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Se ne va Kissinger, il condor della realpolitik americana

Un ricordo di Henry Kissinger attraverso alcune delle sue celebri frasi
Henry Kissinger

IL SECOLO L’uomo che sussurrava ai presidenti

di Salvatore Cannavo

Eccelleva nella manipolazione, non nella costruzione. Preferiva la manovra sottile all’attacco frontale”. Quello che Henry Kissinger, morto ieri a 100 anni, scriveva di Klemens von Metternich aiuta a descrivere il maggior diplomatico del Novecento. La manovra sottile è certamente responsabile del suo capolavoro diplomatico, l’apertura degli Stati Uniti alla Cina nel 1975; la manipolazione, utile a raggiungere l’obiettivo di pressare l’Unione sovietica, è stata senz’altro necessaria per supportare scelte devastanti come il colpo di Stato in Cile o il sostegno al Pakistan nel massacro in Bangladesh.

Kissinger è stato a fasi alterne un santino o un uomo troppo datato. I suoi giudizi sulla guerra russo-ucraina, ad esempio, – “un errore allargare la Nato ai paesi del blocco ex sovietico” – sono stati tenuti sullo sfondo. Le sue parole sono state tirate in tutte le direzioni, in Italia lo si è utilizzato anche per celebrare Mario Draghi, premiato nel settembre 2022 a New York come “statista dell’anno” proprio dall’ex segretario di Stato Usa. Meglio ascoltarlo direttamente.

L’America non ha amici o nemici permanenti, solo interessi”. Il filo rosso dei suoi 100 anni è racchiuso in questa frase: gestire, nei momenti più difficili, l’egemonia Usa nel mondo; garantire gli interessi statunitensi in una fase in cui il risveglio anticoloniale nel mondo, la crisi economica del 1973, lo shock del Watergate che porterà all’uscita di scena del “suo” presidente Richard Nixon – il filosofo Isaiah Berlin coniò il termine Nixonger – richiedono abilità e spregiudicatezza per mantenere il posto degli Usa nel mondo. Lo farà, cercando più l’equilibrio che lo scontro. E questo lo rende un “alieno” nel tempo attuale come ha dimostrato la vicenda ucraina.

Vogliamo un intervallo decente”. Lo scrive nel 1971 a proposito di una tregua necessaria nella guerra in Vietnam. Gli Usa vogliono uscirne e Kissinger cercava di rinviare la caduta di Saigon negoziando a Parigi con i vietnamiti. L’obiettivo è quella che lui e Nixon chiameranno “una pace onorevole”. Per quegli accordi riceverà il Nobel per la pace nel 1973 insieme al capo vietnamita Le Duc Tho, il quale però lo rifiuta. Ancora una volta il pragmatismo, e la ricerca dell’equilibrio, prevalgono. “Colpire tutto ciò che vola o qualsiasi cosa che si muova”. È l’indicazione data ai militari statunitensi per sradicare i vietcong oltre il confine con la Cambogia. Il diplomatico della manovra, non esista a dare il via a un bombardamento indiscriminato con almeno 50 mila vittime fra i civili.

Saremmo in grado di influenzare la reazione in America, se qualunque cosa accada, accadrà dopo il nostro ritorno”. È la frase che rivolge al presidente indonesiano Suharto quando, insieme al presidente Gerald Ford, autorizzano l’invasione di Timor Est perché dopo la perdita del Vietnam si temeva un altro successo legato al mondo comunista. La conseguenza si traduce in 100 mila morti.

L’illegale lo facciamo subito. L’incostituzionale richiede un po’più di tempo”. La frase gli è stata attribuita ma viene abbondantemente citata. Del resto nel 2002 un tribunale cileno gli chiese conto del suo ruolo nel colpo di Stato del 1973 capitanato da Augusto Pinochet e nel 2001 un giudice francese gli notificò una richiesta formale di interrogatorio sullo stesso colpo di stato visto che diversi cittadini francesi erano scomparsi. Gli stessi problemi erano stati ventilati in relazione al suo ruolo nell’Operazione Condor, il piano che negli anni Settanta guidava l’azione delle dittature sudamericane e che faceva capo a Washington. Un giudice argentino lo aveva indicato come potenziale “imputato o sospettato”.

Un sottile triangolo con la Cina comunista e l’Unione Sovietica”. L’idea era contenuta nei discorsi che scriveva nel 1968 per Nelson Rockefeller, il miliardario di cui ha sposato una fedele assistente. Quando Cina e Urss, nel 1969, si scontrano sui loro confini Nixon ordina a Kissinger di provare un’apertura segreta con Pechino anche allo scopo di alleggerire il peso della guerra in Vietnam. A fare da intermediario il Pakistan tramite la cui ambasciata gli Usa ricevono un messaggio del primo ministro cinese Zhou Enlai sul gradimento cinese per un “inviato speciale del presidente Nixon”. Nascerà così la “diplomazia del ping pong” anche per via delle amicizie, spontanea o pilotate, tra i giocatori delle squadre di ping pong dei due paesi. È il passaggio-chiave della carriera diplomatica di Kissinger il quale, sulla soglia dei 100 anni, sarà ancora ricevuto con tutti gli onori a Pechino dal presidente Xi Jinping. “È morto un amico” ha detto l’ambasciatore cinese negli Stati Uniti.

Mi manca Nixon”. Quando Donald Trump lo va a trovare durante la sua campagna del 2016, non dice nulla, ma il New Yorker pubblica una vignetta in cui Kissinger è raffigurato con un fumetto in cui dice: “Mi manca Nixon”. I repubblicani sono in effetti cambiati molto.

La guerra non è solo colpa della Russia”. Con i giudizi sul conflitto russo-ucraino, Kissinger spiazza il mainstream che lo esalta: “Non è stato saggio combinare l’ammissione di tutti i Paesi dell’ex blocco orientale nella Nato con un invito all’Ucraina a entrarvi” dice aderendo all’analisi politica della scuola “realista”. Più tardi dirà che vista l’evoluzione della guerra, l’Ucraina nella Nato non è più una cosa assurda, ma intanto per mesi sconvolge le analisi più consolidate.

Le stavo insegnando gli scacchi”. Durante gli anni Settanta era conosciuto come “il playboy dell’ala occidentale”, riferndosi alla Casa bianca. Popolava le pagine di gossip, davanti ai fotografi teneva le mani dell’attrice Jill St. John insieme a cui fece scattare l’allarme nella sua villa di Hollywood mentre scappavano nella sua piscina.

Il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2023

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