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I “banditi”, l’eroe partigiano e le dune: la Cutro di Pasolini

Nel 1964 Pier Paolo Pasolini scelse le dune gialle di Cutro per rifare la Gerico del Vangelo secondo Matteo

MEZZO SECOLO FA

di Fabrizio d’Esposito

Era il 1959 e Pier Paolo Pasolini aveva trentasette anni e non era ancora l’iconico PPP celebrato poi. Scriveva poesie, articoli e sceneggiature e in quell’anno pubblicò il suo secondo romanzo, Una vita violenta. Così, nell’ultima estate prima dei Sessanta, un mensile milanese gli offrì di girare l’Italia a bordo di un’auto per alcuni reportage. Il periodico era Successo ed era diretto da Arturo Tofanelli, giornalista che qualche anno dopo ebbe un figlio da Dorian Gray, l’immortale attrice della Malafemmina di Totò e Peppino, epperò questa è un’altra storia.

Pasolini partì dalla ligure Ventimiglia, dal confine italico con la Francia, guidando una Fiat Millecento. Non era solo. Con lui c’era il fotografo Paolo di Paolo, ma i due non si presero e durante il viaggio la collaborazione finì. Lo scrittore proseguì per conto suo. Il punto d’arrivo era Trieste. Pasolini dapprima discese per la costa tirrenica poi risalì la penisola lambendo con la sua auto le spiagge dello Jonio e dell’Adriatico. Le puntate furono tre, dal titolo La lunga strada di sabbia. In Calabria, prima di Crotone, diede un passaggio a due operai stagionali torturati dal sole. E fu poco dopo che la Millecento “vide” Cutro, laddove all’alba di due domeniche fa, nella frazione marina di Steccato, il mare in tempesta (e non solo) ha affondato l’ennesimo barcone di donne e bimbi e uomini in fuga dalla guerra e dalle dittature.

Questo il resoconto di Pasolini su Cutro, per Successo: “Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È, veramente, il paese dei banditi, come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello”. A impressionarlo sono soprattutto i Calanchi del Marchesato. Un paesaggio lunare: “A un distendersi delle dune gialle, in una specie di altopiano”. All’epoca, Cutro era amministrata da una giunta formata da Dc e Msi, l’antenato storico di Fratelli d’Italia. La reazione al reportage fu una querela per diffamazione: “La reputazione, l’onore, il decoro, la dignità delle laboriose popolazioni di Cutro sono stati evidentemente e gravemente calpestati”. La querela venne archiviata nel 1962 dal Tribunale di Milano ma nel frattempo Pasolini non si risparmiò, tra lettere e ritorni nella stessa Cutro, per spiegarsi. Disse: “Il termine ‘banditi’ voleva dire ‘emarginati’, uomini banditi dalle classi dominanti che li sfrutta e li spinge al crimine”.

E ancora, in una lettera spedita a un medico e resa nota solo da pochi anni: “I banditi mi sono molto simpatici, ho sempre tenuto, fin da bambino, per i banditi contro i poliziotti e i benpensanti. (…). Comunque, non so tirare pietosi veli sulla realtà: anche se i banditi li avessi odiati, non avrei potuto fare a meno di dire che Cutro è una zona pericolosa, ancora in parte fuori legge: tanto è vero che i calabresi stessi, della zona, consigliano di non passare per quelle famose ‘dune giallastre’ durante la notte. (…) Questi sono dati della vostra realtà: se poi volete fare come gli struzzi, affar vostro”.

Pasolini tornò a Cutro in autunno anche perché quel Cinquantanove fu un anno “calabrese” a tutto tondo per lui. Lo scrittore andò infatti a Crotone per ritirare un premio al suo Una vita violenta. Il romanzo aveva scatenato denunce e polemiche per oscenità e al cinema Ariston, dove si teneva il Premio Crotone, Pasolini venne protetto da un servizio d’ordine organizzato dai comunisti cutresi, con cui poco prima si era incontrato e chiarito. Il leader del Pci di Cutro era un eroe partigiano e delle lotte contadine contro i latifondisti. Si chiamava Rosario Migale ed è morto da pensionato povero nel 2010, a novant’anni. Migale aveva fatto la Resistenza in Piemonte, nell’Alessandrino. Una volta a casa, Migale fu protagonista di occupazioni e proteste per il riscatto della terra dagli agrari. Nel 1952 picchiò il più grande latifondista del paese, che gli aveva sequestrato il grano, e per non finire in carcere riparò latitante in Piemonte dai suoi amici partigiani, tra cui Walter Audisio, il comandante Valerio che giustiziò il Duce a Dongo. Poi beneficiò dell’amnistia per i reati politici e sindacali e tornò ancora una volta a Cutro. Nel 1963 ruppe con il Pci provinciale e fondò il Movimento comunista cutrese che nel 1966, a Livorno, si sciolse nel Partito marxista-leninista italiano d’ispirazione maoista.

L’amicizia con Pasolini, diventata solida negli anni, fu in un certo modo consacrata nel 1964. Diventato anche regista con Accattone, lo scrittore scelse le dune gialle di Cutro per rifare la Gerico del Vangelo secondo Matteo. E Migale fu uno degli apostoli del Gesù interpretato dallo spagnolo Enrique Irazoqui: l’eroe comunista divenne così San Tommaso, il discepolo “incredulo” dopo la Resurrezione. Si compiva così la parabola pasoliniana a Cutro: dai banditi del 1959 al film del 1964. Dal paesaggio western alle “colline che sembrano dune immaginate da Kafka e il tramonto le vela di un rosa sangue”. Era più di mezzo secolo fa. Molto prima dell’alba funesta e turpe dell’ultima domenica di febbraio.

ROSARIO MIGALE è stato l’eroe partigiano e contadino di Cutro. Nato nel 1920 e morto nel 2010, Migale fece la Resistenza in Piemonte e quando tornò in Calabria fu protagonista di dure battaglie contro i latifondisti. Nel 1959, quando Pasolini venne querelato per il reportage sui “banditi di Cutro”, il comunista Migale si schierò dalla sua parte. I due divennero amici e nel 1964 Migale interpretò San Tommaso nel Vangelo secondo Matteo.

Il Fatto Quotidiano, 9 Marzo 2023

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