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Tess (1979)

Il film conferma la tendenza di Roman Polanski a concepire il cinema come arte delle emozioni immediate e superficiali: stupore, terrore, commozione.

di Ivo Franchi

Il romanzo Tess dei d’Urberville, scritto da Thomas Hardy nel 1891, si compone di sette parti: la fanciulla; non più fanciulla; la rinascita; la conseguenza; la donna paga; il convertito; compimento, che scandiscono i passaggi della trama: un tema piuttosto consueto, quello della ragazza sedotta e abbandonata. Tess infatti, dopo la violenza sessuale subita a opera dello pseudo cugino Alec d’Urberville, tenta di ricostruire la sua esistenza ma, quando arriva al matrimonio con Angel Clare, un giovane progressista, si vede da costui lasciata appena gli confessa la deflorazione e che ha partorito un figlio morto dopo alcuni giorni. Riprende la sua vita, ritmata dal faticoso lavoro nei campi, quando l’antico pretendente si ripresenta pentito e, per mettere riparo alle sue colpe, le propone una vita in comune, salvando Tess e famiglia, frattanto rimasta orfana del padre, dalla rovina economica. Ma anche Angel torna a cercarla e la fanciulla, esasperata dalla situazione, uccide Alec e fugge con l’uomo amato, nella consapevolezza del suo destino: dopo la tanto sospirata notte d’amore, la protagonista viene infatti catturata e condotta a morte.

Il soggetto si prestava facilmente a operazioni sentimentalistiche e “strappalacrime”, di sicura riuscita commerciale, anche perché, in certo modo, era possibile dare una interpretazione in chiave “femminista” del testo. Polanski sfrutta abilmente questa ambiguità tematica, confezionando un prodotto pronto per essere consumato da un pubblico eterogeneo. A ben vedere però, appare chiara la scelta stilistica del regista, interessato più a una trasposizione calligrafica che a una rilettura critica dell’opera. Polanski invero predilige le atmosfere cupe e ossessive (così come in Rosemary’s Baby o nel Macbeth), ammantate dal fascino del mistero in cui tutte le situazioni si consumano: e di Tess dei d’Urberville deve averlo senza dubbio colpito e attratto il carattere melodrammatico della vicenda, carica altresí di una sotterranea violenza.

Ma dal libro si preferisce qui estrapolare l’intrigo da melodramma “tout court”, che, seppur dominante, tuttavia non rappresenta l’unica caratteristica, e tantomeno la più importante, del testo di Hardy in cui, nei limiti di una visione moralistica, viene tracciato il quadro di un mondo attraversato dal male contro cui è vano ogni sforzo individuale. Polanski si mantiene al di qua del testo stesso, del quale non dà alcuna possibile interpretazione: Tess non è più la vittima dei pregiudizi dell’epoca («Un abisso sociale incommensurabile stava per dividere […] la personalità della nostra eroina dal suo io precedente…» scrive Hardy), bensì una donna perseguitata dal destino, che paga le colpe del suo “peccato originale”, cioè della perduta verginità. Infatti nel film la scena dell’atto sessuale si carica di una connotazione ambigua: le immagini si intorbidano per l’apparizione di una nube di fumo, per sottolineare la perdita di coscienza di lei durante l’amplesso; per cui non è chiaro se si tratta di violenza o piuttosto di passiva accettazione (la parte corrispondente del libro non consente equivoci di sorta: è violenza).

Il conflitto protagonista/destino rimane a un livello melodrammatico, suscitando sentimenti pietistici, senza peraltro assurgere a dimensioni tragiche, proprio per il fatto che tutto è già deciso a priori e per Tess non si intravede, sin dall’inizio, via d’uscita mentre, perché sia data la possibilità della tragedia, sostiene Lukàcs, «tra le forze conflittuali deve stabilirsi una certa relazione, è necessario cioè che la lotta, per quanto violenta e aspra, si svolga — almeno in apparenza — tra forze identiche». Il centro del film rimane invece la vicenda di un amore infelice cui si frappongono ostacoli di ogni genere e che riesce a concretarsi solo in una circostanza, a prezzo del sacrificio dell’eroina. Gli avvenimenti si succedono l’un l’altro secondo una logica deterministica e quanto manca è soprattutto l’analisi e la rappresentazione di una società piena di violenza: Tess sembra soccombere a causa di un disfacimento “biologico” che colpisce lei e la sua famiglia (il ceppo estinto, il padre alcolizzato), piuttosto che per motivi intrinseci alle convenzioni e alla moralità vittoriana. Anche gli altri elementi linguistico-formali del film sono funzionali alla tesi del regista: la fotografia molto curata, ricercata, offre squarci di paesaggi e di tramonti venati da toni romantici, mentre il commento musicale insiste spesso nel sottolineare, con un certo compiacimento, i momenti idilliaci.

Il film dunque conferma sostanzialmente la tendenza del regista a concepire il cinema come arte delle emozioni immediate e superficiali: stupore, terrore, commozione. Il gioco diventa fine a se stesso, estetizzante, compiaciuto, e tuttavia in un momento di ritorno al privato e di scoperta delle qualità “terapeutiche” dell’amore, Tess sembra rispondere alle richieste del mercato.

Cinema Nuovo, Agosto 1980

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