Arancia Meccanica (A Clockwork Orange, 1972) – Recensione di Tullio Kezich

Stanley Kubrick ha equamente ripartito il film tra un’immagine agghiacciante del futuro e il grigiore dell’esta­blishment antiquato e cadente. Per ripeterci che l’uomo non può migliorare, il regista ha fatto riecheggiare il romanzo di Burgess in una cassa armonica dagli effetti stereofonici.

di Tullio Kezich

Nel vecchio slang londinese si dice «queer as a clockwork orange», cioè: strano come un’arancia meccanica. È il modo in cui viene ridotto Alex, teppista dell’immediato futuro, attraverso un trattamento di redenzione chiamato la tecnica Ludovico; ma i casi del giovanotto dimostrano che neanche a fin di bene l’uomo può venir privato del libero arbitrio. L’invenzione risale al romanzo di Anthony Burgess Un’arancia a orologeria (1962) ed è retta sulla pagina da un gergo inedito chiamato Nadsat, benissimo reinventato nella traduzione di Floriana Bossi (Einaudi). Il significato poetico del libro sta, peraltro, nelle ultime 13 pagine, tagliate nell’edizione americana e ignorate dal film: nelle quali il protagonista Alex, ridiventato cattivissimo, si scopre invecchiato all’improvviso e realizza che l’ultraviolenza era soltanto una manifestazione della giovinezza. Stanley Kubrick ha equamente ripartito il film tra un’immagine agghiacciante del futuro (ma molti elementi del suo arredamento sono già in vendita nei migliori negozi) e il grigiore dell’esta­blishment antiquato e cadente. Per ripeterci che l’uomo non può migliorare (come aveva già fatto, con ben altra fantasia, accostando le scimmie carnivore agli astronauti in 2001: Odissea nello spazio), il regista ha fatto riecheggiare il romanzo di Burgess in una cassa armonica dagli effetti stereofonici. Il risultato è un’opera abbastanza esteriore, che si affida ai colpi di regia: la violenza consumata al canto di Singing in the Rain, l’amore a tre vorticosamente accelerato sulla sinfonia del Guglielmo Tell, le sapienti caratterizzazioni di alcuni personaggi sinistri. È l’esibizione di un grande cineasta, che cattura l’attenzione e sollecita l’applauso: senza però coinvolgerci, come evidentemente sperava, al livello della coscienza.

[1972]

SHARE THIS ARTICLE

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Read More

Blood Simple (1984)

Blood Simple | Review by Pauline Kael

Blood Simple has no sense of what we normally think of as “reality,” and it has no connections with “experience.” It’s not a great exercise in style, either.

No Country for Old Men

The Coen Brothers: A Killing Joke | by David Denby

The Coen brothers’ No Country for Old Men casts an ominous and mourn­ful spell from the first shot. Over scenes of a desolate West Texas landscape, an aging sheriff (Tommy Lee Jones) ruminates on the new viciousness of crime.

Monsieur Verdoux

Monsieur Verdoux | Review by James Agee

I think Monsieur Verdoux is one of the best movies ever made, easily the most exciting and most beautiful since Modern Times. I will add that I think most of the press on the picture, and on Chaplin, is beyond disgrace.