MASSIMO TROISI: CONVERSAZIONE SENZA COMPLESSI CON UN COMICO DI SUCCESSO ANCORA «VERACE»
Massimo Troisi, ventotto anni, di San Giorgio a Cremano, raccomandato di ferro presso San Gennaro e tutta una serie di santi minori, è senza dubbio l’attore comico più interessante, più originale, più fresco apparso nel grigiore assoluto del cinema italiano di questi ultimi tempi. Con alle spalle una veloce quanto fortunata carriera (vedi San Gennaro & Co.) che lo ha visto arrivare dal teatrino di San Cariuccio a Napoli alla popolarità televisiva (Non stop – Luna park) conv La Smorfia nel giro di soli due anni, Massimo Troisi si è imposto definitivamente al pubblico italiano con il film Ricomincio da tre, record assoluto di incassi ed ancora, a mesi di distanza, in tutte le classifiche di pubblico e di gradimento. Proprio ora che si è affermato il suo talento, la sua simpatia e la sua profonda quanto commovente umanità, siamo andati a trovarlo per sapere «chi è Massimo Troisi» e soprattutto «cosa c’entra San Gennaro».
TROISI: Sono nato a San Giorgio a Cremano il 19 febbraio del 1953. Sono sempre stato a San Giorgio a Cremano. A San Giorgio a Cremano tenevo un centro teatrale con Lello, poi ad un certo punto mi sono messo a scrivere. Non c’è stata nemmeno la solita gavetta, i cappuccini, me la sono sempre cavata abbastanza bene. L’unica volta che sono uscito da Napoli per uno spettacolo a Roma, ci hanno scelto per fare Non stop (trasmissione televisiva, ndr.).
PLAYMEN: Ma come hai fatto ad arrivare da San Giorgio a Cremano a Non stop?
TROISI: A San Giorgio lavoravamo in un teatrino, il San Cariuccio che sta a Napoli. Questa è stata la prima esperienza di teatro ufficiale, anche se il San Cariuccio non era assolutamente un teatro ufficiale, c’è passato Mastelloni e tanti altri. Da lì siamo venuti a Roma in un posto che si chiama La Chanson. Siamo venuti per sostituire una compagnia per una settimana e siamo rimasti due mesi. A Roma si doveva essere sparsa la voce e sicuramente sarà venuto a vederci qualche funzionario della Rai. A quel tempo cercavano sconosciuti per una trasmissione che si chiamava Non Stop. Ci hanno visto e ci hanno chiamati. Da quel momento in poi è stato facile perché in televisione basta una cazzata per diventare un personaggio conosciuto.
PLAYMEN: Ma prima di questo che facevi?
TROISI: Niente, stronzate! La scuola, ho fatto il geometra, però per diplomarmi, invece di cinque anni, ce ne ho messi dieci, la scuola è stata un parcheggio.
PLAYMEN: E poi la Smorfia.
TROISI: Sì, la Smorfia, è stata un’esperienza importante perché mi ha dato la possibilità di scrivere in modo più preciso, più ampio, di imporre quello che volevo io. All’inizio, per farti accettare, devi sempre strizzare 1 occhio al pubblico, devi accattivartelo magari sbragando un po’ Quando invece incominci ad imporre le tue cose allora puoi prendere i tuoi tempi, la gente aspetta. Con l’ultimo spettacolo della Smorfia abbiamo girato tutta l’Italia, le discoteche ed i teatri.
PLAYMEN: Come è nata l’idea di Ricomincio da tre?
TROISI: Sai com’è. con il successo incominciano tutti a farti delle proposte. A me l’idea del film non è che mi entusiasmasse molto, il cinema mi piace poco, non ci vado nemmeno spesso, non sono un fissato dei film. Ho rifiutato un casino di proposte, perché oltretutto avevo il teatro che andava bene e mi dava soddisfazione. Poi c’è stato l’incontro con Mauro (Mauro Berardi, produttore, ndr.) che era al di fuori dei canoni tradizionali, non era il produttore che voleva il cast di nomi importanti o che ti arriva con l’assegno. Abbiamo parlato di fare una cosa insieme. Man mano poi che si discuteva, visto tra l’altro che non c’era fretta, che non c’era tutta questa corsa e visto che scrivevo per il teatro, insomma, non so nemmeno io come sia venuto fuori questo film, so solo che alla fine mi sono trovato a farlo, però in modo tranquillo, senza affanno. Non c’è stato nemmeno il dramma dell’impatto con la regia, e chi l’aveva mai vista una macchina da presa!
PLAYMEN: Hai fatto tutto da solo? La sceneggiatura?
TROISI: No, la sceneggiatura l’ho scritta insieme ad Anna Parignano, la ragazza che sta con me. Lei mi ha aiutato a scrivere la parte della guagliona nel film. Poi c’è stato l’aiuto della troupe, tutte persone giuste che mi sono affezionate. poi c’è stato l’aiuto del direttore della fotografia Di Angelucci, l’aiuto regista.
PLAYMEN: Insomma ti sei trovato intorno gente giusta.
TROISI: Certo. Oltretutto il film è stato girato tutto in presa diretta, nel silenzio più assoluto. Quando si girava arrivavano tutti in studio, le sarte, i parrucchieri. tutti in silenzio a guardare. A me questo faceva molto piacere. Alcune volte abbiamo dovuto ripetere la scena perché qualcuno scoppiava a ridere. Allora vedevi la gente con le mani davanti alla bocca per non ridere. Queste cose mi hanno fatto davvero piacere, perchè riuscivo a verificare immediatamente se la cosa andava bene o meno.
PLAYMEN: Questo film ha un sapore autobiografico eppure non lo è. Il protagonista sei tu, ma la storia è inventata.
TROISI: Sì, potrei dire che è autobiografico come pure posso affermare che non lo è affatto.
PLAYMEN: Noi ci siamo conosciuti a Sanremo, ricordi? Quando ho visto il film mi sono detto «Ma questo è Massimo». Il protagonista è uguale a te nella vita privata. Vive, agisce, parla come faresti tu con me o con chiunque altro.
TROISI: Sì, questo sì. infatti, molto probabilmente il gioco cinema inizierà solamente quando farò una storia che non mi appartiene. Questo film invece è venuto naturalmente, come per il teatro. Io racconto le cose sempre come le racconterei agli amici, a chi mi sta intorno. È chiaro che devi poi spettacolarizzare il tutto, è anche chiaro che quello che voglio dire lo devo dire a livello di comicità. È inutile che io voglia far credere alla gente che sono intelligente. C’è una tendenza tra i comici a fare gli intelligenti, sembra quasi che vogliano perdere la matrice comica. Vogliono che si dica che sono intelligenti e basta. Secondo me non esiste essere intelligente in senso scolastico… cosa significa? lo non sono l’intelligenza in assoluto. Non ho risolto la crisi del cinema, né sono l’unico intelligente. lo penso solo a fare il comico, se poi quello che dico ti stimola, tanto meglio. Io devo far ridere, la gente mi ha accettato per questo. Non è che mi dico «io sono intelligente. Adesso ti faccio piangere».
PLAYMEN: Ora che hai fatto questo film imperniato su di te, hai forse intenzione di fare qualcos’altro? 11 successo è un momento curioso della vita.
TROISI: Per me oltretutto non è nemmeno curioso. Ho semplicemente fatto una cosa che mi ha fatto piacere, usando il mio personaggio. Non c’è fretta per fare un altro film.
PLAYMEN: Non hai quindi intenzione come molti altri di farne 135
TROISI: Ma no, figurati! Può essere che fra tre anni mi renda conto di non avere più un cazzo di idea. A questo punto sono aperto a tutto, non mi interessa fare per forza la regia, fare per forza un film, sto solo raccogliendo idee, se nel frattempo arriva qualcun altro con una cosa interessante, ben venga! Dicono che dopo il successo sia un periodo difficile, di paura, io non sono mai stato bene come adesso Michael. Oltretutto ho la possibilità di poter montare qualsiasi cosa senza stare a chiedere, senza dover bussare a troppe porte, tengo una certa indipendenza economica che non è cosa da buttar via. Non è che io abbia fatto tutti i soldi di Ricomincio da tre, magari, la gente pensa così, certo che se avessi fatto la produzione. No, quello che voglio dire è che non avendo assilli immediati posso tranquillamente aspettare sei sette mesi senza la paura che la gente si scordi di me. magari! A me piace sempre incominciare. Ora ho qualcosa da perdere, prima non avevo niente.
PLAYMEN: Il film ti ha dato il massimo livello di popolarità. Sul piano personale cosa è cambiato in te? Il rapporto con le donne? Gli amici? La famiglia?
TROISI: Le cose sono cambiate. È inutile dire che sono rimasto il ragazzo che ero prima e basta. È chiaro che i soldi prima erano di meno ed ora sono di più. Avere tanti soldi in un colpo solo mi metterebbe in imbarazzo: non saprei assolutamente come gestirli, mi fa paura. Sono contento quindi di aver firmato un contratto di «prima firma» e tu sai cosa voglia dire. Ora tengo una casa. non mi lamento, certo è diverso da prima. Con gli amici, invece, non è cambiato nulla, perché Gaetano, Lello, sono tutti guaglioni che vengono da San Giorgio a Cremano come me. Qualche amico lavora in Comune, qualche altro ha aperto un negozio, io li vedo continuamente perché o scendo io a Napoli o salgono loro a Roma e stanno a casa mia. Per loro io non sono il personaggio, con loro parlo come parlavo prima, ho gli stessi problemi di prima. loro anzi mi tengono sempre un poco per terra, mi prendono in giro, mi sfottono, per me è importante.
PLAYMEN: Perché ti ridimensionano. e con le donne?
TROISI: Con le donne è cambiato, perché mentre prima potevo acchiappare in un certo modo, oggi è più facile.
PLAYMEN: Ma cosa «acchiappi» adesso?
TROISI: Acchiappo di tutto perchè è un fatto di immagine. La gente trova sempre più interessante quello che appare in televisione, quello che fa cinema o teatro.. Puoi acchiappare una, per esempio, che apprezza la tua immagine.. anche quella che scava più a fondo.. poi puoi acchiappare quella che piace a te. È più facile, questo è un vantaggio, tieni una specie di potere.
In realtà poi io sono sempre stato un tipo introverso, chiuso, io ho sempre amato il clan, stare bene con la mia gente, per cui. anche oggi faccio lo stesso, non esco molto, mi piace stare a casa con gli amici.. Se poi vado al cinema la cosa cambia, mi scontro con la gente.
PLAYMEN: Ed a questo punto che succede?
TROISI: Per ora solo cose simpatiche. io ci ero già un po’ abituato dopo aver fatto teatro, oggi è solo tutto molto amplificato. È sempre un fatto di simpatia. Io poi sono uno che non sa dire assolutamente di no. Sono capace di fermarmi a parlare con uno e questo, se non mi salvassero, potrebbe pure portarmi a casa sua. Io non sono capace di dire «guardi me ne devo andare, ho da fare…», mi sembra sempre uno sgarbo, magari gli racconto tutta la mia vita. Uno ci si deve abituare a questo: all’inizio ti fanno arrossire, ti mettono in imbarazzo. Per esempio quest’estate sono stato a Ventotene. Ad un certo punto un ragazzo mi ha riconosciuto, e poi un altro, e poi un altro ancora, dopo cinque minuti mi sono trovato circondato da 200 persone, allora mi sono mosso e per andare a casa c’era da fare questo chilometro, mi sono portato dietro 200 persone e tutti quelli che si affacciavano alla porta, alle finestre a dire «e chi è?» «chi è questo?». Se sei in teatro, con il microfono davanti 200 persone le reggi facilmente, puoi parlare… ma in mezzo alla strada tra 200 persone non puoi parlare… ci vuole solo la Madonna di Lourdes o Gesù che ti faccia il miracolo, allora sì, allora dici allo zoppo «cammina» e lui cammina. Io ancora non sono arrivato a fare miracoli, devo ancora imparare come si fa.
PLAYMEN: Parliamo un po’ di Napoli che poi non è Napoli ma San Giorgio a Cremano…
TROISI: Io sono di San Giorgio a Cremano che è un paese a sei chilometri da Napoli. È la provincia. Vivi più angosce, più imbarazzi, più timidezze, vivi un rapporto molto difficile con l’altro sesso. Sei anche, sottomesso alla città, al paese. Uno che è di Napoli è di Napoli. tu invece sei di San Giorgio a Cremano. Forse, alla fine, diventa una forza.
PLAYMEN: Cos’è stato per te San Giorgio a Cremano?
TROISI: San Giorgio a Cremano è il massimo della provincia, è la provincia della provincia. Il bar lo stadio, gli amici, tutto ad un livello minimo. Io sono la provincia ovvero come persona io mi vedo proiettato nel mondo dello spettacolo, degli attori, della televisione. come fossi San Giorgio a Cremano. Io vivo il «massimo» della popolarità come fossi San Giorgio a Cremano. Sono contento di questo, voglio mantenere una certa lucidità, e dire fino all’ultimo che ha sempre ragione chi arriva ultimo.
PLAYMEN: Sesso, religione, pazzia, arte di arrangiarsi sono gli elementi sui quali si scatena la tua comicità. Spiegami il tuo rapporto con questi elementi. La religione per esempio.
TROISI: La religione è stato, forse, il primo problema, il primo potere con il quale mi sono scontrato. Vengo da una famiglia religiosa, mia madre ci teneva molto ed educava i suoi sei figli in modo religioso. La domenica era una tragedia a tavola quando mia madre chiedeva se eravamo andati a messa. Io mi inventavo sempre di essere andato ad una chiesa molto lontana cosi nessuno mi aveva potuto vedere, perché se dicevo una chiesa vicina c’era sempre qualcuno che mi sputtanava affermando che non c’ero stato. È chiaro che in un ambiente di questo tipo mi è nata una specie di ribellione. Mia madre parlava con i santi, chiedeva cose terrene, faceva richieste precise ed io ho avuto il tempo di vedere che queste richieste non venivano mai esaudite: mio fratello il posto non lo trovava, i soldi non arrivavano. Io da piccolo mi chiedevo perché mia madre non venisse mai esaudita. Le mie richieste passi, avevo i miei peccatelli, ma mia madre? Una santa, una donna buonissima. Perché non le danno retta? I Santi ce l’hanno con noi. Magari non ci stanno, sono fuori. Tutte cose che per me erano una realtà precisa. Quando più tardi ho capito che la religione era un potere modificante sulle persone, che la religione era una cosa grossa, allora in me c’è stata una ribellione. Non me la sono presa con i miei genitori, a mio avviso strumentalizzati anche loro, me la sono presa con la società. Ho capito che mia madre era spinta a fare certe cose da un senso di fiducia nei confronti della società. Mia madre si rivolgeva sempre a San Gennaro per il posto, per i soldi, per queste cose terrene. Il napoletano è religioso in questi termini, chiede grazie reali, probabilmente perché non ha mai avuto le istituzioni come interlocutore. A San Giorgio a Cremano parlano con San Giuseppe, ne ricavano più soddisfazione. Se non hanno risposta dicono «vabbè, quelli so’ santi, so’ occupati…». È più probabile che sia occupato un santo che un assessore. «L’Annunciazione» in fondo era proprio questo. C’era la madonna che non era madonna e che fa da intermediario con Dio. Lei ha la possibilità di chiamarlo al telefono e di chiedere. Dio se ne fotte.
PLAYMEN: Nel film c’è anche questo fatto del miracolo.
TROISI: Si, però io non tratto male mio padre e mia madre, io li vedo come vittime. Noi abbiamo capito dove stanno gli sbagli, però non li abbiamo ancora risolti. lo so che mio padre e mia madre sbagliano a parlare coi santi che non li stanno a sentire però quando nel film mi trovo proprio nei guai cerco di spostare gli oggetti. Voglio dire che anch’io vivo questa confusione, che anch’io cerco ancora una soluzione nel paranormale. La religione è un fatto che io sento molto, anche quando faccio cose che apparentemente non hanno nesso.
PLAYMEN: L’altro grosso elemento presente nel film è il sesso…
TROISI: Il sesso è un altro fattore onnipresente. Ho raccontato cose che abbiamo vissuto tutti quanti. Ognuno di noi pensa che siano cose private, cose che capitano solo a te, la tua timidezza, la provincia. Poi fai un film e ti rendi conto che tutti quanti ti vengono a dire «cazzo, ma lo sai che…». Il ragazzo nel film ha la mia età, ha vissuto le mie esperienze. Ad un certo punto si trova a dover affrontare un rapporto di coppia. Lo fa come gli capita, in modo quasi anacronistico, lui non ha formule, modelli di comportamento.
PLAYMEN: Ma il tuo rapporto di coppia come te lo vivi?
TROISI: Per me è stato molto importante aver incontrato Anna con la quale sto da quattro, cinque anni. Anna è impegnata politicamente come femminista e mi sono scontrato con lei su tantissime cose.. Io pensavo di averne risolte parecchie mentre invece la mia ottica era solamente maschile. Tutti quanti siamo stati convinti che essere compagni significasse anche aver risolto il problema della coppia, con la donna..
PLAYMEN: Mi interessa questa tua storia della tua ragazza femminista.
TROISI: In un primo momento ho vissuto questa storia piuttosto male. Ho fatto una sacco di figure di merda sia su un piano pratico sia su un piano teorico sia con me stesso, soprattutto con me stesso. Uno pensa sempre che ci sia un modello, un atteggiamento prestabilito con il quale risolvere le cose. Questo è sbagliato e mi sono trovato a fare il classico maschio che pensa di essere femminista. Penso che questo genere di errore lo abbiamo fatto tutti. Alla fine però mi sono serviti per essere almeno me stesso. Può esserci dialogo anche con una femminista, però io sono io e basta. Non voglio «aggraziarmi» più nessuno.
PLAYMEN: Mi sembra che questa sia stata una specie di paranoia generazionale, da maschio evoluto.
TROISI: Sì, infatti. Nel film non ci sono femministe, le ragazze con le gonne a fiori ed i riccioli, anche se non è che non ci siano più nella vita reale. Io però me ne sono fottuto, non volevo fare un film con un personaggio femminista. I dialoghi della ragazza non per niente li ha scritti Anna ma non da una angolazione femminista, piuttosto come li scriverebbe una ragazza giovane di oggi. Ho voluto far parlare una donna attraverso un’altra donna, mi è parsa la cosa più giusta da fare. I film sui giovani li scrivono i vecchi, le parti delle femmine le inventano i maschi, nessuno racconta in prima persona. Nel film si vede anche che il mio rapporto con l’amico è più «verace» di quello con la ragazza. l’importante è passarci attraverso non in un modo banale, prestabilito. e nemmeno con l’assillo di voler risolvere il problema a tutti i costi.
PLAYMEN: L’altro elemento, tra l’altro molto accattivante, è quel senso di simpatica follia che pervade tutto il film. A parte alcune scene specifiche come quella del tuo viaggio in automobile verso il nord, sono tutti un po’ matti.
TROISI: Quel personaggio ed anche quello che mi parla in ospedale sono intesi come pazzi. Per me però non sono pazzi affatto. Per me è gente che attraverso la liberazione, attraverso l’eliminazione di tutti i freni culturali, sociali, può dire e fare quello che vuole. Certe volte vorrei essere io cosi. Invece mi ritrovo bloccato, so che certe cose non le posso dire, che non posso agire in una certa maniera, mi piacerebbe ma tutta una serie di fattori inibenti me lo impediscono. Io i pazzi li amo, nutro verso di loro un grande rispetto. Poi siamo tutti matti.
PLAYMEN: Come quelli che chiedono i miracoli, che vogliono spostare gli oggetti col pensiero. Ricomincio da tre per me è stato anche un film d’amore: non solo nel rapporto di coppia tra i due protagonisti, ma anche e forse soprattutto con la realtà esterna, con la gente, con le cose.
TROISI: Come ti dicevo prima, infatti, io i pazzi li amo profondamente, io li amo, io amo i miei genitori, non sono uno di quelli che li mandano affanculo solo perché la pensano diversamente, io li amo. Amo la famiglia. Anche se molte volte mi ritrovo a criticare tengo stò sentimento, non voglio distruggere, sono una persona molto disponibile. Cioè, non è che sia una Bambino di Dio per carità, però sono disponibile, disposto a credere alla gente, a voler bene.
PLAYMEN: II rapporto fra le varie parti del film era legato da questo «sentimento»: c’era felicità, gioia di stare insieme e di scoprire le cose.
TROISI: Forse il film rispecchia proprio il mio carattere. Io non voglio mai giudicare gli altri. È chiaro che voglio dire la mia, ma mai affermare che una cosa sia giusta e quell’altra no. Sul modo di vita non mi sento assolutamente in grado di giudicare, che ne so, magari sull’omosessualità, sulla professione, rispetto alla razza. Per me una puttana è una persona prima di essere puttana, questo vale anche per gli omosessuali. Come vedi non c’è acredine verso nessuno.
PLAYMEN: Ma tu come ti consideri? Un buono?
TROISI: Ma no. Io non ci credo molto ai buoni. Sono uno che lascia vivere. Non sono però buono abbastanza da lasciar correre le cose che per esempio non mi stanno bene. Non è che dico «non fa niente, lasciate sta’» oppure «va bene lo faccio…» nemmeno per idea.
PLAYMEN: Allora anche tu non sei un angelo, sembrava quasi.
TROISI: lo difendo le mie cose, le cose in cui credo, cose che però sono raramente di ordine materiale, borghese. La gente va conosciuta, va vista, va capita: in un secondo tempo ti può anche non star bene. A me non mi sono mica stati tutti bene però pochissimi non mi sono stati bene.
PLAYMEN: Quali sono le caratteristiche che un comico dovrebbe avere per arrivare alla gente che gli sta davanti?
TROISI: Ma non lo so Michael! Cioè non lo so perché, come dicevo prima, non vengo da una scuola o da una preparazione tecnica. Per quanto mi riguarda quasi quasi mi chiedo il perché faccio ridere, io, in fondo, mi sento estrema- mente normale. Gli altri comici! Figurati! Mi fanno ridere o non mi fanno ridere per una faccenda di impatto. Non vado mai a scavare sui perché ed i come. Molto spesso mi capita di ridere per una cazzata, oppure di non ridere per una cosa che dovrebbe far ridere. Non sono di bocca buona, rido poco, però quando rido, rido di gusto, di solito è una cosa improvvisa. Alle domande di questo tipo non rispondo mai perché a me può piacere una cosa, ad un altro una cosa completamente diversa.
PLAYMEN: Io, Massimo, non volevo dire questo. Non parlavo di tecnica o di gusti personali rispetto ad un modo o ad un altro di far ridere. A me interessavano certe qualità umane, la sincerità con la quale uno si propone al pubblico e anche una certa umiltà.
TROISI: Certo, penso che queste doti siano importanti, sono cose vere. Per esempio Roberto Benigni mi ha detto, dopo aver visto il film, che gli sembrava come se fosse stato realizzato in «candid camera», con la cinepresa nascosta. Ad un certo punto gli è parso come se non ci fosse più stata la macchina da presa, come se le cose stessero avvenendo in quel momento e lì davanti a lui, come se il fatto raccontato potesse accadere veramente ed in quel momento, penso che in un certo senso sia cosi. Cioè, io ho scritto la sceneggiatura, ho fatto tutto quello che dovevo fare, ho assimilato il personaggio, ma non ho mai imparato la parte a memoria. Andavo sul set ed ero in ogni caso pronto, sapevo quello che volevo, poi lo dicevo sempre a modo mio come mi veniva sul momento. Non ho mai fatto una prova allo specchio, ma proprio mai. figurati! Secondo me è sempre il primo impatto quello che conta. Se per esempio non andava bene al primo ciak, già mi dispiaceva. perché ripeterla significava che tutti già sapevano tutto, mi pareva di offrire lo stesso spettacolo due volte.
PLAYMEN: Un’ultima domanda. Hai paura di fallire ora che sei sulla cresta dell’onda?
TROISI: No, perché fallire significa fallire nei confronti di qualcuno, verso me stesso ho una tale serenità, una serenità di vita che potrei benissimo fare un’altra cosa, dedicarmi ad una attività che non sia questa. Se c’è una cosa di cui non mi preoccupo affatto è proprio fallire in questo senso. Fallire rispetto ad uno che fino ad oggi ha scritto bene di te, oppure fallire nei confronti di un altro che fino a ieri rideva delle tue cose ed ora non lo fa più. non so, mi sembra un fatto che sia in preventivo, fare il comico, come esporsi in qualsiasi maniera al giudizio della gente comporta questo rischio. In ogni caso non ho paura. Molto probabilmente questo avverrà, avverrà per esempio quando un giorno nasceranno i futuri «nuovi comici». Sto fatto dei «nuovi» ci ha rotto il cazzo, questo fra parentesi. Dicevo, certo un giorno capiterà che usciranno questi nuovi comici e magari ci sarà uno che se ne uscirà con «ma come, Troisi sta ancora là a raccontare cazzate? Meno male che è uscito Cazzolino!». Bene venga allora Cazzolino e tutti i Cazzolini.
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San Gennaro guarda e sorride. A quando il prossimo miracolo?
Intervista raccolta a Roma per Playmen da MICHAEL PERGOLANI
Playmen, 1982 ANNO 16 – n° 1