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La folla, cos’è? – di Pier Paolo Pasolini

Avendo fatto in questi giorni (a Zafferana, in Sicilia, c'era un'atmosfera da linciaggio) esperienza della folla, mi è stato naturale rispondere subito a una lettera, firmata da Massimo Baldini, che mi pone delle domande, appunto, sulla folla (argomento della sua tesi di laurea).

di Pier Paolo Pasolini

Avendo fatto in questi giorni (a Zafferana, in Sicilia, c’era un’atmosfera da linciaggio)1 esperienza della folla, mi è stato naturale rispondere subito a una lettera, firmata da Massimo Baldini, che mi pone delle domande, appunto, sulla folla (argomento della sua tesi di laurea). Le domande sono le seguenti:

1) Come definirebbe… il fenomeno sociale “folla”? Quale è il rapporto che intercorre tra questo e il fenomeno “pubblico”?

2) Quale è il suo giudizio complessivo sulla folla? La folla è sempre organizzata? Ha dei capi? E questi che caratteristiche hanno? L’individuo nella folla subisce delle trasformazioni?

3) Ha mai preso parte a una folla? Come spettatore l’ha mai osservata? Che cosa l’ha colpita?

4) Che pensa del comportamento delle donne nella folla?

Ed ecco le mie risposte.

1) La folla è prima di tutto un fenomeno urbano. La prima folla si è avuta ad Aleppo, credo, che è la più antica città, ossia il più antico mercato, del mondo. Perciò la prima caratteristica della folla è quella di non essere sola, ma di essere mescolata alla sua merce: oggetti di scambio, di mercato, e, oggi, di consumo. La seconda caratteristica è quella di essere un “grande numero” ma di non essere “massa”: infatti si tratta di un grande numero di singoli, in quanto sono presenti in carne e ossa. La terza caratteristica è quella di avere, talvolta, dei sentimenti comuni – adunate, dimostrazioni casuali, linciaggi eccetera – che però [sono] una somma quantitativa, e non sintetica e quindi astratta, di sentimenti singoli.

Il pubblico del cinema è “massa”; infatti esso è irrappresentabile se non nelle statistiche o nei rendiconti, e obbedisce a regole reattive medie, identificate per astrazione. Al contrario, il pubblico del teatro è “folla”, perché cade sotto il dominio della percezione dei sensi, obbedisce a regole reattive concrete, direi fisiche. Perciò il cinema può essere medium di massa; il teatro no, mai, anche se si rivolgesse a “folle” enormi.

2) Non si può dare un giudizio sulla folla: essa è per sua natura ontologica, e dunque va accettata o sentita, non giudicata.

Le folle non sono utili: ci sono.

Sono organizzate dalla necessità che le forma: per esempio, nell’antica Aleppo, il mercato; oggi, un’uscita dalla scuola o dalla fabbrica eccetera. Oppure, nei casi eccezionali in cui le folle siano guidate da un sentimento comune – per esempio il linciaggio – è tale sentimento che le organizza: e quindi sarebbe meglio dire le struttura.

In questi ultimi casi contemplati (eccezionali) ci possono essere dei capi, ma del tutto estemporanei, evidentemente. Se dei capi non estemporanei ci sono, essi si sono evidentemente creati fuori dalla folla, antecedentemente ad essa: mettiamo nelle sedi di un partito, in una chiesa, eccetera.

Le caratteristiche dei capi estemporanei sono quelle di possedere una eccezionale capacità di sentire sentimenti comuni: ossia di essere una esatta mescolanza di patologia e di mediocrità. Le trasformazioni che un individuo subisce in una folla sono evidentemente profonde: ed è questa la domanda che richiederebbe maggior spazio e tempo. Mi limiterò dunque a dire che a mio avviso l’uomo in mezzo alla folla subisce lo stesso processo regressivo che subisce in certi sogni interpretati secondo la psicanalisi di Jung.

3) Una volta, nel 1937, mi pare, quando Vittorio Emanuele III è venuto in visita a Bologna, io “facevo parte” della folla che si era radunata in piazza San Petronio a festeggiarlo. Ho sofferto così atrocemente di claustrofobia, che da allora in poi non ho più voluto “far parte” di una folla. Talvolta mi ci trovo in mezzo, che è diverso. Per esempio, nel traffico. O in un mercato, come vicino a Kano, nella Nigeria del Nord (che doveva essere identico a quello dell’antica Aleppo): ma in tal caso mi sento del tutto estraneo, un puro osservatore.

Altre folle che osservo – perché non posso più farci veramente parte – sono le folle degli stadi, a una partita di calcio. L’unica osservazione che mi è capitata di fare2 su queste folle in quanto folle, è che le folle del 1969 sono identiche alle folle del 1939.

4) Le caratteristiche di una donna in una folla sono analoghe a quelle che ho descritto per gli eventuali “capi estemporanei”. Anzi, direi che nelle folle le donne sono sempre, in genere, dei potenziali capi.

Note:

(1) Premio Zafferana-Brancati 1969 (assegnato a Michele Pantaleone per Antimafia: occasione mancata) e Pasolini stesso erano stati violentemente e volgarmente attaccati dalla destra locale. Cfr., sull’episodio, P. Pernici, in Tempo settimanale, 18 ottobre 1969.

(2) Si riferisce a un testo (qui non riprodotto) della rubrica del 4 gennaio 1969.

Testo tratto dalla rubrica pasoliniana “Il caos”, pubblicata in Tempo, n. 42 a. XXXI, 18 ottobre 1969

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