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Delitto di cronaca – L’editoriale di Marco Travaglio [21/12/2023]

Carlo Calenda e Matteo Renzi hanno votato con le destre per una legge che vieta la pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare fino alla fine delle indagini preliminari, limitando così la trasparenza e l'accountability in democrazia.
Carlo Calenda e Matteo Renzi hanno votato con le destre per una legge che vieta la pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare fino alla fine delle indagini preliminari, limitando così la trasparenza e l'accountability in democrazia.

di Marco Travaglio

Per Calenda e Renzi l’opposizione è quella cosa che peggiora le porcate del governo. Perciò hanno approvato con le destre il bavaglio tombale: vietata la “pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari”. L’ordine di cattura è per legge un atto non segreto perché viene comunicato (e ci mancherebbe) all’arrestato. Ma ora è proibito pubblicarlo tutto o per stralci. Il giornalista dovrà parafrasarlo con parole sue. Così l’opinione pubblica, invece di sapere cosa scrive esattamente il giudice, quali prove ha raccolto, cosa ha detto l’arrestato o chi lo accusa, dovrà accontentarsi fino al processo (campa cavallo) del riassuntino del cronista. Che potrebbe equivocare il testo, non notare errori o contraddizioni, o magari occultarli apposta per colpire i nemici o favorire gli amici. Oggi, con le parole testuali dell’ordinanza, il lettore può farsi un’idea sulla fondatezza o meno di un arresto e sulla gravità o meno di una condotta. In futuro non più, perché dovrà affidarsi alla parafrasi soggettiva del giornalista. I fatti contenuti nelle ordinanze diventeranno opinioni, a cui un indagato nei guai fino al collo ma anche un giudice in malafede potranno opporre altre opinioni. In pratica la legge impone a noi giornalisti di fare male il nostro mestiere, a essere meno precisi e più approssimativi. Il tutto perché i politici, ormai al riparo dalle condanne grazie a leggi salva-ladri, prescrizioni e immunità assortite, vogliono liberarsi anche dell’ultima noia rimasta: la sanzione sociale che segue alla conoscenza dettagliata delle loro malefatte (la famosa “gogna mediatica”, che nelle democrazie si chiama accountability: dovere di rendere conto).

I “garantisti” pro bavaglio che hanno sempre in bocca Enzo Tortora dovrebbero vergognarsi: gli errori giudiziari saranno molto più difficili da smascherare. Ma chi oggi fa le leggi se ne frega degli innocenti: conoscendosi, pensa solo ai colpevoli. Il Fatto farà obiezione di coscienza e continuerà a pubblicare tutto testuale e, appena processati, ci rivolgeremo alla Corte di Strasburgo che ha già sancito decine di volte il diritto di pubblicare atti di interesse pubblico persino se sono segreti di Stato. Ma siamo curiosi di leggere le perifrasi dei colleghi su intercettazioni tipo quelle sui bunga-bunga, sul “sopramondo” e il “mondo di mezzo” spiegati da Carminati, sul “siamo padroni di una banca?” di Fassino a Consorte, su Ricucci che dice “stamo a fà i furbetti der quartierino” e accusa i finanzieri dei salotti buoni di “fà i froci cor culo de l’artri”. Frase immortale che, in ossequio alla nuova legge, si potrebbe tradurre così: “A questo punto l’immobiliarista di Zagarolo allude a pratiche omosessuali eterologhe”.

Il Fatto Quotidiano, 21 dicembre 2023

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