamo per loro. Ma non rinneghiamo la passione per il calcio e sogniamo il giorno in cui potremo tornare a sorridere.
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I giorni dell’ira e del dolore
a cura di Paolo Facchinetti
QUESTO è il diario che riassume le dichiarazioni di sdegno, le manifestazioni di solidarietà, i propositi per il futuro scaturiti a caldo nei giorni immediatamente successivi il massacro di Bruxelles. Tutto il mondo ha reagito con sdegno e con sgomento davanti ai fatti del 29 maggio. Tutto il mondo ha assunto un impegno di civiltà. Auguriamoci che ciò che è stato detto non venga dissolto dal tempo.
INGHILTERRA L’autocritica è stata immediata. La mattina del 30 maggio il «Daily Post» di Liverpool titola a tutta pagina: «La notte della vergogna». Il premier Margareth Thatcher subito riconduce al proprio Paese l’orribile responsabilità della strage e lascia intuire drastici provvedimenti. Il 31 maggio la «Football Association» annuncia che tutte le squadre inglesi impegnate nelle coppe europee nella stagione 1985-86 rinunceranno agli impegni. Il provvedimento riguarda: Everton (Coppa Campioni), Manchester U. (Coppa delle Coppe), Norwich, Liverpool, Totthenham e Southampton (Coppa Uefa). Estranee al provvedimento restano per ora la Nazional inglese e altre 8 squadre britanniche designate a disputare coppe: Aberdeen (Scozia) e Linfield (Irlanda del Nord) in Coppa Campioni; Bangor City (Galles), Celtic (Scozia) e Glentoran (Irlanda del Nord) in Coppa Coppe; Glasgow Rangers, Dundee U., St. Mirren (Scozia) e Coleirane (Irlanda del Nord) in Coppa Uefa. «È giunto il momento per il calcio inglese di sistemare tutti i suoi problemi», afferma il comunicato della Federcalcio inglese. Il provvedimento trova in disaccordo la Lega inglese e qualche società (soprattutto l’Everton) ma viene ritenuto troppo morbido dal ministro dello sport inglese Neil MacFerlane il quale annuncia che premerà sulla Federcalcio per «estendere il provvedimento fino al 1988». Su ciò si mostra d’accordo Margaret Thatcher che dice «Vi sono stati così tanti morti e così tanti feriti come risultato delle azioni di nostri cittadini, che sono necessarie decisioni e provvedimenti fermi». Tra le misure che il governo inglese sta per adottare ve ne sono di molto drastiche: chiusura delle rivendite di bevande alcoliche; carta di identità speciale per chi intende assistere ad una partita, rilasciata all’inizio del campionato; proibire di seguire la propria squadra in trasferta: i tifosi andranno nello stadio «di casa» vuoto dove assisteranno su uno schermo gigante alla partita teletrasmessa.
IL DIVIETO – Intanto molti Paesi hanno già individualmente preso provvedimenti contro il calcio inglese. Il governo belga ha detto che le squadre di calcio britanniche non potranno più giocare in Belgio fino a nuovo ordine. In Germania è stata abolita l’amichevole Amburgo-Liverpool del 3 agosto. Il Principato di Monaco ha rinunciato organizzare la «supercoppa» d’Europa che avrebbe dovuto vedere di fronte Juventus ed Everton mentre in Francia è stata annullata l’amichevole tra il Charenton e gli inglesi del Whistable Town.
LA PSICOSI – La violenza genera violenza, è sempre stato detto. E anche i fatti di Bruxelles sono stati presi a pretesto per azioni inqualificabili di teppismo. A Rimini il 30 maggio alcuni pullman di turisti inglesi vengono danneggiati così come a Sestri Levante la vettura di due coniugi inglesi in vacanza. Il 31 maggio a Milano viene lanciata una bottiglia incendiaria contro la sede del «Centro studi Cambridge», a Roma compaiono scritte inneggianti ai tifosi del Liverpool e a Bolzano alcuni ragazzini picchiano selvaggiamente un loro compagno di scuola (13 anni) colpevole solo di avere una mamma inglese. L’operato dei tifosi del Liverpool suscita l’ammirazione di un gruppo di teppisti tifosi di Dortmund mentre due «animals» intervistati dal «Sunday People» pubblicamente si vantano delle loro gesta criminose.
SOLIDARIETÀ – Se questi sono pericolosissimi episodi di bestialità, non mancano in tutto il mondo i gesti di solidarietà verso chi è stato colpito dalla tragedia. Gli Usa come lo Zimbabwe, la Germania come la Francia e l’Ecuador inviano messaggi al Presidente della Repubblica italiana e richiamano il mondo a sentimenti di civiltà. A Liverpool, presenti molti calciatori, l’1 giugno viene celebrata una messa in suffragio delle vittime di Bruxelles. Presenti circa 2000 tifosi della squadra inglese. Molti scoppiano in lacrime durante la cerimonia. I nazionali inglesi, che giovedì 6 giocano a Città del Messico un’amichevole con l’Italia, alla vigilia dell’incontro si recano in visita agli azzurri per esprimere loro solidarietà e per scusarsi a nome di tutti i loro connazionali.
POLEMICHE – Il Belgio responsabile per la sua parte della tragedia di Bruxelles, alle misere giustificazioni portate per l’inefficienza dell’organizzazione aggiunge un’altra dimostrazione di incapacità venerdì 31 maggio: con incredibile leggerezza lo speaker della TV belga annuncia che il risultato della partita era stato combinato; ciò in base alla dichiarazione di un pompiere che aveva frainteso quanto detto nel vertice svoltosi per decidere se giocare o meno. Il giorno dopo, quando già la Juve, l’arbitro e lo stesso Liverpool avevano smentito l’incredibile menzogna, la TV belga frettolosamente ritratta tutto. In tema di polemiche, da registrare anche quella relativa alla telecronaca di Bruno Pizzul, accusato subito da alcune parti di essersi troppo immedesimato nelle partita giocata dopo i fatti luttuosi. In proposito il Comitato di Redazione della Rai di Milano emette un comunicato in cui esprime solidarietà al collega oltre e con cui respinge come ingiustificate («ci sono le registrazioni») le accuse. Altra polemica, quella relativa ai caroselli dei tifosi Juventini a Torino e al comportamento dei giocatori della Juve in campo. Accusati di aver gioito dopo la vittoria e di aver ignorato ciò che era successo sulle gradinate, i bianconeri replicano di aver giocato «con la morte nel cuore» e di averlo fatto per imposizione. «Speriamo», si dice in un comunicato firmato in Messico da Cabrini, Rossi, Tardelli e Scirea, «che nessuno ci chieda più, mai più, una cosa del genere». Questo mentre Platini e Tacconi ritornano a Bruxelles in visita ai sostenitori juventini ancora ricoverati in ospedale.
IL MASSACRO – Il bilancio provvisorio (per parecchi feriti c’è ancora la prognosi riservata) di Bruxelles è di 38 vittime, 31 delle quali di nazionalità italiana. Tutte ancora da accertare le cause della morte. Un giornalista inglese di «The Mail» il 31 maggio dice di aver visto un tifoso del Liverpool sparare almeno un colpo di pistola contro un gruppo di juventini. La polizia sta prendendo in seria considerazione la sua testimonianza. Un altro ragazzo armato di una pistola (una lanciarazzi) intanto viene assicurato alla giustizia: è un italiano, torinese, 22 anni, studente, in stato di arresto a Bruxelles per minacce a mano armata. Tra i fatti da accertare relativi alla strage del 29 maggio, vi è quello relativo all’assicurazione. Un articolo del regolamento delle Coppe europee prevede che la Federazione organizzatrice debba inviare un mese prima della finale, una comunicazione all’Uefa con tutti i dettagli relativi all’assicurazione dei possessori dei biglietti. Sui biglietti era invece scritto che il Comitato organizzatore declinava ogni responsabilità per eventuali incidenti.
PREVENZIONE – La tragedia di Bruxelles ha messo in allarme tutto il mondo e in modo particolare l’Italia. Il 31 maggio il presidente del Consiglio Craxi dice che «I problemi dell’ordinato svolgimento delle manifestazioni sportive e della prevenzione verso ogni predisposizione di azioni violente saranno ulteriormente approfonditi per un rafforzamento delle misure di controllo, di prevenzione e di sicurezza». Lunedì il ministro dell’Interno Scalfaro si è incontrato col presidente del Coni Carraro per studiare azioni preventive più efficaci. Nei prossimi giorni i ministri dello sport di Olanda, Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Belgio si incontreranno per accelerare il varo di iniziative comuni tese a prevenire episodi di violenza nella prospettiva della convocazione a Dublino, il 25 o 26 giugno, del gruppo di lavoro specializzato in seno al Consiglio d’Europa.
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Da Desmond Morris la risposta ad un imbarazzante quesito
La Juve ha gioito? È nella logica
CHE SI SIA giocato dopo il massacro è stato giustificato con motivi di ordine pubblico. Che si sia gioito dopo la vittoria, da parte della Juve e dei suoi sostenitori, è stato giudicato da tutti incomprensibile e inaccettabile. Eppure ciò che è successo a Bruxelles non è inedito ed è già stato motivato, se non giustificato, da Desmond Morris, filosofo e etologo inglese, studioso dei comportamenti umani e animali, che in proposito ha scritto un volume «La tribù del calcio», edito da Mondadori nel 1982.
Aprile 1902, Scozia-Inghilterra all’Ibrox Park di Glasgow; appena iniziato il gioco, crolla una tribuna: 25 morti e 321 feriti; sgombrato il campo, si riprende a giocare con entusiasmo.
Marzo 1946, Bolton-Stoke a Bolton; dopo 12’ di gioco crolla un muro: 33 morti e 550 feriti; dopo mezz’ora ricomincia la partita fra il tripudio della folla.
Maggio 1964, Perù-Argentina a Lima; per un gol annullato al Perù, rissa gigantesca e 301 morti. La sera stessa una folla immensa marcia verso il palazzo presidenziale per chiedere giustizia: cioè, che sia convalidato il gol peruviano!
«La tragedia e la morte», spiega Morris «non sono sufficienti a tenere lontano dal gioco gli uomini della tribù del calcio».
Alla radice di tutto ciò c’è la suggestione di un rito (la partita) la cui celebrazione riporta attori e spettatori a comportamenti istintivi e primordiali. «Il gol», afferma Morris, «è la conquista della preda, il momento culminante della vita della tribù ed è goduto senza inibizioni». Cosi come il trofeo (la Coppa) che giunge al termine di una «lunga stagione di caccia». L’esaltazione che ne consegue, dice Morris, «deriva da un ‘ondata di energia liberatoria, incontenibile».
Che ciò sia vero lo conferma Stanley Mattews che, riferendosi alla strage di Bolton nel 1946, afferma: «Posso essere accusato di insensibilità quando dico che il nostro pensiero era unicamente rivolto al gioco, ma è la verità. Dopo pochi minuti che eravamo rientrati in campo avevamo già dimenticato che coloro che poco prima ci applaudivano ora erano morti».
Gli abbracci dei giocatori della Juve, i caroselli dei loro sostenitori rientrano in questa aberrante «logica» dei comportamenti. Il calcio, purtroppo, è anche questo.
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Le 38 vittime dell’Heysel
SONO 38* i morti del mercoledì nero dello stadio dell’Heysel di Bruxelles secondo quanto comunicato dal Ministero degli interni belga: 31 italiani, 4 belgi, 2 francesi, 1 inglese.
GLI ITALIANI
ACERRA Rocco, 29 anni, Francavilla
BALLI Bruno, 50 anni, Prato
BRUSCHERA Giancarlo, 21 anni, Milano
CASULA Andrea, 11 anni
CASULA Giovanni, 44 anni, Cagliari
CERRULLO Nino, 24 anni
CONTI Giuseppina, 17 anni, Arezzo
FABBRO Dionisio, 51 anni, Buia (Udine)
GAGLIANO Eugenio, 35 anni, Mirabella di Catania
GALLI Francesco, 25 anni, Calcio (Bergamo)
GONNELLI Giancarlo, 20 anni;
GUARINI Alberto, 21 anni, Milano
LANDINI Giovacchino, 50 anni, Torino
LORENZINI Roberto, 31 anni, Milano
LUSCI Barbara in MARGIOTTA, 58 anni, Genova
MARTELLI Franco, 46 anni, Milano
MASSORE Loris, 28 anni, Torino
MASTROIACO Gianni, 20 anni, Casetta (Rieti)
MAZZINO Sergio Bastino, 38 anni, Genova
PAPALUCA Luciano Rocco, 38 anni, Milano
PISTOLATO Benito, 50 anni
RAGAZZI Domenico, 44 anni, Landriano di Rocca (Brescia)
RAGNANESE Antonio, 29 anni, Brugherio (Milano)
RONCHI Mario, 43 anni, Bassano del Grappa
RUSSO Domenico, 28 anni
SALVI Tarcisio, 49 anni, Brescia
SARTO Gianfranco, 47 anni, Donada
SPANU Mario, 41 anni, Novara
SPOLAORE Amedeo Giuseppe, 55 anni, Bassano del G.
VENTURIN Tarcisio, 23 anni, Pero (Milano)
ZAVARONI Claudio, 28 anni, Reggio Emilia.
I BELGI
Alfons BOS
Willy CHIELENS
Dirk DAENICKY
Jean Michel WALLA.
I FRANCESI
Jacques FRANCOIS
Claude ROBERT.
GLI INGLESI
Patrick RADCLIFFE
* Ci fu un’ulteriore vittima, PIDONE Luigi, 31anni, Nicosia (EN). Restò in coma irreversibile per 77 giorni fino alla morte avvenuta il 14 agosto.
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Neal scrive a Scirea e agli italiani
Perdonateci
Il capitano del Liverpool, Neal, si rivolge ai tifosi dalla cabina radio
Caro Scirea,
sono un calciatore professionista. Come te. Non sono un politico, o un diplomatico, o un uomo di legge. Non so scrivere quei discorsi pieni di delicate parole che esprimono il dolore ufficiale e la tristezza di una nazione e in questo caso di una organizzazione come il Liverpool Football Club. Sono soltanto un uomo comune.
Posso assicurarti che ho pianto spesso da quando sono tornato da Bruxelles. Mia moglie e la mia famiglia possono dirti che persona triste e sconsolata sia diventato in quest’ultima settimana. Fio perfino pensato di ritirarmi dal calcio e di non avere più nulla a che fare con questo sport. Molti di noi lo hanno fatto.
Mi sono troppo divertito in tanti anni di attività per poter stare ora fermo a guardare il calcio inglese che finisce nella spazzatura.
Ho lottato e cacciato e spinto e avuto da dire con Franco Causio nel nome della Coppa del Mondo. Gli ho stretto la mano, ci siamo abbracciati e scambiati le maglie. La sua l’ho portata ai miei amici italiani che vivono a Liverpool.
Non sono più così sicuro che lo spirito col quale abbiamo giocato quella partita bellissima possa sopravvivere, resistere al comportamento di una minoranza di spostati che hanno distrutto la nostra grande notte allo stadio Heysel. Noi due eravamo nello stesso box, abbiamo usato lo stesso microfono per invocare la calma, per pregare che la nostra partita e il nostro calcio avessero un futuro.
Oggi sono solo e chiedo a te e agli italiani di perdonare, di avere pazienza, mentre noi lavoriamo per salvare il nome del calcio, qui in Inghilterra.
Phil Neal
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L’Uefa ha deciso
Inglesi cancellati dal calcio
LE SQUADRE di club inglesi sono escluse a tempo indeterminato dalle competizioni europee. Per quanto riguarda il Liverpool saranno assunte sanzioni particolari dopo che la commissione disciplinare avrà esaminato tutti i documenti relativi alla tragedia di Bruxelles. Eventuali provvedimenti relativi alla nazionale inglese verranno assunti in un secondo tempo. Queste in sintesi le decisioni scaturite domenica 2 giugno a Basilea dalla seduta straordinaria del comitato esecutivo dell’Uefa riunitosi per esaminare i fatti inerenti la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool del 29 maggio scorso. Nel comunicare i provvedimenti, il presidente dell’Uefa Jacques Georges ha detto che «d’ora innanzi tutti gli incidenti, anche i più piccoli, saranno colpiti con sanzioni».
Il prossimo 4 luglio a Ginevra ci sarà il sorteggio relativo agli accoppiamenti del primo turno delle Coppe Europee. Nel tabellone non figureranno dunque l’Ever- ton (Coppa dei Campioni), il Manchester United (Coppa delle Coppe), Liverpool, Norwick, Tottenham e Southampton (Coppa Uefa). Questi sei posti «vacanti» saranno occupati da squadre dell’Urss, della Francia, dell’Olanda e della Cecoslovacchia.
TORNANDO ai provvedimenti dell’Uefa, c’è da rilevare che in generale sono stati accolti favorevolmente negli ambienti inglesi. «Penso che sia una decisione molto responsabile», ha detto il presidente del Liverpool Smith. Dick Wragg, dirigente della Federcalcio inglese, ha cosi commentato: «È giusto, dobbiamo finirla una volta per tutte con i teppisti anche se ciò dovesse durare dieci anni».
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Negli stadi
Le grandi tragedie
- Lima (Perù), 1964: la più grande tragedia mai accaduta in uno stadio. Si gioca Perù-Argentina: incidenti sugli spalti, lacrimogeni della polizia e fuga generale verso le uscite sbarrate. Bilancio terrificante: 318 morti, 1000 feriti.
- Buenos Aires, 23 giugno 1968: da una rissa postpartita si propaga il panico, la folla si lancia verso le uscite ed è un massacro: 71 morti, 83 feriti.
- Glasgow, 3 gennaio 1971: alla fine di Celtic-Rangers cade una transenna metallica. Decine di persone cadono e vengono travolte. Si conteranno 66 morti ed oltre 100 feriti.
- Il Cairo, 17 febbraio 1974: Nello stadio Zamelek, presenti 80.000 spettatori in una struttura collaudata per 45.000, crolla una barriera metallica. Muoiono calpestate 49 persone, altre 47 restano ferite.
- Atene, 8 febbraio 1981: al termine di Olympiakos-Aek i tifosi più giovani dell’Olympiakos corrono all’uscita per festeggiare i loro beniamini. Ma trovano i cancelli chiusi e vengono schiacciati contro l’inferriata: 21 morti e più di 100 feriti.
- Mosca, 20 ottobre 1982: trambusto all’uscita di Spartak-Haarlem (Coppa Uefa): crolla una balaustra, decine di tifosi volano in basso. 72 morti e 150 feriti il bilancio.
- Calì, 17 novembre 1982: al termine di Calì-America, alcuni teppisti si mettono ad orinare sulla folla. Nella ressa per evitare di essere bagnati, 24 tifosi muoiono per soffocamento ed oltre 100 restano feriti.
- Algeri, 26 novembre 1982: 300 persone senza biglietto occupano una tettoia sovrastante una tribuna. La tettoia cede di schianto e i 300 precipitano sugli spettatori: 10 morti e 550 feriti.
- Bradford, 11 maggio 1985: nella vecchia tribuna di legno dello stadio inglese divampa improvvisamente un incendio, i morti sono 52, più di 200 gli ustionati e i feriti nella ressa.
- Città del Messico, 27 maggio 1985: durante la partita UNAM-America, seconda finale per lo scudetto, migliaia di giovani senza biglietto tentano di entrare attraverso un tunnel d’accesso, che trovano chiuso. Nella ressa muoiono calpestate e asfissiate 8 persone, i feriti sono 74.
Guerin Sportivo, n. 23 – 5-11 giugno 1985