“Maestro,” Bradley Cooper as Bernstein: Between Music, Infidelity, and Bisexuality
The film lands on Netflix following its Venice Film Festival premiere, telling the tale of a musical genius with a stellar cast
by Maurizio Porro
Five years after “A Star is Born,” Bradley Cooper returns, without the media buzz of a discovery like Lady Gaga, to the director’s chair with a film that’s long simmered in his sensitivity. For America, it’s a slice of history, focusing on Leonard Bernstein, born to a family of Polish Jews (August 25, 1918, Massachusetts – October 14, 1990, N.Y.), a famed conductor and composer known for the resounding score of the musical “West Side Story” (who hasn’t hummed ‘Tonight’ or ‘Maria’?), one of the few musicals to successfully cross the threshold of Italian opera houses.
Bernstein also penned operas (recently, La Scala staged “Candide,” 1956) and symphonies, composed for films (like “On the Town” by Kelly and Donen, “On the Waterfront” for which he was Oscar-nominated), and conducted Callas in a foggy Milan evening in 1953 with a “Medea” that Maria’s “widowers” claim received the longest applause of her career. Cooper’s film is an honest exploration of an extra-gender marriage due to the husband’s bisexuality, which continues to betray his ex-actress wife until their daughter demands an answer, initially evasive and then sincere.
Amidst this, there’s the sad tale of his wife’s premature demise at 56 and the joyous story of Leonard’s brilliant career, a distinguished guest in the early years of the Spoleto Festival. The film doesn’t quite emphasize (just a poster) Bernstein’s significant role at La Scala. “A work of art does not answer questions, it provokes them; and its essential meaning is in the tension between the contradictory answers,” a quote by Bernstein that opens the film, coming to Netflix after its Venice premiere and a brief, unpublicized theatrical run.
In 129 minutes, Cooper delves into the emotional score of this once unusual couple, and the significant sentimental weight of the neo-romantic composer Bernstein, rather enslaved by his instincts: if there was betraying to do, he did it, the scandal isn’t hidden and gossip abounds so much so that in ’76, the Maestro decided to freely live his loves, despite three beloved children and a tolerant wife. “West Side Story’s” librettist Arthur Laurents defined him as a gay man who married.
The film thus recounts the dual account of a musical genius with circumspection, education, and measure, achieving a fine dramatic result, teetering on the edge of melodrama and a touch of nostalgia, especially for the musical choreographed by Jerome Robbins which had two cinematic versions, the historic ’60 one by Wise and Robbins, laden with earnings and Oscars, and Spielberg’s from two years ago which didn’t achieve hoped-for success. Written and scripted by Cooper, a sensitive and resembling interpreter, alongside Josh Singer, the film boasts a top-tier cast: beyond Bradley, there’s the splendidly unhappy wife Felicia Montealegre, played by the English actress Carey Mulligan, seen in “Pride and Prejudice,” close to an Oscar for “An Education” and acclaimed for her Chekhovian roles back home.
Starting from the day in 1943 when Bernstein was suddenly called to replace Bruno Walter as conductor of the New York Philharmonic Orchestra, leaving a lover’s bed, the story follows the chronology of his career and affections, soon reaching Broadway fame and the acclaimed Mass composed in ’71, up to the great private sorrows partly drowned in alcohol. Fame, celebrity, sex, pain – this special music genius’s biography has it all, and the film doesn’t miss a chance to tell it, but with a complicit elegance. It doesn’t take up the challenge of confirming or denying the term “radical-chic” which many believe was coined by Tom Wolfe precisely on the measures of Bernstein, a great conductor and supporter of left-wing causes.
Corriere della Sera, December 20, 2023
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«Maestro», Bradley Cooper è Bernstein, fra musica, tradimenti e bisessualità
Il film arriva su Netflix dopo l’anteprima alla Mostra del cinema di Venezia: storia di un genio con un cast di primo piano
di Maurizio Porro
Cinque anni dopo “A star is born” Bradley Cooper torna, senza la spinta mediatica di una scoperta come Lady Gaga, alla regìa con un film a lungo covato nella sua sensibilità, che gli sta a cuore e che per l’America rappresenta un pezzo di storia se pensiamo che al centro della vita coniugal-musicale di “Maestro”, seduto su quel titolo onorifico teatrale, sta Leonard Bernstein, nato in una famiglia di ebrei polacchi (25 agosto 1918, Massachussetts-14 ottobre 90, N.Y.) famoso direttore d’orchestra e compositore (con Stephen Sondheim) a tutti noto per la partitura magnifica del musical “West side story” (Tonight o Maria li abbiamo canticchiati tutti), uno dei pochi titoli del genere che, in Italia, riesce a varcare i portoni restii dei teatri d’opera.
Ma Bernstein ha scritto anche opere (di recente la Scala ha rappresentato “Candide”, del 1956) e sinfonie, composto per il cinema (“Un giorno a New York” di Kelly e Donen, “Fronte del porto” per cui fu nominato agli Oscar), ha diretto la Callas in una serata milanese del nebbioso 1953 in una “Medea” che i “vedovi” di Maria dicono abbia avuto l’applauso più lungo della sua carriera. Il film di Cooper è un’onesta ricognizione di un matrimonio extra gender per via del marito bisessuale, che continua a tradire la moglie, ex attrice, finchè una figlia mette la questione sul tavolo esigendo una risposta che sarà prima evasiva e poi sincera.
Ma in mezzo c’è la triste storia della prematura scomparsa a 56 anni della moglie e invece la storia lieta della brillantissima carriera del maestro Leonard, uno degli ospiti prestigiosi dei primi anni del Festival di Spoleto, dove arrivò anche Thomas Schippers, l’amico e collega famoso di cui il film non si occupa, così come non dà il giusto risalto (solo una locandina) al grande ruolo della Scala nella sua carriera. “Un’opera d’arte non dà risposte alle domande, le suscita. Il valore sta nella tensione delle risposte contraddittorie”, questa è la citazione a firma di Bernstein che apre il film dal 20 dicembre su Netflix dopo l’anteprima alla Mostra di Venezia e qualche velocissimo passaggio in sala non pubblicizzato.
In 129 minuti Cooper studia sia la partitura affettiva di questa coppia allora certamente inusuale, certo più di oggi, ed anche il peso che ebbe il lato sentimentale dal peso specifico notevole del compositore neo romantico Bernstein, abbastanza schiavo dei suoi istinti: se c’era da tradire, tradiva, lo scandalo non è nascosto e il pettegolezzo dilaga, tanto che nel 76 il Maestro decide di vivere liberamente i suoi amori, nonostante i tre amati figli e la moglie tollerante. Il librettista di “West side story” Arthur Laurents di definì come un uomo gay che si è sposato.
Il film racconta quindi il doppio bilancio di un genio della musica e lo fa con circospezione, educazione e misura, ottenendo un bel risultato drammatico, certo al confine con il melò e qualche peso nostalgico, appunto per il musical che fu coreografato da Jerome Robbins e che ebbe due versioni cinematografiche, di cui quella storica nel 60 di Wise e Robbins, onusta di incassi e di Oscar, e quella di Spielberg di due anni fa che non ebbe il successo sperato. Scritto e sceneggiato da Cooper, che è un interprete sensibilissimo e somigliante all’originale, insieme con Josh Singer, il film punta su un cast di primo piano: oltre a Bradley è bravissima l’infelice moglie Felicia Montealegre, l’attrice l’inglese Carey Mulligan, vista in “Orgoglio e pregiudizio”, vicina all’Oscar per “An education” e acclamata interprete cecoviana in patria.
Partendo dal giorno del 1943 in cui Bernstein fu chiamato all’improvviso a sostituire Bruno Walter alla direzione della New York Philarmonic Orchestra, lasciando un letto amoroso, la storia segue la cronologia della carriera e degli affetti, arrivando presto alla fama di Broadway e all’acclamata Messa composta nel ’71, fino ai grandi dolori privati in parte annegati nell’alcol. Fama, celebrità, sesso, dolore, c’è di tutto e di più nella biografia questo speciale genio della musica e il film non perde occasione di raccontarlo, ma con un complice garbo. E non raccoglie la sfida di ratificare o meno il termine “radical-chic” che secondo molti fu coniato da Tom Wolfe proprio sulle misure di Bernstein, grande direttore e schierato per cause di sinistra.
Corriere della Sera, 20 dicembre 2023
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by Fiaba di Martino
The life of composer and conductor Leonard Bernstein unfurls like a tantalizing cinematic score in Bradley Cooper’s second directorial and starring venture. From the outset, as a 25-year-old Bernstein is thrust into the limelight – replacing Bruno Walter at the New York Philharmonic – Cooper captures his ravenous ambition, making him dance between dynamic sets, with a nod to Joe Wright and a wink to Lin-Manuel Miranda’s tick, tick… BOOM! Bernstein’s lifelong partnership with Felicia Montealegre originates from a quintessential Hollywood meet-cute at a 1946 Big Apple party: a romance carved at first sight into the classical mannerisms of love sparring, consummated, of course, on a theatrical stage. Both Bernstein and Cooper, who also co-writes the script with Josh Singer (of more solemn biopics like Spotlight, The Post), embody dueling primadonnas of their personal Hollywood spectacle. Bernstein remains flamboyantly histrionic, his homosexual affairs barely concealed behind the curtains, with Felicia ever-aware (eventually admitting, “I wanted to prove I could endure it, to be that strong”), while Cooper, candidly Oscar-hunting (nine nominations and counting), studies under renowned conductors Gustavo Dudamel and Yannick Nézet-Séguin. He smartly shifts the spotlight towards his leading ladies (Lady Gaga in his directorial debut A Star Is Born, 2018, and here, an impeccable Carey Mulligan), while he chases, seduces, devours it in a narrative about a giant in art yet fragile in intimate relationships, almost indicting his own frenetic efforts to sublimate into masculine bravado his love for the theatrical (exemplified in a six-minute oner conducting Mahler’s Symphony No. 2). The color-filled, narcissistic reality humiliates the aged make-up of Bernstein/Cooper, highlighting Felicia’s virtue and dignity, especially as she battles breast cancer, anchoring his frivolous extroversion and sexual vivacity to the little things that matter. Maestro is an auteur’s film about its subject, a meticulously crafted biopic demanding all pieces, including Method acting, to fall into place. Yet, it also seeks an undercurrent of emotion, restrained by conventional narrative frameworks – much like the conflicting pulsations of Bernstein, conductor of a multitude of instrumental voices and a restless soul, calmed only in the lost gaze of his dearest friend.
FilmTV, No. 51, December 19, 2023
ORIGINAL ITALIAN ARTICLE
di Fiaba di Martino
La vita del compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein è una partitura cinematografica appetitosa, che nel secondo film da regista (e protagonista) di Bradley Cooper si srotola come la pergamena d’oro di una profezia subito avveratasi. Fin dai primi minuti, quando un Bernstein venticinquenne è chiamato alla grande occasione – sostituire Bruno Walter alla New York Philharmonic –, Cooper ne racconta l’anelito famelico facendolo danzare fra scenografie semoventi, un occhio a Joe Wright l’altro al Lin-Manuel Miranda di tick, tick… BOOM! Anche l’unione con la compagna di una vita Felicia Montealegre si origina da un incontro perfetto, nel 1946 a un party della Grande mela: il loro è un meet cute da manuale di sceneggiatura romantica, un idillio intagliato a prima vista nelle maniere classiche delle schermaglie amorose, che il genio musicale (suoi i brani di West Side Story, 1957) e l’attrice di origini costaricane consumano ovviamente su proscenio teatrale. È una doppia guaina quella che avvolge il personaggio-Bernstein e il suo regista e interprete, entrambi primedonne e mattatori di uno spettacolo hollywoodiano personale. Bernstein è, fino all’ultimo, istrionico su e giù dal palco, tra gli svolazzi delle tende dove non si cura di nascondere gli affair extraconiugali omosessuali di cui Felicia è sempre consapevole (ammetterà infine: «Volevo dimostrare di poterlo sostenere, di essere forte così»), Cooper, candidamente a caccia d’Oscar (nove candidature all’attivo, presto cifra tonda…), co-sceneggia con Josh Singer (penna di biopic più solenni: Il caso Spotlight, The Post), studia con due direttori d’orchestra (Gustavo Dudamel della Los Angeles Philharmonic e Yannick Nézet-Séguin del Metropolitan Opera) ed è intelligente quanto basta nel dirottare verso le partner di scena (Lady Gaga nel di lui esordio alla regia A Star Is Born, 2018, qui un’irreprensibile Carey Mulligan) la luce corretta dei riflettori, mentre a lui sta rincorrerla, sedurla, divorarla, in un secondo discorso su un uomo gigantesco nell’arte e fragile nelle relazioni intime, che quasi processa il proprio affannarsi contraddittorio a sublimare in mascolinità vili il piacere istrionico (sfogato nel pianosequenza di sei minuti sulla conduzione della Sinfonia n. 2 di Mahler). Il quotidiano che lo smaschera narcisisticamente è a colori, e umilia i connotati sfatti dal trucco senescente di Bernstein/Cooper mentre esalta la virtù e la dignità di Felicia che, ammalatasi di tumore al seno, riporta alle piccole cose che contano le estroversioni vanesie e la vivacità sessuale del consorte. Maestro è un’opera d’autore e sul suo autore, biopic studiato a tavolino che esige d’avere tutti i pezzi al proprio posto – performance votata al Metodo compresa – ma cerca, anche, una vibrazione sottocutanea, frenata dagli schemi di racconto convenzionali. Un po’ la sintesi dei palpiti contrastanti di Bernstein, direttore di una pluralità di voci strumentali e anima irrequieta che si lascia condurre e si placa solo nello sguardo perduto della sua migliore amica.
FilmTV, n. 51, 19 dicembre 2023