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Fine pena sempre – L’editoriale di Marco Travaglio [06/12/2023]

Marco Travaglio critica l'atteggiamento della politica italiana, in particolare della destra e del Pd, nei confronti della giustizia e della gestione delle pene per reati gravi
La legge è uguale per tutti

Nell’editoriale di oggi, Marco Travaglio critica l’atteggiamento della politica italiana, in particolare della destra e del Partito Democratico (Pd), nei confronti della giustizia e della gestione delle pene per reati gravi. Viene menzionato il caso di duplice omicidio commesso da un gioielliere contro due ladri in fuga, che ha portato a una condanna a 17 anni. La critica si estende anche al caso Delmastro-Cospito, un sotto-segretario del Pd sotto processo per violazione di segreto di stato, e al trattamento di Cesare Battisti, un ex-terrorista condannato all’ergastolo. Travaglio conclude affermando che l’ergastolo in Italia è una farsa, e che non sorprende che qualcuno si faccia giustizia da sé.

di Marco Travaglio

Se si facesse un sondaggio sul gioielliere che ha ripristinato e privatizzato la pena di morte contro due ladri in fuga che non potevano fargli nulla (né legittima né difesa) ed è stato giustamente condannato a 17 anni in primo grado per duplice omicidio, temiamo che la maggioranza degli interpellati starebbe dalla sua parte. Come la destra becera che ci sgoverna. Ma sarebbe sbagliato dedurne che gli italiani si sono convertiti alla pena di morte: se in Italia, come nei Paesi civili, le pene scritte in sentenza fossero scontate fino in fondo, sparirebbe quella diffusissima sensazione di insicurezza che nessuna statistica sui reati in calo riesce a debellare. Basterebbe un po’ di equilibrio e di serietà: proprio ciò che manca sia alla destra, forcaiola sui delitti di strada e garantista su quelli dei colletti bianchi, sia alla sinistra, perdonista e giustificazionista più o meno con tutti.

Il Pd e i suoi media cavalcano il caso Delmastro-Cospito, ma alla pancia del Paese non fanno neppure il solletico: sebbene il sotto-segretario sia sotto processo per aver violato un segreto di Pulcinella (la relazione del Dap sulla visita di Orlando, Serracchiani e Verini al terrorista e ad alcuni boss mafiosi al 41-bis, peraltro nota a molti giornali), le persone normali continuano a indignarsi di più perché tre big del Pd andavano in pellegrinaggio da un figuro che aveva gambizzato un manager dell’Ansaldo e piazzato una bomba per fare strage di allievi carabinieri e facevano il pianto greco perché, poverino, è in isolamento. Intanto riparte la rumba per quell’altro galantuomo di Cesare Battisti, il terrorista condannato all’ergastolo per quattro omicidi, evaso nel 1981, latitante in giro per il mondo fino al 2007 e finalmente estradato nel 2019. Nel giro di quattro anni la cosiddetta giustizia italiana l’ha già trasferito dall’alta sicurezza alla detenzione comune e gli ha abbuonato sei anni di “liberazione anticipata” che, in aggiunta ai sette scontati in carcere tra Francia, Brasile e Italia, gli consentono di superare i dieci e di chiedere i primi “permessi premio” (ma premio per cosa?). Se ora il Tribunale di sorveglianza di Reggio Emilia glieli concederà, lo rivedremo a piede libero. Ad adiuvandum, il gentiluomo chiede di incontrare i parenti delle sue vittime grazie a un’ideona contenuta nella schiforma Cartabia: la “mediazione penale” in nome della “giustizia riparativa” (vuoi mettere quanto ti senti riparato facendo quattro chiacchiere con chi ti ha ammazzato il padre o il marito). Naturalmente i familiari non vogliono vederlo, ma il solo fatto che lui l’abbia chiesto può essere un elemento positivo di valutazione per farlo uscire. E noi questa farsa la chiamiamo ergastolo. Poi ci stupiamo se qualcuno si fa giustizia da sé e diventa pure una star.

Il Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2023

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