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Cuore di Tenebra: Introduzione di Robert Hampson

Introduzione di Robert Hampson all'edizione Mondadori del romanzo di Joseph Conrad "Cuore di tenebra" (Heart of Darkness)

di Robert Hampson

Libri e mappe

Nell’ottobre 1874, il sedicenne Józef Teodor Konrad Korzeniowski lasciò Varsavia su un treno diretto a Marsiglia. Non erano passati due mesi che già aveva iniziato quella vita di marinaio che avrebbe offerto al romanziere Joseph Conrad tanto materiale per le sue prime prove narrative: il 15 dicembre 1874 lasciò Marsiglia come passeggero della Mont Blanc, diretta in Martinica; sei mesi più tardi, il 25 giugno 1875, rifece lo stesso viaggio, ma questa volta come apprendista. Marsiglia rimase la sua base per circa tre anni, fino all’aprile del 1878, quando diede inizio a una nuova fase della sua vita imbarcandosi sul piroscafo inglese Mavis. La carriera sulle navi francesi gli era impedita dalle nuove regole relative all’impiego di stranieri nella Marina mercantile francese, e così Conrad iniziò il suo legame con la Marina mercantile britannica, legame che sarebbe durato fino al gennaio del 1894, quando, a Londra, lasciò l’incarico di secondo ufficiale della Adowa. Anche se in seguito cercò impiego su numerose altre navi, la sua carriera di marinaio era ormai finita e una nuova carriera di scrittore stava per cominciare.

Più avanti negli anni, Conrad diede varie spiegazioni al suo desiderio di andar per mare. In A Personal Record si chiese: “Perché dovrei io, figlio di una terra che uomini come questi hanno rivoltato con i loro vomeri e irrorato con il loro sangue, andare in cerca di straordinari pasti a base di carne salata e di una strada così dura sulle vaste distese marine?”. La sua risposta fu che la sua fantasia era stata catturata dai Travailleurs de la mer (I lavoratori del mare) di Victor Hugo, definiti da Conrad come “la mia prima introduzione al mare in letteratura” (PR, p. 72). In un suo saggio, Tales of the Sea (Racconti di mare), Conrad aveva già affermato che i romanzi marinareschi di James Fenimore Cooper e del Capitano Frederick Marryat avevano “modellato” la sua vita. A Personal Record allude anche a un altro genere di letture che avevano attratto la sua fantasia:

Fu nel 1868 (avevo più o meno nove anni) che, mentre stavo guardando una mappa dell’Africa di quel tempo, puntai il dito sullo spazio vuoto che allora rappresentava il mistero irrisolto di quel continente e mi dissi con un’assoluta sicurezza e un’audacia meravigliosa che ormai non fanno più parte del mio carattere:
“Da grande io andrò là.”
E ovviamente non ci pensai più finché, più o meno un quarto di secolo dopo, mi si presentò un’occasione di andarci… Andai là: essendo la regione delle cascate Stanley, che nel ’68 era il più vuoto degli spazi vuoti sulla superficie altrimenti disegnata della terra. (PR, p. 13)

In Cuore di tenebra Conrad attribuisce a Marlow un’esperienza giovanile molto simile:

«Ora, quando ero bambino avevo una passione per le carte geografiche. Stavo ore a guardare il Sud America, l’Africa o l’Australia, e mi perdevo nelle glorie dell’esplorazione. Allora c’erano parecchi spazi vuoti sulla terra, e quando ne trovavo uno che sembrava particolarmente invitante sulla carta (ma lo sembravano tutti) ci mettevo il dito sopra e dicevo: “Quando sarò grande andrò là”. Ricordo che il Polo Nord era uno di quei posti. Be’, non ci sono ancora andato e non ci proverò adesso. L’incanto è svanito1. C’erano altri posti sparsi intorno all’equatore e a ogni sorta di latitudine in entrambi gli emisferi. In alcuni ci sono stato e… be’, lasciamo perdere. Ma ce n’era ancora uno – il più grande, il più vuoto per così dire – che volevo vedere a tutti i costi.
È vero, a quel punto non era più uno spazio vuoto. Dalla mia infanzia si era riempito di laghi e fiumi e nomi. Aveva cessato di essere uno spazio vuoto incantevole e misterioso – una macchia bianca che un bambino può riempire di sogni di gloria. Era diventato un luogo di tenebra… (CdT, p. 17-18)

La carriera di Marlow, come quella di Conrad, copre un periodo significativo nella storia dei contatti tra Europa e Africa: quando Conrad era un ragazzo, negli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento, gran parte dell’Africa era ancora sconosciuta agli europei; una volta adulto, quando si recò in Africa di persona, partecipò a quella che era ormai diventata la “contesa” per l’Africa. Notevole anche il mutamento che aveva avuto luogo sulla mappa: “il più vuoto degli spazi vuoti” ha acquistato “laghi e fiumi e nomi”, ma anche, in modo più sorprendente, da “una macchia bianca che un bambino può riempire di sogni di gloria” che era, è diventato “un luogo di tenebra”. Christopher L. Miller fa notare che il passo non identifica esplicitamente l’Africa come “il più grande, il più vuoto” luogo sulla mappa, che l’Africa non è successivamente menzionata nel romanzo, e suggerisce che “il lettore – indotto a pensare di star leggendo un libro sull’Africa”, è in realtà “condotto in un vuoto che… non ha nessun altro nome se non ‘cuore di tenebra’”. Certamente, se il progetto scientista-positivista cerca di rimpiazzare l’ignoto con il noto, la narrazione di Marlow in Cuore di tenebra inizia col suggerire che l’esplorazione ha trasformato uno spazio vuoto in uno spazio di tenebre e finisce col suggerire che l’esplorazione ha trasformato l’ignoto in “indicibile”. In realtà, si potrebbe osservare che, invece di portare la luce in mezzo alle tenebre, come proclama, la missione “civilizzatrice” svela la “tenebra” che sta nel proprio cuore. Come dice V.G. Kiernan, l’Africa in quel periodo “divenne veramente un continente di tenebra, ma la tenebra era quella che gli invasori portavano con sé, la fosca ombra dell’uomo bianco”.

Sulla geografia e su alcuni esploratori

La corrente fluisce avanti e indietro con la marea nell’incessante servizio, popolata di ricordi di uomini e navi che ha portato al riposo della casa o alle battaglie del mare. Aveva conosciuto e servito tutti gli uomini di cui la nazione è fiera, da Sir Francis Drake a Sir John Franklin, cavalieri tutti, titolati o meno – i grandi cavalieri erranti del mare. Aveva portato tutte le navi i cui nomi sono come gioielli sfavillanti nella notte dei tempi, dalla Golden Hind che tornava con i fianchi tondi gonfi di tesori per essere visitata da Sua Maestà la Regina e uscire così dalla gigantesca leggenda, alla Erebus e alla Terror, partite per altre conquiste – e mai ritornate. (CdT, p. 7)

Prima di occuparci di Cuore di tenebra, vale la pena di considerare alcuni aspetti del contesto tardo-vittoriano all’interno del quale venne scritto. Nel suo tardo saggio Geography and Some Explorers (Sulla geografia e su alcuni esploratori), Conrad tornò di nuovo sulla sua fascinazione infantile per le mappe dell’Africa, e sul modo in cui, in quel periodo, “le noiose meraviglie immaginate dai secoli bui” erano state rimpiazzate da “emozionanti spazi di carta immacolata”: “La mia fantasia poteva raffigurarsi quegli uomini meritevoli, avventurosi e devoti mentre rosicchiavano gli orli, attaccavano da nord, sud, est e ovest, conquistavano un pezzetto di verità qua e un pezzetto là, e talora venivano inghiottiti dai misteri che i loro cuori con tanto accanimento tentavano di svelare”. Per l’ultima volta in pagine destinate alla stampa, Conrad tornò alle memorie infantili della mappa dell’Africa:

Mi trovo qui a dover ammettere di essere un contemporaneo dei Grandi Laghi. Sì, avrei potuto sentire della loro scoperta dalla culla, ed è naturale che, una volta diventato ragazzo, alla fine degli anni ’60 dovessi disegnare la mia prima mappa e rendere il mio omaggio al prestigio dei primi esploratori. Questo omaggio consisteva nell’inserire laboriosamente a penna i contorni del Tanganica sul mio adorato vecchio atlante, che, essendo stato pubblicato nel 1852, nulla sapeva, ovviamente, dei Grandi Laghi. Il cuore della sua Africa era grande e bianco. (LE, p. 20)

Più oltre, Conrad racconta ancora una volta di quando mise “il dito su un punto proprio al centro del cuore dell’Africa, che allora era bianco” e “dichiarò che un bel giorno sarebbe andato là”: “Niente era più lontano dalle mie più folli speranze. Eppure è un fatto che, circa diciott’anni più tardi, un piccolo e disgraziato battello a ruota che io comandavo se ne stava ormeggiato alla riva di un fiume africano” (LE, p. 24).

Geography and Some Explorers ricostruisce lo sviluppo della geografia dalla “sua fase favolosa” (LE, p. 4) attraverso la fase che Conrad definisce della “geografia militante”. La “fase favolosa”, una fase di “speculazioni abbondantemente stravaganti”, include le visioni fantastiche della cartografia medievale, che “affollava le sue mappe di immagini di strani misteri, strani alberi, strani animali” (LE, p. 3). La “geografia militante”, cui è dedicata la maggior parte del saggio, ha due aspetti differenti. Da una parte, l’esplorazione fu “promossa dallo spirito di conquista, l’idea di una qualche forma di lucro, il desiderio di commerciare o di depredare, mascherato sotto più o meno belle parole” (LE, p. 14). Dall’altra parte, la “geografia militante” diede origine alla geografia scientifica, dove l’“unico scopo era la ricerca della verità”, e gli esploratori “si dedicavano alla scoperta di fatti certi riguardo alla configurazione e alle caratteristiche dei principali continenti” (LE, p. 14). Nella sua ricostruzione di questo sviluppo, Conrad è attento a ciò che lui chiama “il dramma dello sforzo umano”: sia che si tratti delle avventure dei conquistadores nel Nuovo Mondo (“quegli ostinati cercatori dell’Eldorado che scalavano montagne, traversavano foreste, passavano fiumi a nuoto, si dibattevano nelle paludi, senza pensare minimamente alla scienza geografica” [LE, p. 5]) che esemplificano l’aspetto di conquista della “geografia militante”, oppure di vari esploratori dell’Africa – Mungo Park nel Sudan, Bruce in Abissinia, Burton e Speke attorno ai Grandi Laghi, e, soprattutto, David Livingstone nell’Africa centrale, “forse il più venerato tra gli oggetti del mio giovanile entusiasmo geografico” (LE, p. 24) – che esemplificano la geografia scientifica.

L’aspetto scientifico della “geografia militante” è anche rappresentato, per Conrad, dagli esploratori del Polo, e qui, come osserva Conrad, la “figura dominante” è quella di Sir John Franklin. Nel maggio 1845 Franklin partì da Greenhithe con due navi, la Erebus e la Terror, con a bordo provviste per tre anni, per quella che si dimostrò essere una fruttuosa ricerca del passaggio a Nord-Ovest. Si trattò anche della sua ultima spedizione. Le due navi vennero avvistate, il 28 luglio 1845, nella baia di Baffin, e poi non se ne seppe più nulla. A partire dal 1848 ci furono numerosi tentativi di rintracciare Franklin e i suoi uomini: il viaggio del capitano Ommanney del 1850 trovò tracce della spedizione; la spedizione del Dottor Rae del 1854 sentì dire dagli inuit che era stato avvistato, quattro anni prima, un gruppo di uomini bianchi che trascinavano una nave lungo la costa occidentale dell’isola di Re Guglielmo (e che i loro corpi erano stati successivamente rinvenuti presso la foce del Great Fish River); nel 1857 la spedizione del capitano McClintock accertò in modo definitivo la sorte di Franklin e dei suoi uomini. Nel suo libro sulla ricerca di Franklin, The Voyage of the ‘Fox’ in the Arctic Seas (Il viaggio della Fox nei mari artici), McClintock osserva che, quando la spedizione di Franklin navigò le acque dell’Artico, “le carte nautiche… erano poco più di fogli bianchi”. Un’annotazione datata 1847, che la spedizione di McClintock trovò all’estremità settentrionale della terra di Re Guglielmo, dove la spedizione di Franklin aveva passato l’inverno 1846-47, diceva semplicemente “Tutto bene”. A questo punto, avevano già navigato più di cinquecento miglia di acque prima inesplorate e si trovavano a meno di novanta miglia dalle acque conosciute al largo del Nord America. Ma Franklin morì quel giugno, e la primavera successiva la Erebus e la Terror erano ancora bloccate nel ghiaccio. Erano rimaste bloccate per più di un anno e mezzo, e avevano provviste che sarebbero bastate solo fino a luglio. Il 22 aprile 1848 le due navi vennero abbandonate. Secondo la ricostruzione dei fatti di McClintock, i sopravvissuti tentarono di tornare ai territori della baia di Hudson seguendo il corso del Great Fish River (VF, p. 24), ma morirono tutti di malattia, freddo e fame. Verso la fine del suo libro, McClintock osserva: “che tra i resti di quella sfortunata spedizione non si sia trovata traccia di carne conservata o di scatole di verdure, né presso ai tumuli né lungo il percorso – la conclusione è chiara quanto penosa” (VF, p. 299). L’allusione di McClintock conferma il rapporto del Dottor Rae, secondo il quale gli ultimi sopravvissuti avevano fatto ricorso al cannibalismo come ultimo tentativo di salvarsi. Forse era questo che Conrad aveva in mente quando si riferiva alla spedizione di Franklin come “forse il dramma più oscuro rappresentato dietro il sipario del mistero artico” (LE, p. 15).

In Geography and Some Explorers Conrad si sofferma abbastanza a lungo sul resoconto di McClintock del suo viaggio alla ricerca di Franklin. Non solo Conrad ha letto il libro di McClintock da ragazzo, ma l’ha riletto “molte volte da allora” e anche adesso nella sua libreria ne ha “una copia in edizione economica” (LE, p. 15). La narrazione di McClintock del viaggio della Fox alla ricerca di Franklin riesce a trasmettere concisamente l’esaltazione e i pericoli della ricerca insieme alle peculiarità del duro ambiente artico, un’area così scarsamente popolata e così inospitale che le tracce di spedizioni precedenti erano ancora visibili. La prima scoperta importante di cui parla McClintock è la grande nave della spedizione di Franklin che venne trovata sulla costa orientale di capo Crozier. Le scritte sulla fiancata, una volta decifrate, indicarono che era passata per il cantiere di Woolwich: “costruita per contratto, numerata 61, e ricevuta nel cantiere di Woolwich nell’aprile 184-, la quarta cifra a destra era perduta” (VF, p. 250). La nave conteneva parti di due scheletri umani, frammenti di vestiti e cinque o sei libri, tra cui una piccola bibbia con annotazioni a margine, a mano. Questi particolari concordano con (e forse anticipano) la “scoperta straordinaria” fatta da Marlow mentre risale il fiume alla ricerca di Kurtz: il libro che trova nella capanna abbandonata:

Il titolo era: Questioni di tecnica di navigazione, di un certo Towser, Towson – un nome simile – Capitano della Marina di Sua Maestà… Era già abbastanza straordinario che un libro simile si trovasse lì, ma ancor più sorprendenti erano i commenti a matita scritti a margine e senza dubbio riferiti al testo. (CdT, p. 117 e 119)

Andrea White ha osservato che Conrad “venne influenzato fin da giovane dalle leggende e dagli scritti delle figure eroiche dell’epoca, gli esploratori-avventurieri”2. The Voyage of the ‘Fox’ in the Arctic Seas è chiaramente un sottotesto importante di Cuore di tenebra, ma un altro è un libro scritto da un esploratore che non è menzionato in Geography and Some Explorers, vale a dire In Darkest Africa (Nell’Africa più nera, 1890) di Henry Morton Stanley.

Stanley e Leopoldo

A volte era spregevolmente infantile. Desiderava che i sovrani lo andassero a ricevere alle stazioni ferroviarie del suo viaggio di ritorno da qualche orribile luogo sperduto in cui intendeva compiere grandi cose. (CdT, p. 219)

Nel maggio 1873, il famoso missionario-esploratore David Livingstone morì a Ilala, nel cuore dell’Africa. Per Livingstone, Commercio, Cristianesimo e Civilizzazione dovevano allearsi per contrastare la tratta degli schiavi, che era ancora in espansione nell’area degli spostamenti di Livingstone in Africa, con Zanzibar (controllata dagli arabi) e i possedimenti portoghesi come centri maggiori. Uno dei ricordi di Conrad in Geography and Some Explorers allude a questa tratta:

Tutto era buio sotto le stelle. Tutti gli altri bianchi a bordo stavano dormendo. Ero contento di essere da solo sul ponte a fumare la pipa della pace dopo una giornata inquieta. Il sommesso, rombante borbottio delle cascate Stanley aleggiava nella pesante aria notturna dell’ultimo tratto navigabile del Congo superiore, mentre a non più di dieci miglia di distanza, nel campo di Reshid proprio sopra alle cascate, il non ancora insidiato potere degli arabi nel Congo dormiva sonni inquieti. (LE, pp. 24-25)

Reshid era il nipote del noto mercante di schiavi Hamid Ibn Muhammad, noto come Tippu Tib. Forse Conrad non parla dello schiavismo arabo in Cuore di tenebra perché la “guerra contro lo schiavismo” in Africa era un argomento spesso utilizzato per giustificare l’espansione coloniale. Oppure, forse decise di non farvi riferimento per sottolineare la sensazione di Marlow di “un corso d’acqua deserto, un silenzio profondo, una foresta impenetrabile” (CdT, p. 103). La narrazione accentua l’isolamento dell’uomo bianco e la “misteriosità” degli africani allo scopo di riprodurre il paradigma dell’eroico esploratore com’è esemplificato nel popolare racconto dell’incontro tra Stanley e Livingstone.

Stanley, che aveva “trovato” Livingstone sul lago Tanganica nel novembre 1871, tornò in Europa l’anno dopo in un fulgore di popolarità. Come ha osservato Felix Driver, il giornalista e poi esploratore Stanley non era solo un assiduo promotore di se stesso – con titoli come How I Found Livingstone (Come ho trovato Livingstone, 1872), Through the Dark Continent (Attraverso il Continente nero, 1878), The Congo and the Founding of Its Free State (Il Congo e la fondazione del suo Stato libero, 1885) e In Darkest Africa – ma era anche l’oggetto di una pubblica polemica:

La prima e la più famosa di queste polemiche ebbe luogo nell’estate del 1872, quando Stanley tornò dalla sua ricerca di Livingstone. La seconda scoppiò nel 1876, quando a Londra arrivò notizia di violenze compiute nella sua seconda spedizione africana; e la terza nacque nel 1890-91, alla vigilia della missione di Stanley per “salvare” Emin Pasha, il governatore tedesco del Sudan equatoriale3.

Le polemiche del 1872 venivano da tre fronti: giornali rivali, amici dell’agente britannico a Zanzibar (che Stanley aveva criticato) e la Royal Geographical Society. La disputa tra Stanley e la Royal Geographical Society aveva per oggetto “questioni di posizione sociale, meriti scientifici e legittimità morale” (Driver, p. 147), ma la polemica coinvolse anche quello che era sentito come il tentativo di Stanley di appropriarsi della reputazione di Livingstone: non solo Stanley aveva trovato Livingstone, ma gli erano anche stati affidati – come succede a Marlow con Kurtz – i diari e le lettere di Livingstone4.

Nell’aprile 1874, il corpo di Livingstone giunse finalmente in Inghilterra per ricevervi, nell’abbazia di Westminster, un funerale da eroe, con Stanley a portare la bara. Più tardi, quello stesso anno, Stanley tornò in Africa. Raggiunse Zanzibar per una spedizione – commissionata dal «New York Herald» e finanziata anche dal «Daily Telegraph» – che l’avrebbe portato attraverso l’Africa fino a Boma. La polemica del 1876 fu attizzata da una notizia di giornale relativa a un violento episodio avvenuto sull’isola di Bambireh, sul lago Vittoria5. Nel 1875 Stanley si era scontrato con gli abitanti dell’isola: gli avevano rifiutato il cibo, l’avevano minacciato con lance e frecce, gli avevano strappato i capelli e gli avevano rubato i remi della barca, la Lady Alice, dal nome della sua “Promessa sposa”, Alice Pike. Successivamente, Stanley era tornato a Bambireh con una forza di 280 uomini e, dopo aver attirato gli abitanti sulla spiaggia, aveva sparato raffiche di pallottole contro di loro. Non fu semplicemente il fatto che Stanley avesse usato la forza ciò che sollevò la polemica, ma la natura crudele della forza e l’evidente compiacimento che traspariva dalla sua rievocazione dell’episodio. Come osservò la «Saturday Review»: “Egli non ha nessun interesse nella giustizia, nessun diritto di amministrarla; si presenta senza nessun decreto, nessuna autorità, nessuna giurisdizione – nient’altro che pallottole esplosive e una copia del ‘Daily Telegraph’.”

La questione venne riaperta dalla Royal Geographical Society al ritorno in Inghilterra di Stanley nel 1878. La polemica questa volta riguardava l’abisso che c’era tra i proclami di alti scopi morali fatti da Stanley e il suo metodo di “esplorazione con la guerra”. Stanley aveva scritto nel suo diario che sperava di succedere a Livingstone nell’impresa di “aprire l’Africa alla luce splendente del Cristianesimo”, ma in Through the Dark Continent aveva osservato che gli africani rispettano solo “la forza, il potere, il coraggio e la decisione”. Una commissione congiunta della Società antischiavista e di quella per la Protezione degli Aborigeni espresse così la sua protesta sul «Colonial Intelligencer»: “I criminosi atti di rappresaglia che ha commesso sono indegni di un uomo che si è recato in Africa professandosi come un pioniere della civiltà”.

In ogni caso, se Stanley venne criticato in Inghilterra, ricevette un’accoglienza molto differente in Belgio. Durante il suo viaggio di ritorno in Inghilterra, era stato avvicinato, l’8 gennaio 1878, da segreti emissari di re Leopoldo alla stazione ferroviaria di Marsiglia. Due anni prima Leopoldo era stato molto colpito da una relazione sull’Esplorazione dell’Africa apparsa sul «Times», nella quale veniva descritta una terra di “indicibili ricchezze” che aspettava soltanto che “un intraprendente capitalista… prendesse in mano la faccenda”. Leopoldo si era interessato all’impresa coloniale fin dagli anni ’50 del secolo. Per usare le parole di Neal Ascherson, il colonialismo, per Leopoldo, significava “la scienza molto limitata” di servirsi di popolazioni tecnologicamente meno avanzate “per produrre ricchezza dalle risorse naturali del loro paese”. Leopoldo si era anche reso conto che il “lavoro forzato” era un modo di produzione ancora più economico del lavoro pagato. Sei mesi dopo aver letto l’articolo sull’Esplorazione dell’Africa, nel settembre 1876, aveva organizzato il primo congresso geografico sull’Africa centrale, la Conférence Géographique Africaine, alla quale furono invitati vari celebri esploratori. In occasione del congresso Leopoldo bandì la sua crociata morale: “Aprire alla civiltà l’unica parte del nostro globo alla quale essa non è ancora arrivata, penetrare la barriera di tenebra che avvolge intere popolazioni, è una crociata degna di questo secolo di progresso”. Nel giugno del 1878 Stanley accettò l’invito di Leopoldo a Bruxelles. Entro l’autunno si era già accordato con lui per servirlo in Africa per un periodo di cinque anni: la missione “filantropica e scientifica” avrebbe aperto l’Africa alla civiltà sotto gli auspici dell’Associazione Internazionale (Association Internationale pour l’Exploration et la Civilisation en Afrique) attraverso una serie di “stazioni” e tramite la costruzione di una strada tra Boma e Stanley Pool; l’intenzione nascosta, come Stanley capì ben presto, era quella di fare del bacino del Congo una colonia belga.

L’ultima spedizione di Stanley (1887-90) aveva come pretesto quello di soccorrere Emin Pasha (allora apparentemente minacciato dal movimento mahdista). Per ragioni politiche, comunque, la spedizione diretta in Sudan venne instradata attraverso il Congo. Leopoldo aveva affidato a Stanley due incarichi diplomatici: il primo – che venne portato a termine – era quello di convincere il mercante di schiavi Tippu Tib a diventare governatore della regione delle cascate Stanley (dal momento che lo Stato del Congo non aveva abbastanza soldi per permettersi una guerra contro gli arabi, che erano in competizione per il controllo dell’Africa centrale); il secondo – nel quale Stanley fallì – era di convincere Emin Pasha a unire la sua provincia, Equatoria, allo Stato libero del Congo. La prima fase del viaggio portò Stanley e le sue forze a risalire il Congo dalla foce fino a Matadi – lo stesso viaggio che Conrad e Marlow avrebbero compiuto pochi anni dopo. La narrazione di In Darkest Africa inizia con lo stato di tensione provocato dal bisogno urgente di raggiungere Emin Pasha (“Emin sarà perduto se non gli viene portato aiuto immediato”) e dai ritardi causati dall’assenza di battelli adatti alla navigazione del Congo superiore. Stanley osserva: “La fornitura navale promessa non esisteva per niente tranne che nell’immaginazione dei gentiluomini del Bureau di Bruxelles” (DA, p. 50). I battelli erano “distrutti, marci, oppure senza caldaie e motori” (DA, p. 50), e Stanley descrive le riparazioni, le sostituzioni delle lamiere e così via, che si resero necessarie prima che la spedizione potesse proseguire. Anche questi due leitmotiv – l’urgenza di risalire il fiume per raggiungere qualcuno e i ritardi causati dalla necessità di riparare un battello – avrebbero fatto parte dell’esperienza di Marlow. È forse il caso di spiegare che Emin Pasha era un titolo e non un nome: l’uomo che la spedizione di Stanley stava cercando di raggiungere si chiamava Eduard Schnitzler, che Stanley descrisse come “un grande poliglotta, esperto di turco, arabo, tedesco, francese, italiano e inglese” (DA, p. 40). Si potrebbe anche notare che – anche limitandoci a quel che dice Stanley – la spedizione non era stata organizzata solo per salvare Emin Pasha, e nemmeno per esplorare l’area tra il Congo e il Sudan equatoriale. Stanley osserva, in In Darkest Africa, che “Emin Pasha possedeva circa settantacinque tonnellate d’avorio. Una tale quantità d’avorio equivarrebbe a 60.000 sterline” (DA, p. 42), e prese accordi non solo per portare indietro l’avorio ma anche per dividere le 60.000 sterline.

Al suo ritorno, Stanley fu accolto come un eroe a Bruxelles e a Londra. Il 19 aprile 1890 il gruppo di Stanley venne ricevuto alla frontiera francese da un treno speciale inviato da Leopoldo, che a sua volta venne ricevuto alla Gare du Midi da una guardia d’onore, e il 26 aprile Stanley fu ancora accolto da una folla festante a Londra alla stazione di Charing Cross6. Conrad, nel frattempo, era stato a Bruxelles nel febbraio 1890 per un colloquio di lavoro e, dopo un soggiorno di dieci settimane in Polonia, era di ritorno a Bruxelles il 29 aprile per la conferma del suo impiego di tre anni in Congo.

Oltre a svolgere il suo lavoro per Leopoldo, Stanley non esitò ad associare le sue missioni con la promozione di vari interessi materiali – i belgi in Congo, gli inglesi nell’Africa orientale e in Sudan, e persino gli americani a Zanzibar. Come osserva Driver: “L’assoluta varietà delle rivendicazioni politiche su Stanley suggerisce che egli non rappresentava gli interessi di nessun impero in particolare: era piuttosto un pioniere del nuovo imperialismo in generale” (Driver, pp. 165-66). Driver lo paragona a Kurtz (“‘tutta l’Europa’ contribuì alla sua formazione”); ma allo stesso modo ci si potrebbe chiedere con Marlow “quante potenze delle tenebre ne rivendicassero il possesso”. (CdT, p. 155).

Nell’Africa più nera

Come ha fatto notare Norman Sherry, quando Conrad risalì il Congo nel maggio del 1890, sarebbe stato ben difficile che non sapesse di Stanley. Conrad era tornato a Marsiglia il 15 febbraio 1878 – poco più di un mese dopo l’arrivo di Stanley, en route verso l’Inghilterra dopo aver trovato Livingstone. Nel gennaio del 1889 arrivò a Londra il messaggio di Stanley con la notizia che aveva trovato Emin Pasha, col risultato che “per tutta l’estate ulteriori notizie sulla sua spedizione continuarono a essere pubblicate sui giornali”. Nel novembre di quell’anno l’ambizione giovanile di Conrad di andare in Africa si fece sentire di nuovo, e Conrad si recò a Bruxelles per avere un colloquio con Albert Thys della Société Anonyme Belge pour le Commerce du Haut-Congo. Conrad fu a Bruxelles nel febbraio del 1890, periodo in cui entrò in stretti rapporti con la vedova di suo cugino, Marguerite Poradowska (alla quale Conrad si riferiva come sua “zia”), e poi ancora alla fine di aprile e all’inizio di maggio. Il 10 maggio 1890 partì da Bordeaux sulla Ville de Maceio alla volta del Congo. Il 12 giugno sbarcò a Boma, la sede del governo, e l’indomani raggiunse Matadi, dove subì un ritardo di quindici giorni. Come è annotato nel suo diario, Conrad partì da Matadi il 28 giugno, diretto via terra a Kinshasa, la Stazione Centrale di Cuore di tenebra. Nel suo viaggio di risalita del Congo, Conrad deve essere stato consapevole di star seguendo le orme di Stanley: per esempio, il missionario Mr Bentley, che Conrad scrive di non essere riuscito a incontrare, era il missionario al quale Stanley aveva requisito con la forza la Peace per trasportare la spedizione che doveva portare aiuto a Emin Pasha.

Il 13 agosto, Conrad lasciò Kinshasa imbarcandosi per un viaggio di mille miglia sulla Roi des Belges alla volta delle cascate Stanley. Il passo citato sopra da Geography and Some Explorers offriva una fugace visione di Conrad alle cascate Stanley che “fumava la pipa della pace dopo una giornata inquieta”. L’umore di Conrad è rivelato da ciò che segue: non provò il senso di esaltazione che segue al compimento di un’impresa; piuttosto, “una grande malinconia discese” su di lui nel rendersi conto che “la realtà idealizzata dei sogni di un ragazzo” era stata soppiantata e insudiciata dalle attività di Stanley e dello Stato libero del Congo, o, per usare le sue parole, dal “sacrilego ricordo di una prosaica ‘trovata’ giornalistica e dalla disgustosa consapevolezza della più vile corsa al saccheggio che abbia mai sfigurato la storia della coscienza umana e dell’esplorazione geografica” (LE, p. 25).

Dopo che il comandante della Roi des Belges si fu ammalato, Conrad prese il comando per una parte del viaggio di ritorno, arrivando a Kinshasa il 24 settembre. Un agente della compagnia malato, Georges Antoine Klein, fu preso a bordo e morì durante il viaggio. I tre mesi seguenti furono occupati dalla malattia di Conrad stesso, dalla sua convalescenza e da un lento viaggio di sei settimane fino alla costa: Conrad raggiunse Matadi il 4 dicembre e subito dopo si imbarcò a Boma alla volta dell’Europa. La prima metà del 1891 passò tra malattia e convalescenza, e in seguito, in estate, Conrad fece due viaggi lungo l’estuario del Tamigi a bordo della yawl Nellie. La Nellie apparteneva al suo amico G.F.W. Hope, un vecchio “allievo della Conway” che adesso era direttore di compagnia; li accompagnavano il contabile W.B. Keen e l’avvocato T.L. Mears.

Nel dicembre 1898 Conrad iniziò a lavorare a Cuore di tenebra. Nella sua Nota dell’autore Conrad parla del racconto come di “un’esperienza spinta un poco (e soltanto assai poco) oltre i reali eventi del caso”. Alcuni cambiamenti tra il manoscritto e il testo pubblicato suggeriscono che la base del racconto va rintracciata nell’esperienza personale di Conrad, ma mostrano anche, proprio per la loro eliminazione, uno dei modi in cui Conrad allontana il racconto dall’autobiografismo. Per esempio, il viaggio in mare fino alla foce del Congo in origine iniziava così: “Partii su un piroscafo francese che, da Dakar in poi, fece scalo in ogni maledetto porto che hanno da quelle parti” e finiva con: “passammo vari luoghi: Grande Bassam, Piccolo Popo, nomi che sembravano appartenere a qualche sordida farsa”. Ma poi Conrad eliminò “a partire da Dakar” e inserì “con nomi come” prima di “Grande Bassam”. L’effetto, in entrambi i casi, è di indebolire il collegamento con l’esperienza personale di Conrad e di allontanarsi dallo specifico africano. Come osserva Miller, “gli unici toponimi africani rimasti in Cuore di tenebra dopo la descrizione di Marlow dello ‘spazio vuoto’ vengono così trasformati da fatti a similitudini, da luoghi con nomi a luoghi con nomi come questi” (BD, p. 175). Il racconto non promette un’“immagine dell’Africa” ma un’esplorazione autocosciente della formazione delle immagini dell’Africa, del linguaggio e dei tropi di un incontro di culture.

Un secondo modo in cui Conrad provò a “spingere oltre i reali eventi del caso” è stato integrando i dettagli del suo viaggio su e giù per il Congo con altri racconti di esplorazione. I viaggi di McClintock e Stanley alla ricerca – rispettivamente – di Franklin e di Emin Pasha sono solo due dei sottotesti di cui Conrad si servì per sviluppare la narrazione che creò attorno all’agente morente Klein7. La narrazione avventurosa viene spezzettata e le vengono sovrapposti un’intera gamma di tipi di discorso e una varietà di modelli letterari e mitici. Il viaggio fisico di Marlow da Londra al Congo diventa così un viaggio morale in cui Marlow viene posto a confronto con l’operato del colonialismo e un viaggio psicologico intrapreso insieme da Marlow, dal suo uditorio e dal lettore, mentre la narrazione attinge alle risorse di una cultura letteraria che include Omero, Virgilio, Dante, Bunyan e Goethe nel tentativo di rappresentare e comprendere l’esperienza non-europea. “Tutta l’Europa contribuì alla creazione di Kurtz” e “tutta l’Europa” contribuisce alla narrazione di Marlow. La sua narrazione può essere lettera come una quest, una catabasi, un viaggio del pellegrino al contrario, mentre l’esperienza di Kurtz allude a una versione del patto faustiano.

La modalità più importante attraverso la quale Conrad si distanzia dal proprio materiale è, forse, attraverso l’uso di Marlow. Cuore di tenebra non solo ha due narratori (Marlow e il primo narratore anonimo che lo presenta) ma l’interazione tra Marlow e il suo uditorio segnala che i discorsi di Marlow sono forniti di un contesto, mentre i discorsi dell’anonimo narratore sono il prodotto di un punto di vista specifico quanto quello di Marlow. C’è una chiara presa di distanza di Conrad dall’anonimo narratore, così che Marlow è doppiamente distanziato da Conrad. La struttura narrativa di base di Cuore di tenebra è quella della storia a cornice con storie al suo interno. Conrad aveva sperimentato questo metodo di “narrazione obliqua”, il racconto nel racconto, in Youth (Gioventù), che aveva una situazione narrativa simile: “un direttore di compagnie, un ragioniere, un avvocato” e un narratore anonimo si riunivano per ascoltare un racconto di Marlow. Una delle evoluzioni a partire da Youth è che, mentre in Youth la cornice e la storia incorniciata rappresentano due punti di vista alternativi, quello del giovane, romantico Marlow e quello del logoro Marlow di mezza età, il rapporto tra i due in Cuore di tenebra è più complesso: una rete di parallelismi e opposizioni produce quello che Cedric Watts ha definito “un effetto tentacolare” (Watts, p. 26), nel quale le opposizioni apparenti spesso risultano poi essere dei parallelismi. Come osserva Daphna Erdinast-Vulcan, “l’apparentemente netta distinzione tra le due narrazioni viene costantemente messa alla prova”. Si considerino, per esempio, le “pedine d’osso” con le quali giochicchia il ragioniere a bordo della Nellie e il pianoforte a coda nel salotto della Promessa sposa: questi elementi mettono in relazione il feticcio dell’avorio nel cuore di tenebra con il mondo civilizzato dell’uditorio di Marlow istituendo una rete di complicità. Questo fa parte di una strategia narrativa che costruisce delle antitesi solo per poi infrangerle, che cancella le barriere tra l’“io” e l’“altro” anche se Marlow si sforza di mantenerle, allo scopo di mettere in questione la posizione del lettore in rapporto alla narrazione. Un altro sviluppo da Youth è che la storia di Marlow non tratta principalmente di lui stesso. La meta che la narrazione cerca di raggiungere è la verità su Kurtz e la sua esperienza: il centro d’interesse è inizialmente la valutazione di Kurtz (se si tratti di un “demonio” o di un “angelo”), in seguito il centro d’interesse diventa Kurtz in quanto “voce” che potrebbe spiegare l’esperienza di Marlow. Dopo la prima sezione, infatti, Kurtz diventa il centro dell’interesse, e gli insistiti riferimenti all’“eloquenza” di Kurtz contengono implicitamente la promessa che Kurtz, con il suo “dono” di “espressione”, saprà articolare il segreto e offrire la soluzione ai problemi morali, psicologici e filosofici che il viaggio ha posto, ma c’è un anticlimax intenzionale in relazione a Kurtz che esprime il radicale scetticismo del racconto sui valori ultimi e la possibilità di offrire spiegazioni.

Ian Watt ha scritto che “Cuore di tenebra incorpora più profondamente di ogni altra narrazione precedente l’atteggiamento di incertezza e dubbio.” Non solo il testo di Conrad si serve della narrazione obliqua per produrre una narrazione aperta, ma i dubbi epistemologici vengono espressi tramite la tecnica che Watt ha definito di “decodifica ritardata”. La narrazione presenta le sensazioni immediate del personaggio (“Di fronte al portello comparve nell’aria qualcosa di grosso, il fucile finì fuori bordo e l’uomo indietreggiò rapido”; CdT, p. 145) solo per segnalare la distanza tra impressione e interpretazione e preparare il processo di interpretazione. Peter Brooks, allo stesso modo, ha analizzato le incertezze di Cuore di tenebra da una prospettiva narratologica. Mentre il classico racconto a cornice è costituito da un insieme di scatole collegate tra loro, di parentesi all’interno di parentesi, la trama della narrazione di Marlow assume decisamente come sua storia ciò che Marlow capisce essere la storia di Kurtz, ma la storia di Kurtz “non giunge mai a esistere veramente, a essere cioè raccontata compiutamente” (Brooks, pp. 263-64). Il viaggio di ritorno alle origini di Marlow promette di raggiungere un significato dall’unione con il precedente viaggio di Kurtz, ma la risposta di Kurtz a ciò che Marlow identifica come “il punto estremo della navigazione e il punto culminante della mia esperienza” (CdT, p. 17) è solo “una reazione emotiva sfuggita a ogni controllo, dal referente e dal contesto incerti”, il che “equivale a fornire una versione parodica e beffarda della narrazione e dell’etica più in generale” (Brooks, p. 261). Dopo che Marlow ha ripercorso il viaggio su per il fiume di Kurtz attraverso le storie di altre ricerche e viaggi, la storia di Kurtz arriva alla fine a Marlow in una forma non narrativa, in “esclamazioni desolate, completate da alzate di spalle, frasi sospese, accenni che si chiudevano in profondi sospiri” (CdT, p. 181). Diventa cioè una delle tante trame possibili, uno dei tanti sistemi di significazione alternativi che si propongono di spiegare la realtà, “se solo fossero credibili” (Brooks, p. 251). Alla fine la narrazione di Marlow arriva solo a suggerire un motivo per cui è stata pronunciata: è come se il finale convenzionale della storia che fornisce alla Promessa sposa a Bruxelles l’avesse condannato alla narrazione colpevolmente anticonvenzionale che racconta sul Tamigi.

L’idea di Impero

La conquista della terra, che più che altro significa toglierla a chi ha un diverso colore di pelle o il naso un po’ più schiacciato del nostro, non è una bella cosa a guardarla bene. C’è solo l’idea che la può riscattare. L’idea che le sta dietro: non una finzione sentimentale, ma un’idea; e una fede disinteressata nell’idea – qualcosa che si possa innalzare, davanti a cui ci si possa inchinare e offrire sacrifici… (CdT, p. 15)

Dal momento che stava scrivendo Cuore di tenebra per la «Blackwood’s Magazine», Conrad doveva avere un’idea molto chiara della natura dei suoi immediati lettori: conservatori e imperialisti in politica, e in gran parte maschi. Così scrisse in anticipo a William Blackwood, l’editore, per rassicurarlo: “Il titolo cui sto pensando è ‘Il cuore della tenebra’ – ma la storia non è cupa. La criminosità di inefficienza e puro egoismo nell’affrontare il lavoro di civilizzazione dell’Africa è un’idea legittima”. La prima frase lascia capire qualcosa sull’attendibilità delle affermazioni di Conrad in questa lettera. La seconda frase, con la sua critica dell’inefficienza e l’apparente approvazione del “lavoro di civilizzazione dell’Africa”, presenta una curiosa eco del preambolo di Marlow alla storia della sua collusione con l’imperialismo. Marlow descrive la colonizzazione romana della Britannia in termini che suggeriscono un ovvio parallelismo con il successivo imperialismo britannico, ma poi offre il pretesto per rifiutare l’analogia: “Badate, nessuno di noi si sentirebbe esattamente così. Ci salva l’efficienza” (CdT, p. 13). Questa affermazione, come quelle di Conrad a Blackwood, apparentemente non si discosta dalla rete di riferimenti del discorso imperialista. Tuttavia, quando Marlow riferisce il suo incontro col ragioniere capo della Compagnia alla Stazione Centrale, l’inadeguatezza morale dell’“efficienza” come giustificazione in un contesto coloniale è affermata a chiare lettere. Dopo che Marlow ha elogiato il ragioniere, attento “a curare il proprio aspetto” (i suoi “colletti inamidati e gli sparati inappuntabili erano conquiste del suo carattere”, CdT, p. 51), la sua narrazione mette in chiaro la dissociazione della sensibilità che sta dietro l’efficiente contabilità del ragioniere:

Quando trasportarono nell’ufficio un letto a rotelle (qualche agente dell’interno reso invalido) mostrò un garbato fastidio. “I lamenti dell’ammalato” disse “distraggono la mia attenzione. E senza questa è estremamente difficile guardarsi dal commettere errori di registrazione in questo clima.” (CdT, p. 53)

Nella sezione d’apertura di Cuore di tenebra Conrad si serve di varie strategie in relazione al lettore implicito, il lettore conservatore, bianco e maschio della «Blackwood’s Magazine». Tanto per iniziare, c’è l’evocazione del “grande spirito del passato” (CdT, p. 7) fatta dal primo narratore anonimo. La celebrazione delle esplorazioni e dei commerci britannici “da Sir Francis Drake a Sir John Franklin” costituisce ciò che i critici di Joyce chiamano una “trappola per il lettore”. Conrad offre, attraverso il narratore anonimo, quel genere di storia nazionalista e di retorica imperialista cui i suoi primi lettori erano abituati allo scopo di cullarli in un iniziale falso senso di sicurezza. Tuttavia, verso la fine il lettore esperto e accorto può cogliere accenni a una visione differente: “Cacciatori d’oro o inseguitori di gloria, erano tutti partiti da quel fiume, portando la spada e spesso la fiaccola, messaggeri della potenza racchiusa in quella terra” (CdT, p. 7; corsivi miei). Proprio come le parole usate sovvertono sottilmente la compiaciuta retorica del narratore, il riferimento a Sir Francis Drake avrebbe anche potuto ricordare ad alcuni dei primi lettori di Conrad un articolo non proprio lusinghiero su Drake uscito sulla «Blackwood’s» sei mesi prima, mentre il riferimento alla spedizione di Sir John Franklin va forse letto come un’allusione al cannibalismo da parte di europei all’inizio del racconto. La dichiarazione di Marlow a proposito dell’“idea” che redime l’imperialismo nel suo preambolo è un esempio ancora più chiaro di “trappola per il lettore”. È solo a una lettura successiva che si può dare il giusto peso all’immagine con cui Marlow conclude il suo preambolo (“qualcosa che si possa innalzare, davanti a cui ci si possa inchinare e offrire sacrifici…” CdT, p. 15), e che il lettore inizia ad apprezzare le dinamiche psicologiche implicitamente sottintese sia alla reticenza con cui termina il discorso che all’impulso di Marlow di narrare la storia che segue. L’affermazione di Marlow dell’“idea” che sta dietro all’imperialismo lo induce a usare un linguaggio figurato che sovverte l’idea che stava affermando. Il discorso di Marlow s’interrompe, e si interrompe perché Marlow si rende conto delle implicazioni dell’immagine che ha appena usato. Marlow, dopo tutto (secondo la logica del realismo), conosce già la fine della storia che sta per raccontare, e la sua storia non riguarda (come i primi lettori si sarebbero potuti aspettare) l’“idea” redentrice che sta dietro all’imperialismo, ma piuttosto qualcuno che, incoraggiato dai rapporti di potere e dal discorso dell’imperialismo, si “possa innalzare” come qualcosa davanti alla quale gli altri si possano “inchinare e offrire sacrifici…”. In realtà, si potrebbe osservare che è questa immagine che alimenta la narrazione di Marlow più di una qualsiasi esigenza di esprimere l’“idea” redentrice. Come in quei disegni illusionistici che possono essere visti sia come un vaso sia – invertendo primo piano e sfondo – come due profili contrapposti, qui il linguaggio che veniva presentato come figurato improvvisamente afferma il suo significato letterale: questo tipo di instabilità del linguaggio si dimostra essere un tratto caratteristico della narrazione di Marlow.

Un’immagine dell’Africa

Sbarca in una palude, marcia attraverso i boschi, e in qualche insediamento dell’interno sente che la natura selvaggia, la natura più selvaggia, gli si è chiusa intorno… (CdT, p. 13)

Nel suo famoso attacco a Cuore di tenebra, Chinua Achebe si rifiuta di considerare tanto la drammatizzazione del testo della coscienza di Marlow quanto la distanza strategica che Conrad prende tra sé e i suoi narratori inglesi. Conrad non ci sta presentando un’immagine dell’Africa, piuttosto l’esperienza di Marlow in Africa e il suo tentativo di comprendere e rappresentare quell’esperienza. Marlow è un personaggio di finzione la cui coscienza opera in accordo con i codici e le categorie a lui contemporanei. Se le percezioni di Marlow sono a volte razziste, questo è perché erano razzisti quei codici e quelle convenzioni. Come ha sottolineato Anthony Fothergill, Marlow è “sufficientemente consapevole di un certo numero di stereotipi razziali da ritorcerli ironicamente contro i bianchi che li usano”, ma in definitiva viene preso in contraddizione e complicità a livello culturale e politico. In ogni caso, il metodo narrativo di Conrad (che Achebe mette da parte) rappresenta una posizione più radicale di quella di Marlow, dal momento che oggettiva e rende problematica la narrazione di Marlow, le sue percezioni e le sue rappresentazioni.

Il nocciolo della critica di Achebe è quel tipo di lettura di Cuore di tenebra in cui il testo è considerato esclusivamente in termini psicologici: “Proprio nessuno riesce a vedere la ridicola e perversa arroganza nel ridurre così l’Africa al ruolo di puntello per il crollo di una singola meschina mente europea?”. Come afferma Achebe, una lettura in chiave psicologica (o, anche, metafisica) che si concentri solo su Kurtz o Marlow mettendo da parte il contesto storico-sociale replica proprio quella disumanizzazione degli africani che la critica all’imperialismo di Cuore di tenebra condanna. Osserva ancora Achebe che la cultura e la storia africane non hanno ricevuto una rappresentazione adeguata nella letteratura europea, e che Cuore di tenebra non fa niente per rimediare a questa mancanza. A questo proposito, W. Holman Bentley offre un parallelo istruttivo con il suo Pioneering on the Congo (Pionieri sul Congo). Bentley dedica i primi due capitoli del suo resoconto in due volumi dei vent’anni che ha passato da missionario in Congo alla storia di quello stato dal 1484 al 1877, e la sua narrazione in generale dà molto più il senso delle relazioni e dell’organizzazione sociale interna e tra popoli differenti nel bacino del Congo di quanto faccia Cuore di tenebra, ma la sua storia è scritta dalla prospettiva del contatto europeo con il Congo e la sua narrazione generalmente s’inscrive in una struttura ideologica cristiana di stampo razzista e imperialista. Edward Said ha descritto l’Orientalismo come “un segno del predominio europeo e atlantico sull’Oriente” piuttosto che “un discorso veridico sull’Oriente” – distinzione rilevante anche nel caso dell’Africa. Se Cuore di tenebra non offre un’immagine dell’Africa, mette in primo piano i rapporti di potere tra l’Europa e l’Africa e, attraverso la rappresentazione di un narratore in una situazione narrativa specifica, mette in discussione i discorsi europei introdotti in quel contesto. Said osserva che:

l’esame fantastico di cose orientali era basato più o meno esclusivamente su una coscienza occidentale sovrana… secondo una logica dettagliata governata non semplicemente dalla realtà empirica ma da una schiera di desideri, repressioni, investimenti e proiezioni8.

Sono precisamente quei “desideri, repressioni, investimenti e proiezioni” quelli che Cuore di tenebra espone nei discorsi dell’imperialismo. L’Africa non è semplicemente il fondale scelto arbitrariamente per raccontare la storia del “crollo di una singola meschina mente europea”: il crollo di Kurtz è il risultato del posto che egli occupa nella rete di collegamento gerarchicamente strutturata di Europa e Africa; Kurtz è la vittima di uno dei discorsi dell’imperialismo, e la storia di Kurtz mostra quanto dannoso quel discorso possa essere tanto per gli africani quanto per gli europei.

Achebe ignora anche il lettore implicito di Cuore di tenebra. Come osserva Benita Parry:

Conrad nella sua “narrativa coloniale” non intendeva parlare per conto dei colonizzati né si rivolgeva a loro… I suoi primi destinatari erano i sottoscrittori della «Blackwood’s»… un pubblico ancora ben saldo nella convinzione di far parte di un invincibile potere imperiale e di una razza superiore9.

La posizione di Conrad era simile a quella in cui si trovano gli antropologi quando, di ritorno nei loro paesi per dare una forma scritta alla loro ricerca, “devono farlo nelle convenzioni di rappresentazione già definite… dalla loro disciplina, dalla vita istituzionale e più in generale dalla società”10. Conrad mostra di essere consapevole dei parametri all’interno dei quali stava scrivendo rispecchiandoli nel resoconto di Marlow della sua esperienza. L’uditorio di Marlow, come i lettori della «Blackwood’s Magazine», è composto da maschi della classe di amministrazione coloniale. Marlow è costretto a tener conto del problema di rendere la sua esperienza comprensibile a un pubblico che mostra subito i suoi limiti di comprensione e tolleranza: “‘Cerchi di essere educato, Marlow,’ borbottò una voce” (CdT, p. 105). Marlow adotta varie strategie retoriche in relazione a questo pubblico particolare e, come abbiamo visto, allo stesso modo Conrad modella le sue strategie narrative su un lettore implicito specifico. Ma, lungi dall’offrire “miti confortanti” (come pretende Achebe), le strategie narrative di Conrad e di Marlow servono a sovvertire molti dei presupposti accettati dal loro pubblico.

Un’area in cui questo avviene chiaramente è in rapporto al discorso imperialista e al suo uso di antitesi come “luce” e “tenebra”, “civilizzato” e “selvaggio”. Sherry richiama l’attenzione su un discorso pronunciato da Stanley, nel quale venivano confrontate la colonizzazione romana della Britannia e quella inglese dell’Africa. Stanley concludeva così: “Dio non voglia che noi si debba assoggettare ancora l’Africa allo stesso terribile giogo e impedire che la luce della conoscenza che ha raggiunto ogni altra parte del globo possa avere accesso alle sue coste”11. Come ha osservato Eric Woods, il sistema d’immagini di luce/tenebra nel discorso imperialista conteneva un’ambivalenza che si dimostrò utile12. Da una parte, come dimostra il discorso di Stanley, implicava un imperativo morale (portare la luce nelle aree della tenebra), giustificando così le missioni e la colonizzazione. Dall’altra parte, serviva anche a consolidare delle categorie fisse, una percezione di “noi” e “loro”. Per contrasto, il trattamento di queste immagini da parte di Conrad infrange questo senso di opposizioni fisse e porta allo scoperto l’implicito “imperativo morale”. Dopo che il primo narratore ha evocato “il grande spirito del passato sull’ultimo tratto del Tamigi” (CdT, p. 7), Marlow risponde alle sue immagini di luce e tenebra osservando: “E anche questo… è stato un angolo tenebroso della terra” (CdT, p. 9); poi Marlow si spiega facendo riferimento alla colonizzazione romana della Britannia, dove i “selvaggi” temuti dall’“uomo civilizzato” sono le popolazioni indigene della valle del Tamigi. L’attribuzione della “barbarie” all’altro è evidentemente una proiezione delle paure del colonizzatore in un ambiente e in mezzo a popolazioni che non può comprendere. Alla fine della narrazione, con il ritorno al Tamigi, un Tamigi che “scorreva cupo sotto un cielo offuscato”, che “pareva condurre nel cuore di una tenebra immensa” (CdT, p. 249), è chiaro che la “tenebra” non è qualcosa che appartiene solo al passato (“mille e novecento anni fa”), né è qualcosa di “altro”. Invece di affermare l’opposizione di tenebra e luce, civilizzato e selvaggio, la narrazione di Marlow la destabilizza: la tenebra è collocata al cuore della missione “civilizzatrice”.

Eppure, come suggerisce Frances B. Singh, c’è un salto tra l’aspetto politico e quello metafisico della narrazione13. Mentre Cuore di tenebra è chiaramente critico verso il colonialismo e presenta gli africani come le vittime innocenti dell’avidità e della volontà di potenza europee, l’immagine della tenebra, quando è usata per un discorso metafisico, associa il “male” con le categorie usate in descrizioni antropologiche di popoli “primitivi”. La narrazione porta avanti l’implicazione che il “male” di Kurtz è segnalato dalla sua “regressione verso il primitivo”, e che “il male, in breve, è africano”. Mentre la narrazione chiarisce che ciò che induce Kurtz a porsi come dio è la volontà di potenza implicita nella stessa idea di una “missione civilizzatrice”, il fatto che si ponga come un dio tribale reinserisce l’idea di una superiorità razziale a un livello più profondo di quello della critica al colonialismo.

Un mondo tutto per loro

È strano quanto alle donne manchi il contatto con la realtà. Vivono in un mondo tutto loro, e non c’è mai stato nulla che gli somigli, né mai ci potrà essere. (CdT, p. 33)

Peter Hyland ha osservato che la critica di Achebe della rappresentazione degli africani può essere estesa alla rappresentazione delle donne, e infatti Cuore di tenebra è stato criticato sia per la sua rappresentazione svilente e stereotipa delle donne sia perché non prevede un lettore donna. Le critiche di Marlow rivolte a sua zia e la sua idealizzazione della Promessa sposa riflettono gli stereotipi patriarcali vittoriani: in entrambi i casi ciò che Marlow percepisce non è la donna in sé, ma un’immagine basata sui suoi preconcetti sulle donne. Uno stereotipo viene sostenuto per evitare il confronto con l’“alterità” della donna, e il timore sessuale che sta alla base di questa manovra è ancora più evidente nel ritratto che Marlow dà della donna africana alla Stazione Interna: “sembrava che quel corpo colossale dalla vita misteriosa e feconda la guardasse, pensoso, come se stesse osservando l’immagine della propria anima tenebrosa e appassionata” (CdT, p. 195). Johanna M. Smith ha notato come l’immersione nella giungla di Kurtz è immaginata in forma di “cannibalismo sessuale”: “se l’era preso, l’aveva amato, abbracciato, gli era entrata nelle vene, aveva consumato la sua carne” (CdT, p. 153). Attraverso l’assimilazione di donna e giungla attuata da Marlow, a sua volta basata sull’allineamento ideologico di maschio/femmina con cultura/natura, il “cuore di tenebra” può essere letto come la paura della donna di Marlow proiettata sulla giungla. La minaccia rappresentata dalla donna africana è successivamente repressa tramite l’affermazione del mito della donna pura e votata al sacrificio, il mito che Marlow impone alla Promessa sposa, benché tale imposizione sia essa stessa destabilizzata dalla minaccia del ritorno del represso. C’è, come nota Hyland, “una suprema ironia, e un disvelamento della verità, di cui sicuramente Marlow non si accorge, quando a ‘il suo nome’ sostituisce ‘The horror! The horror!’” (Hyland, pp. 9-10) durante la sua conversazione con la Promessa sposa. Allo stesso tempo, come nota Jeremy Hawthorn, la giustapposizione delle due donne ripete “uno schema ben noto”: “la donna devota, casta e spirituale, e la donna sensuale fatta solo di carne sessuale” (Hawthorn, p. 186), un discorso patriarcale che divide e deumanizza le donne.

Benché le donne siano poste ai margini dalla narrazione di Marlow, in realtà sono le donne che lo introducono all’esperienza che sta raccontando. È la zia di Marlow che, grazie alla sua influenza, gli fa avere un lavoro dopo che lui ha fallito nei suoi sforzi. Al principio della narrazione di Marlow sta proprio questa esperienza disorientante, nella quale i suoi preconcetti su “potere” e “sesso” vengono scalzati. Marlow tenta di superare il disagio che ha provato di fronte alla propria impotenza tramite l’uso di ironia alle spese della zia e delle donne in genere. Allo stesso modo sono le donne che fanno la guardia alla “porta delle tenebre” (CdT, p. 27), e il disagio di Marlow (“Sembrava sapere tutto di loro e anche di me”, CdT, p. 27), in riferimento ancora una volta a donne in posizioni di potere e di sapere, è questa volta superato tramite un distanziamento letterario (“Ave! Vecchia sferruzzatrice di lana nera! Morituri te salutant”, CdT, p. 27). Sono forse le donne, inoltre, che costituiscono l’esperienza che Marlow sta raccontando. Come suggerisce Hyland, è l’“apparizione selvaggia e sontuosa” della donna africana, più di Kurtz, che rappresenta per Marlow “l’enigma centrale al cuore della tenebra” (Hyland, p. 8).

Certamente, la donna africana e la Promessa sposa sono i due punti focali della parte finale della narrazione di Marlow. Se Kurtz si erge come un dio da adorare, qui Marlow innalza la Promessa sposa come oggetto della propria ambivalente venerazione: genuflettendosi davanti a ciò che crede essere la fede della Promessa sposa, “la grande illusione” (CdT, p. 243), Marlow contemporaneamente ristabilisce e impone su di lei l’ideologia patriarcale delle due sfere separate, un femminile mondo di illusione (“troppo bello”) e un maschile mondo di verità (“troppo tenebroso”). La bugia che Marlow racconta alla Promessa sposa mostra come ciò che si presenta come un atto di venerazione nei confronti delle donne in realtà rafforza e protegge gli uomini.

Nina Pelikan Straus si è interessata al modo in cui Marlow “presenta un mondo diviso nei due distinti reami degli uomini e delle donne”, e a quale atteggiamento possa avere una lettrice di fronte a un testo che funziona in termini di una segreta compartecipazione dei personaggi maschili alle spese delle donne e di una circolazione del discorso tra uomini, un circolo comunicativo che include il lettore implicito e esclude gli interessi delle donne14. Secondo la Straus, “la custodia della conoscenza segreta” è “il tema segreto di Cuore di tenebra” (Straus, p. 134): la narrazione di Marlow e il testo nel suo complesso implicano che la “verità” su Kurtz può essere rivelata solo a chi è “abbastanza ‘uomo’ da riceverla”, ma, per la Straus, Cuore di tenebra non rivela tanto “la verità dei nostri tempi”, quanto “un certo tipo di mistificazione maschile che ha fatto il suo tempo, se pure non è già morta del tutto”: l’affermazione dell’eroismo e della pienezza maschili in opposizione alla “futilità e la codardia femminili” (Straus, p. 135).

La messa in scena della narrazione di Marlow del suo viaggio verso il “cuore di tenebra” ha fatto dunque una lunga strada dalle note accurate prese dall’inquieto giovane polacco nel suo viaggio da Matadi a Kinshasa. Mentre Korzeniowski era interessato a prender nota del tempo, delle distanze, dei paesaggi, del clima (e del proprio stato di salute), l’oggettivazione della narrazione di Marlow e la rappresentazione distanziata di Marlow fatte da Conrad aprono Cuore di tenebra a una considerazione critica delle sue pratiche di discorso tardo-vittoriane e offrono al lettore la possibilità di superare le limitazioni concettuali e ideologiche del narratore.

Note:

[1] Per ulteriori notizie riguardo all’esplorazione dell’Africa cfr. il resoconto della spedizione di Franklin in questa Introduzione (pp. XI-XII. Questo forse spiega perché Marlow pensa che “l’incanto è svanito”.

[2] Andrea White, Joseph Conrad and the Adventure Tradition: Constructing and Deconstructing the Imperial Subject, Cambridge University Press, Cambridge 1993, p. 2.

[3] Felix Driver, Henry Morton Stanley and His Critics: Geography, Exploration and Empire, in «Past & Present», 133 (November 1991), pp. 134-64, particolarmente p. 136; d’ora in avanti citato come Driver. Devo a questo articolo gran parte delle notizie utilizzate nel mio discorso su Stanley.

[4] Driver osserva che a Stanley “mancavano le credenziali di gentiluomo o di scienziato” (Driver, p. 147); Stanley era guardato con sospetto in quanto americano e in quanto giornalista; inoltre, si scoprì che, sotto la sua condizione sociale americana d’adozione, Stanley nascondeva le sue origini di figlio illegittimo proveniente da un ospizio di mendicità gallese.

[5] «Daily Telegraph», 7 e 10 agosto 1876.

[6] Poco dopo, comunque, venne attaccato dalla Società Antischiavista, quando si scoprì che aveva trasportato manodopera non libera da Zanzibar in Congo. Successivamente, la Società Antischiavista criticò il legame di Stanley con Tippu Tib durante la sezione nel basso Congo della spedizione e una serie di azioni che avevano accompagnato la sua spedizione, quali il far bastonare i “miscredenti”, l’incendio di villaggi e la messa in schiavitù o il massacro dei loro abitanti.

[7] Nel suo Conrad’s Western World, per esempio, Norman Sherry ha avvicinato con ottime ragioni alcuni tratti del carattere e della carriera di Kurtz alla figura di Arthur Eugene Constant Hodister. Hodister aveva una reputazione di uomo carismatico: era un mercante d’avorio di successo, che non prendeva l’avorio agli africani con la forza, ma, sembrerebbe, affascinandoli; era uno della “combriccola della virtù”, e pensava che la sua missione andasse oltre la pura impresa commerciale; era un esploratore, la cui eloquenza si rivelava nella sua assidua stesura di relazioni; i suoi nemici, comunque, insinuarono che avesse preso parte a più cerimonie africane di quanto fosse per lui raccomandabile. Nel suo inestimabile libro su Conrad in the Nineteenth Century (Chatto & Windus, London 1980, d’ora in avanti citato come CNC), Ian Watt propone altri modelli possibili per Kurtz, e poi osserva: “È essenziale per la stessa natura di ciò che Conrad stava facendo in Cuore di tenebra che non ci dovesse essere un solo modello per Kurtz, ma innumerevoli. Alcuni di questi non hanno niente a che fare con l’Africa o con le esperienze africane di Conrad; ma tra i modelli che hanno a che fare con l’Africa Stanley è forse di centrale importanza, benché più per l’atmosfera morale in cui Kurtz fu creato che come base per il personaggio” (CNC, p. 145). Qualcosa di quell’atmosfera morale è stato suggerito, da una parte, dalle esplorazioni scientifiche di Franklin e McClintock, e dall’altra dalla geografia prettamente “militante” di Stanley.

[8] Ibid., p. 8.

[9] Benita Parry, Conrad and Imperialism, Macmillan, London 1983, p. I.

[10] Talal Asad, The Concept of Cultural Translation in British Social Anthropology, in James Clifford e George E. Marcus (a cura di), Writing Culture: The Poetics and Politics of Ethnography, University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1986, p. 159.

[11] Citato in Sherry, p. 121.

[12] Eric Woods, A Darkness Visible: Gissing, Masterman, and the Metaphors of Class, 1880-1914 (tesi di Ph.D. inedita, University of Sussex, 1989).

[13] Frances B. Singh, The Colonialistic Bias of ‘Heart of Darkness’, in «Conradiana», 10, 1, 1978, pp. 41-54.

[14] Nina Pelikan Straus, The Exclusion of the Intended from Secret Sharing in Conrad’s ‘Heart of Darkness’, in «Novel», 20, 2 (Winter 1987), pp. 123-37, in particolare p. 124.

L’Introduzione di Robert Hampson è tratta dall’edizione Penguin di Heart of Darkness (London 1995) – Traduzione di Paolo Zanotti

 

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