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SARDEGNA 1943: TERRORE DAL CIELO

Tra febbraio e settembre del 1943, molti piccoli centri sardi furono attaccati dall’aviazione alleata

Tra febbraio e settembre del 1943, molti piccoli centri sardi furono attaccati dall’aviazione alleata

di Paolo Ottonello

Ore 14 circa del 20 maggio 1943. Una formazione di P38 “Lightning” si avventa su Macomer e lascia cadere quattro bombe da 1000 libbre. L’attacco dura pochi minuti, ma tanto basta a trasformare il capoluogo del Marghine in un girone infernale. Gli ordigni dei caccia bombardieri americani uccidono militari e civili. Tra questi ultimi, la signora Salvatorica Pala che fa scudo col proprio corpo alla nipotina. Un gesto eroico grazie al quale la bimba si salva.
Quello appena accennato è soltanto uno tra i drammatici episodi che, nella primavera di 56 anni or sono, accompagnano i bombardamenti cosiddetti minori effettuati dagli Alleati in Sardegna durante la seconda guerra mondiale.
Definire minore un’incursione aerea è sicuramente una forzatura in quanto ogni pioggia di bombe o spezzoni comporta distruzioni e, nei casi peggiori, lascia sul terreno morti e feriti. Tuttavia, se è lecito stilare una graduatoria, i bombardamenti subiti da Cagliari, Gonnosfanadiga e Monserrato sono senz’altro i maggiori per numero di vittime e danni alle cose. Di essi abbiamo già parlato in altri numeri dell’Almanacco.
In questa categoria rientra il raid su Alghero, compiuto dagli inglesi nella notte tra il 17 ed il 18 maggio e che costa la vita a varie decine di persone. Ma, stranamente, di solito la pubblicistica ignora quel terribile evento. Così come trascura tutti gli attacchi secondari quanto ad entità, ma che lasciano ugualmente una scia di sangue e dolore nel corpo martoriato dell’isola.
Un’omissione cui la nostra rivista intende rimediare con un racconto delle incursioni meno note e, tra queste, appunto quella che mise in croce la città catalana. La rassegna riguarda, però, soltanto gli agglomerati urbani e non tiene conto delle azioni dirette esclusivamente contro aeroporti e scali marittimi.
Nella storia del conflitto in Sardegna, il 17 febbraio 1943 è una data da segnare in rosso. Quel giorno, infatti, intorno alle 14, due formazioni di “fortezze volanti” B17 spezzonano Cagliari e provocano una strage; circa un’ora dopo, la stessa sorte tocca a Gonnosfanadiga sul cui abitato sfrecciano 12 B25 “Mitchell”. In tutto, 179 morti. Ma l’elenco delle vittime non è ancora completo. Ad esse bisogna aggiungere quelle di Quartu Sant’Elena dove gli apparecchi americani si fanno vivi subito dopo aver portato a termine l’incursione su Cagliari.
Il paese del Campidano non ha alcuna importanza sotto il profilo militare, ma gli aviatori nemici sono privi di scrupoli. Dallo scoppio della guerra, la Sardegna rappresenta per gli Alleati una spina nel fianco poiché dai suoi aeroporti partono numerosi attacchi alla flotta inglese operante nel Mediterraneo; ora, all’inizio del 1943, partendo dalle basi in Africa settentrionale, l’aviazione di Stati Uniti e Gran Bretagna è in grado d’impartire all’isola una solenne lezione. I velivoli angloamericani mirano innanzi tutto alle installazioni che abbiano un valore bellico; nondimeno, sulla base delle direttive impartite loro dai comandi, sono liberi di colpire anche i centri minori privi di qualsiasi rilievo in campo militare. Lo scopo è palese: indebolire il fronte interno dell’Asse in Sardegna. Ciò spiega l’inaspettata puntata degli aerei americani contro Quartu Sant’Elena dove gli spezzoni recidono la vita di otto cittadini inermi. I parenti delle vittime sono impietriti dal dolore, ma l’intera popolazione si sente annientata.
La guerra diventa cattiva anche nell’isola dove, sino a quel momento, la popolazione ha vissuto in uno stato di complessiva tranquillità: basti pensare che, ancora nell’estate del 1942, i cagliaritani frequentano come sempre il Poetto. Le cose cambiano radicalmente nell’autunno successivo quando, in seguito alla rotta dell’armata italo-tedesca in Africa, ci troviamo di colpo esposti al raggio d’azione degli aerei alleati. Il segnale viene dalla tremenda giornata del 17 febbraio. Nel prossimo futuro tutti i centri sardi potranno condividere la sorte di Cagliari, Gonnosfanadiga e Quartu Sant’Elena.
Le preoccupazioni della gente trovano conferma nei mesi seguenti, allorché gli apparecchi nemici seminano bombe un po’ in tutta l’isola. All’iniziale finalità di spezzare la resistenza psicologica della popolazione sarda si somma adesso un altro proposito: scardinare definitivamente il dispositivo italo-tedesco nella nostra regione. In questo quadro, l’aviazione alleata non opera più alcuna distinzione: se le località nelle quali si trovano scali marittimi ed aerei o nodi ferroviari continuano a venire per prime, le azioni comprendono anche paesi e paesini senza importanza. Né sono esclusi contadini, pastori, pescatori e donne che lavano i panni al torrente. Come avviene il 31 marzo, giorno in cui gli aerei americani uccidono, compiendo una vergognosa bravata, tre quattordicenni che lavorano in un campo nei pressi di Villaspeciosa.
Dopo Quartu Sant’Elena, tra le incursioni minori ecco quella su Carloforte che, domenica 4 aprile, dopo mezzogiorno, viene investito da una formazione di B25 ai quali si aggiungono, come scorta, vari P38. Le sagome argentee dei velivoli si stagliano nel cielo limpido. La gente che attende in banchina l’arrivo del traghetto “Centoscudi” da Calasetta le individua ancora prima che suoni l’allarme. Il fuggi fuggi generale non impedisce la carneficina: muoiono tre militari e nove civili, alcuni dei quali colti nei balconi di case prospicienti il mare. Il bilancio è pesante, ma inferiore al pericolo corso dal paese sulcitano: molti ordigni, infatti, finiscono in acqua dove danneggiano varie imbarcazioni. Carloforte è in gramaglie.
Le forze aeree alleate assediano ormai la Sardegna e, contrariamente ai primi mesi del 1943, si spingono anche nel versante settentrionale. A cominciare da Portotorres il cui porto accoglie spesso mercantili in arrivo soprattutto da Genova. L’attacco ha luogo il 18 aprile, domenica delle palme, verso le 15. Le bombe cadono prevalentemente sullo scalo e mandano a fondo due piroscafi (tra cui il “Luigi Razza” di 4334 tn.); tuttavia, alcune di esse colpiscono anche la stazione ferroviaria e alcune case vicine allo scalo. Cinque morti.
Quattro giorni più tardi, giovedì santo, Carloforte viene messa nuovamente a ferro e fuoco da una quindicina di B26 “Marauders” i cui ordigni affondano piccoli natanti. Fortunatamente, l’ordito urbano sfugge all’offensiva. Nondimeno, si contano tre morti. Il paese rinnova il suo lutto.
Il 23 aprile è la volta di Arbatax. All’ora del pranzo 18 B26 compaiono sul porto ogliastrino e lo devastano. Il carbone accatastato si dissolve formando una nuvola nera che toglie la visibilità; ampi squarci nella banchina; vagoni carichi di cemento finiscono in mare; barche polverizzate; danneggiati la stazione delle “Complementari” ed alcuni edifici circostanti. Tredici vittime e vari feriti. La gente, terrorizzata, scappa nei paesi della zona.
Il 26 aprile primo attacco contro Sant’Antioco nel cui porto, protetto da numerose batterie, si svolge un intenso traffico di carbone “Sulcis”, all’epoca fonte energetica primaria. Inoltre, a poca distanza dalla scalo sorge uno stabilimento per la produzione di benzina dal carbone. Si spiega così l’interesse degli Alleati a colpire la località. Quel giorno su Sant’Antioco si avvicenda uno squadrone di bimotori americani che picchia duramente, ma non consegue gli obiettivi prefissi. I velivoli a stelle e strisce ci ritenteranno a maggio e giugno.
L’isola è alla mercé dell’aviazione alleata che non dà tregua, vanamente ostacolata dalla contraerea e dai caccia italiani e tedeschi. L’Asse ha migliorato le difese, inviando in Sardegna molti aerei che, però, sono sempre insufficienti rispetto alle necessità. Impossibile fronteggiare l’enorme superiorità dei mezzi di cui gli angloamericani dispongono. Cosicché, le ondate si susseguono una dopo l’altra e servono anche ad accreditare la voce secondo cui l’assalto alla fortezza Europa comincerà proprio con uno sbarco nell’isola.
Non sempre si tratta di vere e proprie incursioni; talvolta, infatti, gli apparecchi nemici lanciano qualche bomba a casaccio su centri abitati del tutto insignificanti nell’ambito delle operazioni. L’otto maggio, ad esempio, bombe dirompenti e spezzoni incendiari cadono su Mandas, Gesico, Furtei, Guasila e Villanovafranca. In quest’ultimo paese si segnalano quattro morti che appartengono ad una stessa famiglia e due feriti.
Il 14 maggio l’aviazione alleata si scatena letteralmente: non meno di 300 apparecchi dilagano in tutto il territorio regionale portando distruzione e morte. Le molte imprese di quel giorno fatale rispondono ad un piano ben preciso elaborato dallo Strategie Air Force: azzerare il potenziale bellico della Sardegna.
A Olbia l’allarme suona intorno alle 14. Provenendo da Capo Figari, due formazioni nemiche volano in direzione dell’abitato: 54 B25, scortati da numerosi P38. Uno squadrone possente che ha il compito di mettere in ginocchio la città gallurese. Ma gli olbiensi stentano a crederlo. Infatti, stando alla leggenda popolare, qualcuno, nel vedere i velivoli americani, esclama: oe la leada Tunisi (oggi tocca a Tunisi); la formazione, cioè, sarebbe diretta verso quella città africana. Una fantasia. I B25 stanno per rovesciare proprio su Olbia il loro carico.
Durante tre successivi attacchi cade un fiume di bombe: porto, idroscalo e linea ferroviaria sconvolti, municipio, capitaneria e numerose abitazioni fortemente danneggiati. Ai morti, più di venti, si sommano molti feriti, distruzioni ed affondamenti di navi.
Olbia è a terra. La cittadinanza sfolla. Fiorisce una ballata: «Su battoldighi de maiu / s’hat a tenner in mente / ogni barbaru leone / ca s’inglese e s’americanu / ha chelfidu a Terranoa assassinare» (Il quattordici di maggio / terrà a mente / ogni barbaro leone / che l’inglese e l’americano / hanno voluto assassinare Terranova).
L’incursione contro Olbia non è l’unica azione in Sardegna predisposta dallo Strategie Air Force per il 14 maggio. Una formazione di 13 P38 bombarda la galleria di Bonorva per interrompere la linea ferroviaria Cagliari-Portotorres. La missione riesce pur con la perdita di un aereo.
Gli equipaggi dei velivoli alleati non sono, però, soddisfatti. Neutralizzato il “tunnel di Bonorva”, dirigono gli apparecchi su Sassari dove l’allarme non determina particolari apprensioni in quanto la sirena ha spesso suonato a vuoto. Ma ora gli americani arrivano davvero. Quattro aerei si staccano dalla formazione e scendono verso la stazione ferroviaria che incassa un grappolo di bombe. Sono le 14 e 10. Edificio sventrato, vagoni semidistrutti, binari divelti. Muore un ferroviere, mentre due soldati cessano di vivere dopo poche ore per le gravi ferite.
Il 14 maggio nel mirino della formazione c’è anche Portotorres. L’orologio segna le 14 e 30. Sulla cittadina piombano 12 P38 che martellano duramente il porto e disintegrano navi di vario tonnellaggio. Alcune bombe cadono anche nel centro abitato. Si registrano quattro morti tutti di un unico nucleo familiare. Infine, una capatina su Alghero-Fertilia per mitragliare l’aeroporto, l’idroscalo e la rada. Vengono distrutti vari velivoli e barche di pescatori tra i quali si contano sei morti.
Nove vittime sono, invece, il tragico bilancio dell’incursione compiuta, sempre il 14 maggio, contro Paulilatino da altri P38 che hanno appena fallito l’obiettivo di far saltare la diga del Tirso. Forse indispettiti, i piloti americani cercano il deposito di carburanti ubicato ad Abbasanta e credono di ravvisarlo in alcune casermette site a Paulilatino. Sono le 14,30. I P38 sbucano dal cielo di Macomer e sganciano nove bombe di cui due sul paese. Muoiono quattro civili e cinque militari.
Il 14 l’aviazione americana dilaga anche nella Sardegna sud-occidentale. Alle 14,30 alcune decine di B26, protetti da altrettanti P40 “Curtiss”, calano su Sant’Antioco. La nuova incursione punta a rendere inservibile il porto e distruggere l’attigua fabbrica di benzina. Gli ordigni centrano gli impianti dello scalo, affondano due pontoni ed un dragamine e ne danneggiano un secondo. Ridotto a mal partito anche lo stabilimento della benzina dal quale si levano lingue di fuoco. Le bombe piovono, però, anche sulla parte più vicina del paese dove radono al suolo e lesionano varie case. I morti sono cinque.
L’incursione viene integrata dagli attacchi che una ventina di P40 della scorta portano alla centrale termoelettrica di Santa Caterina (nessun danno) e Calasetta (colpiti un fabbricato e la zona portuale).
Nella notte tra il 17 ed il 18 maggio Alghero vive un’autentica tragedia. Intorno alle 23, 18 “Wellingtons” inglesi si avvicendano sull’abitato in tre ondate successive. A bordo di un velivolo si trova, come osservatore, James Doolittle capo delle forze aeree alleate stanziate in Nord Africa.
Al sibilo delle sirene la gente scappa nei rifugi. Un attimo dopo comincia il finimondo. Dopo aver bombardato il porto, gli apparecchi si avventano sull’ordito urbano illuminato a giorno dai bengala. Le bombe investono le vie centrali dove colpiscono molte abitazioni e vari edifici, tra cui la cattedrale, in stile gotico-catalano, l’orfanotrofio e l’ospedale. Dalle macerie si estraggono molti feriti e cadaveri; ma di questi ultimi è possibile identificarne solo una cinquantina. Come dire che il bilancio dell’incursione, quanto a vite umane, è sensibilmente più elevato. Una catastrofe. Alghero si svuota.
Gli angloamericani insistono: bombardano Cagliari e la base di La Maddalena, tentano nuovamente di far saltare la diga del Tirso, attaccano gli aeroporti di Villacidro e Decimomannu, ecc.. Un panorama terrificante nel quale si colloca l’incursione del 20 maggio, citata in apertura e che ha come teatro Macomer. La effettua verso le 14,10 una formazione di P38. Le bombe colpisono diverse abitazioni, il campo sportivo e, soprattutto, le due stazioni ferroviarie (Stato e “Complementari”) che, dopo l’azione, presentano un aspetto desolante: locomotive e vagoni distrutti, binari strappati dalla loro sede, materiali sparsi un po’ dovunque. Perdono la vita cinque civili e sei soldati.
In precedenza, la cittadina del Marghine ha conosciuto la guerra solo attraverso le tradotte militari in transito nel suo nodo ferroviario e le notizie diffuse dalla radio e dai giornali. L’ipotesi di un’incursione appare a lungo remota; casomai, gli Alleati attaccheranno la vicina Bortigali dove ha sede il comando delle forze armate dislocate in Sardegna. Ma la realtà smentisce le previsioni. Padroni incontrastati dell’aria, gli angloamericani scaraventano i loro ordigni dovunque e, purtroppo, Macomer non fa eccezione.
Il 24, gli Alleati si ripresentano nello spazio aereo sopra Alghero. I B26, dopo aver spezzonato l’area portuale, mandano in rovina un certo numero di case. In questa occasione non si hanno vittime. Peraltro, aggiungendosi alla precedente, questa incursione mette definitivamente in ginocchio la città affacciata sulla riviera del Corallo.
Sant’Antioco è nuovamente nell’occhio del ciclone il 29 maggio, allorquando gli aerei alleati mitragliano il paese al fine di arrecare altri guai al porto. Il bilancio è meno grave di quello dell’attacco precedente, anche perché gli ordigni non causano morti. Tuttavia, il nemico consegue il duplice risultato di peggiorare la situazione dello scalo e tenere sulla corda gli abitanti.
Nella mattinata del giorno seguente, quattro P38 si divertono, addirittura, a fare il tiro al bersaglio, mitragliando due barche di pescatori nel mare davanti a Bosa. Un atto criminale che costa la vita a tre persone ed il ferimento di altre due.
Se la cittadina della Planargia non dice nulla in termini militari, sicuramente differente è il caso di Chilivani, importante nodo ferroviario che assicura i collegamenti tra Cagliari-Portotorres e Olbia. Inoltre, a due passi da Chilivani, ci sono un campo d’aviazione, frequentato da velivoli germanici, ed una potente stazione radio tedesca a monte Grescia. Dunque, non mancano le ragioni perché l’aviazione angloamericana reputi opportuno attaccare Chilivani. Anche questa azione si svolge il 30 maggio. Ne è protagonista una formazione di P38 che mitragliano due treni fermi nella stazione. Uno trasporta fusti di benzina che prendono fuoco; il secondo è carico di passeggeri, tra i quali molti sfollati provenienti da Cagliari. Una bomba colpisce lo stabilimento della “Galbani” che si trova nei pressi. Nell’infernale carosello vengono uccisi un ferroviere e dieci civili, più alcuni feriti.
Il 31, alle 12,30, i P38 si avventano su Guspini con bombe da 500 libbre, di cui una colpisce le “Fornaci Scanu” che producono laterizi. Altri spezzoni cadono sulla centrale elettrica di Nuraci e mandano all’altro mondo quattro operai.
Il 2 giugno, terzo impressionante attacco contro Sant’Antioco. Lo portano a termine 36 velivoli americani che distruggono ulteriormente gli impianti portuali e vasti depositi di carbone (circa 73 mila tn.). Nessuna vittima, dato che dopo le due precedenti incursioni gli abitanti hanno lasciato il paese.
La Sardegna è allo stremo, ma gli Alleati continuano ad infierire. L’8 giugno, i P38 bombardano Carbonia: alcuni edifici danneggiati, tra i quali la chiesa di San Ponziano, ma nessuna offesa alle persone. Dieci giorni dopo, un altro attacco contro la città mineraria; anche questa volta ad essere colpiti sono soltanto i fabbricati. Certamente più importante in quel 18 giugno, il secondo attacco contro Olbia. Nel cielo della città gallurese compaiono, in tre fasi successive, 85 B26 che si alternano dalle 10 alle 10,30. Danni gravissimi, ma il destino vuole che nessuno soccomba alla dura incursione.
Sei giorni più avanti, Chilivani è ancora all’ordine del giorno. Alle 9,30, scortata da 40 P38, una formazione di 36 B26 lancia bombe dirompenti sulla stazione che subisce notevoli danni. Due morti e dieci feriti.
Queste incursioni servono anche a mantenere impegnato nella nostra isola il maggior numero possibile di aerei italiani e tedeschi che, altrimenti, potrebbero essere impiegati per contrastare il preventivato sbarco angloamericano in Sicilia. L’aspettativa, peraltro, non trova riscontro nella realtà. Infatti, non appena i primi contingenti alleati mettono piede a Gela (10 luglio), dalla Sardegna accorrono vari stormi.
A questo punto, la nostra isola assume, nella strategia bellica degli Alleati, un ruolo marginale. Ciò spiega il progressivo disinteresse degli angloamericani i quali, peraltro, non desistono dal colpirla ancora. Il 5 agosto, i B25 attaccano, sebbene senza conseguenze, la periferia di Guspini, mentre tredici giorni più tardi l’aeroporto di Monserrato e l’abitato incassano vari spezzoni. A lanciarli sono alcuni P40. Contemporaneamente, aerei dello stesso tipo attaccano impianti minerari a Gonnesa. Il 20, i P40 “visitano” uno stabilimento nella zona di Barbusi (Carbonia). Il 21, gli aerei angloamericani si fanno vedere a Fluminimaggiore ed il 23 rivolgono la loro attenzione ad obiettivi minerari nei pressi di Iglesias. Non la passa liscia neppure San Sperate cui risulta fatale la vicinanza con l’aeroporto di Decimomannu. Così, anche questo paesino si becca una razione di ordigni.
L’armistizio dell’8 settembre è alle porte. All’improwiso, gli Alleati diventano amici ed i tedeschi nemici. Tuttavia, in seguito ad un accordo col generale Antonio Basso, comandante supremo in Sardegna, la 90ma divisione corazzata “Panzergrenadier” germanica lascia l’isola senza combattere. Per noi la guerra è finita. Una svolta quanto mai attesa poiché la nostra terra versa in condizioni disastrose dovute all’interruzione dei collegamenti con il continente, ma determinate anche dal costante tambureggiare dell’aviazione alleata.
Come abbiamo sottolineato in apertura, l’attenzione si rivolge comunemente alle grandi incursioni ed in primo luogo a quelle contro Cagliari che trasformano il capoluogo in un immenso cimitero. Nondimeno, a mettere in croce la Sardegna contribuiscono anche gli attacchi minori che portano lutti e rovine in cittadine e paesi. Con l’8 settembre, quel dramma cessa. L’ossessionante ululato delle sirene diventa un ricordo.

Almanacco di Cagliari 1999

Nella notte del 17 maggio 1943, il centro storico di Alghero fu colpito duramente dai ”Wellingtons” inglesi La stazione ferroviaria di Macomer devastata dalle bombe americane. L’incursione avvenne il 20 maggio 1943 30 maggio 1943: Una barca di pescatori appena rientrata a Bosa, dopo essere stata mitragliata in mare da aerei P38 ”Lightning”

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1 thought on “SARDEGNA 1943: TERRORE DAL CIELO”

  1. Durante la Seconda Guerra Mondiale, ad Alghero ci furono circa 110 vittime senza contare i feriti
    In città sganciarono bombe, (di cui sono tutt’ora presenti i segni nelle curiose piazzette del centro storico, dove un tempo sorgevano edifici) alcune palazzine sono state riedificate, ma altre no, ed infatti è rimasto il vuoto. Terribili gli effetti degli spezzoni incendiari, ma anche i mitragliamenti subiti dai pescatori in mare aperto, in città e nei dintorni.
    In Google e in You Tube potete trovare approfondimenti e testimonianze proprio sulla vicenda riguardante i raid su Alghero.

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