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George Orwell: 1984 – Introduzione, antologia critica e bibliografia

George Orwell: 1984 - Introduzione, antologia critica e bibliografia a cura di Aldo Chiaruttini. Oscar Mondatori, Dicembre 1983
George-Orwell - Illustration by Poccioro

Introduzione, antologia critica e bibliografia a cura di Aldo Chiaruttini
Arnoldo Mondatori Editore, Oscar Mondatori, Dicembre 1983

George Orwell
La vita e l’opera

George Orwell è il nome che lo scrittore inglese adottò negli anni trenta, in occasione della pubblicazione delle sue prime opere. Nato nel 1903 a Motihari in India, quando quell’immenso paese era un possedimento dell’Inghilterra, il suo vero nome era Eric Arthur Blair. La famiglia, di origine scozzese, era per lunga tradizione impegnata in attività commerciali e amministrative dell’Impero britannico. Il padre, seguendo tale tradizione, era un funzionario dei servizi per la lotta contro l’oppio nella leggendaria regione del Bengala, posta tra l’omonimo golfo nell’Oceano Indiano e la catena montuosa dell’Himalaya.

Sin dalla più tenera età Orwell visse assai poco in famiglia. Secondo una consuetudine che valeva per i figli dei funzionari inglesi in India e nelle altre colonie britanniche, era ancora bambino quando lasciò la famiglia, per frequentare le scuole in Inghilterra e ricevere quell’educazione che avrebbe dovuto farne il tipico funzionario dell’Impero, come lo era suo padre: appartenente a quella classe sociale che egli stesso definì ironicamente «lower upper-middle class» (bassa alta borghesia).

Frequentò prima una preparatory school privata nel Sussex. Si trattava di una scuola corrispondente all’incirca alle nostre scuole elementari per quanto riguarda l’insegnamento, ma in cui i ragazzi stavano a pensione, prendendovi i pasti e alloggiandovi per l’intero periodo scolastico. Il giovane Blair frequentò questa scuola durante cinque anni, dal 1911, quando aveva sette anni, al 1916. L’esperienza risultò durissima e amara. Orwell ne parla in un breve saggio autobiografico del 1947, intitolato Such, Such Were the Joys…, da un verso ripreso ironicamente dai Songs of Innocence di William Blake. Questo saggio, che è importantissimo per conoscere gli anni cruciali dell’infanzia e della prima adolescenza di Orwell, fu pubblicato una prima volta a New York nel 1953, ma è stato a lungo inedito in Inghilterra poiché i responsabili della pubblicazione avrebbero potuto essere perseguiti per diffamazione: tanto suonano violente le accuse contro il sistema di insegnamento, le prevaricazioni e i barbari sistemi correzionali praticati in questo collegio del Sussex.

Tuttavia Orwell mantenne un ottimo livello di profitto, e alla fine dei corsi vinse una borsa di studio sia per la scuola secondaria (public school) di Wellington che per quella, ancora più illustre, di Eton. Egli alla fine optò per la seconda. A Eton, che frequentò per oltre quattro anni dal 1917 al 1921, studiò al King’s College, anche qui con profitto e in un’atmosfera più distesa e civile di quella che dovette soffrire nella scuola primaria del Sussex. Fu qui che Orwell cominciò le sue prime vere e proprie prove letterarie. Egli ha ricordato i suoi anni di Eton e la positiva impressione che ne ricavò in un lungo articolo, For Ever Eton, pubblicato il 1 agosto 1948 sul settimanale inglese «The Observer».

Benché con il completamento dei corsi a Eton gli fosse aperta la strada per le università di Oxford o di Cambridge, Eric-George, forse anche per un senso di colpa verso la sua origine di casta privilegiata, preferì avviarsi subito alla vita attiva e, pare su consiglio del padre, si arruolò nella polizia imperiale in Birmama. Rimase in servizio per cinque anni, ricevendo un’impressione fortemente negativa sia sull’amministrazione britannica in Oriente, sia sui rapporti tra coloni e popolazione indigena, impressione della quale sono testimonianza il suo romanzo Burmese Days (1934; pubblicato in Italia con il titolo di Giorni in Birmania, Milano 1948) e i ricordi autobiografici di A Hanging (1931) e Shooting an Elephant (1936).

Ritornato in Inghilterra per una vacanza nell’autunno del 1927, Orwell decise di dimettersi dal servizio e di seguire la sua vocazione di scrittore. Il congedo dal servizio divenne effettivo a partire dal 1 gennaio 1928, A ventiquattro anni, benché tutta la sua formazione e le stesse origini familiari lo predestinassero a un servizio, militare o civile che fosse, nell’amministrazione imperiale, Orwell diede un taglio netto al passato e si incamminò lungo una strada da cui non avrebbe mai più deviato.

Fermo nel proposito di diventare scrittore e mantenersi indipendente, Orwell affrontò volontariamente la miseria. Per sopravvivere fece il lavapiatti, l’insegnante e l’aiuto commesso di libreria. In questi anni visse tra Parigi e Londra. La condizione miserabile degli slums, che ebbe modo di sperimentare di persona, doveva rimanergli impressa per il resto della sua esistenza e influenzare molti dei suoi scritti. Down and Out in Paris and London (1933; in italiano: Senza un soldo a Parigi e a Londra, Milano 1967), che fu il suo primo libro pubblicato, è praticamente il diario-reportage di quel periodo randagio e difficile.

Più specificamente centrato sulla condizione delle classi derelitte (i disoccupati, le persone assistite dai servizi sociali, coloro che vivono della carità) sarà, invece, il saggio The Road to Wigan Pier (1937; in italiano: La strada di Wigan Pier, Milano 1960). Il libro, che è un vero e proprio manifesto di denuncia delle ingiustizie sociali, rappresentò in quegli anni un sensibile contributo alla propaganda dei movimenti socialisti inglesi.

Nel 1936 Orwell sposò Eileen O’Shaughnessy, figlia di un funzionario doganale, laureata sia a Oxford che, con una laurea in psicologia, all’Università di Londra nel 1934.

Nel gennaio del 1937, Orwell si recò insieme con la moglie a Barcellona e prese parte alla guerra civile spagnola che divampava già da diversi mesi. Egli militò nelle file repubblicane e, precisamente, nel P.O.U.M. (Partido Obrero de Unificación Marxista), un piccolo movimento anarco-sindacale della Catalogna. Più tardi doveva passare al contingente del Partito Laburista Indipendente inglese, che agiva di conserva con il P.O.U.M. Alla metà di maggio rimase ferito abbastanza seriamente alla gola, nella battaglia di Huesca. Quando il P.O.U.M. venne dichiarato illegale dalle autorità repubblicane, Orwell dovette riparare in Francia. Ritornato in patria, Orwell pubblicò un appassionato rendiconto delle sue esperienze nella guerra civile spagnola (Homage to Catalonia, 1938; in italiano: Omaggio alla Catalogna, Milano 1948), in cui è disegnata con accento drammatico la lotta condotta dai comunisti per conquistare il predominio, anche a costo di una eventuale sconfitta dei repubblicani. Con questo spirito di avversione al tatticismo e al machiavellismo dei comunisti, egli dovrà poi affrontare le sue maggiori prove letterarie di La fattoria degli animali e 1984.

Ma la partecipazione alla guerra civile di Spagna nelle file dei movimenti socialisti, a favore della causa della repubblica legittima aggredita da una coalizione fascista internazionale, condusse Orwell anche a identificare con una precisione mai sino allora da lui raggiunta i fini della sua professione di scrittore impegnato.

Nel 1939, qualche mese prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Orwell pubblicò Coming Up for Air (in italiano: Una boccata d’aria, 1967), romanzo che ebbe un buon successo di pubblico e rappresentò fino allora la sua più valida prova narrativa. Anche la critica accolse con favore questo bel romanzo, incentrato sulle esperienze di un adolescente negli anni precedenti la prima guerra mondiale: vi colse un felice tocco creativo, una delicatezza di sentimenti e una capacità di penetrazione psicologica che realmente incantano il lettore.

Dichiarato inabile al servizio militare per motivi di salute, nel 1940 Orwell si arruolò volontario nella Home Guard ed ebbe il grado di sergente. Durante tutto il periodo della guerra, la sua maggiore attività doveva essere in ogni modo quella letteraria e critica, cui va aggiunto il lavoro di commentatore alla B.B.C. – l’ente radiofonico inglese – e di corrispondente per «The Tribune» (un settimanale indipendente di sinistra assai polemico sul piano politico e sociale) e per il famoso settimanale «The Observer».

Sono di questi anni i due libri di saggistica The Lion and the Unicorn: The Socialism and the English Genius (del 1941), in cui ritrasse le virtù tipiche del popolo inglese e cercò di fissare un rapporto tra il socialismo e lo spirito britannico, e Inside the Whale and Other Essays (1945). Tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 scrisse Animal Farm (in italiano: La fattoria degli animali, Milano 1947, ripubblicata anche recentemente negli Oscar).

Per le chiarissime allusioni critiche al regime sovietico e allo stalinismo contenute in Animal Farm – in quel tempo l’U.R.S.S. era alleata dell’Inghilterra nella guerra contro il nazismo – molti editori non trovarono opportuno accettare il breve romanzo, che venne finalmente pubblicato soltanto nell’agosto 1945, a guerra finita, dall’editore Secker & Warburg, dopo che Orwell aveva pensato di pubblicarlo in proprio con l’aiuto di un suo amico anarchico, il poeta Paul Potts. Fu in questa occasione che Orwell stese una prefazione ad Animal Farm, intitolata The Freedom of the Press, ispirata alle peripezie trascorse per far pubblicare il volumetto, la quale però non venne pubblicata, andò perduta e solo recentemente è stata ritrovata e finalmente pubblicata integralmente nel numero del 15 settembre 1972 di «The Times Literary Supplement», e che il lettore italiano può leggere nella nuova edizione Oscar di La fattoria degli animali.

Con Animal Farm Orwell conquistò i favori del pubblico internazionale e conobbe per la prima volta anche il successo finanziario. Purtroppo, la soddisfazione di questa clamorosa riuscita letteraria fu amareggiata dalla morte della moglie, nel marzo 1945, in seguito a un intervento chirurgico, e del declino della salute di Orwell stesso, che già da tempo era affetto da tubercolosi polmonare. Solo pochi mesi prima Eileen e George avevano adottato un bambino, che Orwell tenne presso di sé anche dopo la morte della moglie.

Nel 1947, mentre la sua salute andava decimando sempre più rapidamente, scrisse il primo abbozzo di Nineteen Eighty-Four (in italiano: 1984, Milano 1950, ora nella presente edizione). Nel 1948, tra continui attacchi sempre più violenti della malattia, preparò la seconda stesura di questo suo ultimo romanzo. Dalla fine del 1948, Orwell si trovò in condizioni di salute così precarie da non consentirgli più alcuna attività.

Nineteen Eighty-Four venne pubblicato nel 1949 e ad esso arrise subito un grande successo in Inghilterra e all’estero. Nel settembre 1949 Orwell venne ricoverato in ospedale a Londra. Nell’ottobre dello stesso anno sposò Sonia Brownell, una giornalista, vice-direttore di «Horizon». Il 21 gennaio 1950, all’età di quarantasei anni, morì lasciando per testamento la richiesta che non si scrivesse di lui alcuna biografia.

1984

Il titolo indica l’anno in cui si svolgono i fatti che sono argomento del romanzo. L’autore ricava tale data semplicemente invertendo le due ultime cifre dell’anno, il 1948, in cui redasse il secondo e ultimo abbozzo del libro. Evidentemente, a Orwell il 1984 sembrava abbastanza lontano per situarvi un racconto fantastico, ma anche abbastanza vicino per potervi inserire fatti e situazioni, personaggi e una forma di linguaggio che nel 1948 apparivano tutt’altro che irreali, tanto che il romanzo fu subito accettato con favore dal pubblico anche per il suo carattere di “attualità”.

Il mondo descritto da Orwell è diviso fra tre superatati: Oceania, Eurasta ed Estasia, che si presumono in continua guerra tra loro. Gli avvenimenti si svolgono a Londra, che però ormai è l’ombra di se stessa tanto è depressa e per sempre ingrigita dalla ideologia imperante del Socing (il Socialismo Inglese), unica dottrina ammessa in Oceania. L’Inghilterra ne è ormai soltanto un territorio marginale – anche se strategicamente importante – denominato Fascia Aerea n. 1.

Le autorità di Oceania la etri incarnazione prima e più elevata è il Grande Fratello, che appare in immagine in ogni luogo e sovrasta la vita pubblica e privata di ognuno, ma che in realtà nessuno conosce e nessuno ha mai visto di persona, governano e controllano il paese attraverso “il Partito” e i suoi ministeri onnipotenti. Ogni pensiero, ogni parola di qualsiasi suddito sono controllati da vari ministeri, specie da quello dell’Amore, da quello della Verità, ecc. Essi sono preposti in realtà all’imbonimento ideologico e morale dei cittadini per renderli completamente succubi al sistema, pronti a tradire qualsiasi sentimento di affetto e di amore anche verso i propri cari per servire lo stato, per renderli feroci odiatori dei nemici interni ed esterni del paese, e assolutamente incapaci di qualsiasi pensiero autonomo e forma di critica.

Al protagonista, Winston Smith, che è un funzionano del Ministero della Verità, dove è addetto all’ “aggiornamento” dei vecchi numeri del «Times» affinché corrispondano alla versione della storia voluta dal Partito, capita di innamorarsi, di trovare un rifugio in cui il Partito non possa vederlo e sentirlo almeno durante i radi e brevi incontri d’amore. A Smith capita anche di ascriversi alla grande ondata di malcontento e di resistenza interna che un giorno o l’altro dovrebbe rovesciare il sistema odiato.

Ma tutto gli si rivela come un grande inganno: il nido d’amore lontano dagli occhi e dalle orecchie del Partito non è che una trappola messa m piedi da spie del Partito, l’ascrizione al movimento d’opposizione interna una terribile macchinazione di agenti provocatori.

Arrestato, Winston Smith si consegna completamente nelle mani degli inquisitoli. Vorrebbe, però, conservare integra almeno una parte di sé: l’amore per la sua donna, anche se dispera di poterla mai più rivedere. Ma anche questa ultima e più intima e cara parte di sé gli viene strappata, ed egli stesso rinnega nel modo più vile e immondo la donna amata.

Ridotto a una parvenza d’uomo, a uno straccio fisico e morale, Winston Smith viene lasciato vivere un’esistenza insulsa e insignificante, ma conforme alla volontà del Partito, ai cui slogan finisce per credere così come tutto il suo amore è ormai rivolto unicamente al Grande Fratello.

Nel campo della narrativa, 1984 appartiene al genere anti-utopistico (o, come è stata definita da certa critica italiana, all’utopia negativa) e discende evidentemente, oltre che dalla tradizione utopistica di tanta parte della narrativa inglese, da romanzi quali Noi, del 1920, di Evgénij Zamjàtin (pubblicato anche in italiano nel 1963, in edizione economica nel 1972), che Orwell lesse nella traduzione francese del 1938, Il nuovo mondo, del 1932, di Aldous Huxley (che il lettore potrà trovare anche in edizione Oscar),1 e altri meno famosi e meno significativi.

1984 è un’anti-utopia perché prevede non già un mondo migliore, un mondo ideale più o meno vicino in cui l’umanità possa finalmente appagare la sua sete di giustizia, di amore e di bellezza, bensì un mondo insensato, in cui gli uomini vengono privati dell’anima e dove prevale soltanto la violenza autoritaria, mentre tutt’intorno non c’è che abbrutimento, tristezza, squallore, diffidenza e odio.

Certo, Orwell non intendeva affermare che la sua anti-utopia si sarebbe immancabilmente realizzata. Egli intendeva piuttosto lanciare un monito contro gli abusi del potere, manifestatisi in forme gravissime e allarmanti negli anni intorno alla seconda guerra mondiale, contro l’appiattimento della coscienza e dei sentimenti, contro la sopraffazione mentale compiuta dalle ideologie.

Tuttavia, è da credere che egli temesse effettivamente l’avvento di un mondo abbastanza simile a quello da lui disegnato in 1984 e per ritrarre il quale si era servito di tendenze indubbiamente esistenti allora nel mondo e registrate come fatti storici. E non fu il solo a crederci: certamente non molto dissimili sono le anti-utopie della svedese Karin Boye, Kallocain, del 1940, un libro “orwelliano” avantilettera, che precedette di soli otto anni 1984, e dell’americano David Karp, One, del 1953, che ricreano la stessa atmosfera di incubo spirituale e fisico, in cui gli uomini vivono sotto il dominio di idee totalitarie non solo nel senso che adducono a sé tutto il potere, ma intendono ridurre l’uomo a loro immagine. Tra tutte, 1984, che è anche l’anti-utopia “storicamente” più fondata, resta quella avvolta di più nero pessimismo.

In Inghilterra il romanzo di Orwell ebbe nel 1954 anche una riduzione televisiva, interpretata nel ruolo principale da Peter Cushing. Portato dalla pagina scritta al piccolo schermo, 1984 destò in milioni di telespettatori un infinito orrore per il susseguirsi di scene di cupa disperazione, di crudeltà, di brutalità e di miserie fisiche e morali, e le proteste del pubblico alla direzione della B.B.C. piovvero a migliaia, tanto che anche i giornali se ne fecero portavoce attraverso i loro critici televisivi. Questo diciamo per segnalare la grande forza evocativa di un mondo terribile quanto, purtroppo, concepibile e possibile quale sorge dall’asciutta, ma precisa e inequivocabile parola ammonitrice di Orwell.


Antologia critica

Il suo ultimo romanzo, 1984, ottenne notorietà mondiale come pauroso monito di un possibile totalitarismo futuro. La sua forza è fuori discussione, ma il suo interesse più duraturo quasi certamente risiede in certe sue parti secondarie, nelle sue indagini sulla verità politica e nell’idea della “Neolingua”, argomenti che Orwell aveva già toccato in saggi precedenti.

Walter Aflen
Tradition and Dream,
Phoenix House, Londra 1964

* * *

Lo scrittore di anti-utopie è inevitabilmente conservatore, in quanto odia o teme quel che il futuro può portare, mentre il progressista dà per scontato, per definizione, che esso sarà migliore del presente. Inoltre, tutte queste proiezioni nascono in una determinata situazione storica e le visioni del futuro riflettono la preoccupazione del tempo in cui sono state scritte. Così La macchina del tempo di Wells è una risposta di intensa immaginazione all’idea che il sistema classista della fine dell’800 potrebbe essere incorporato nello sviluppo evolutivo della razza umana, mentre When the Sleeper Wakes [pure di H. G. Wells] è una cruda risposta all’espansione delle immense metropoli, al crescente potere del proletariato e all’influenza delle idee nicciane. Il mondo nuovo di Huxley rispecchia l’avvento di società totalitarie tipicamente moderne, lo sviluppo tecnologico delle industrie dei consumi e la presa di coscienza della possibilità di manipolazioni genetiche. 1984 rispecchia un’eguale preoccupazione a proposito del totalitarismo, ma particolarmente nella sua variazione di tipo stalinistico, oltre a indicare la corruzione intellettuale e morale degli anni finali della seconda guerra mondiale. Facial Justice [di L. P. Hartley] nasce dal disgusto per l’ideologia e l’atmosfera culturale del socialismo post-bellico britannico. Tutte queste opere possono essere accusate di essere regressive e sleali, ma si può dire ben poco contro di esse perché non propongono precisi progetti e si richiamano all’immaginazione e alle paure segrete del lettore.

Bernard Bergonzi
The Situation of the Novel
Macmillan, Londra 1970

* * *

A queste riserve nei confronti di Orwell, che mi pare si possa dire fossero diffuse tra gli intellettuali della generazione nutritasi di letteratura anglosassone durante il fascismo, posso aggiungere un ricordo puramente personale. E cioè, quando apparve – nella splendida traduzione di Gabriele Baldini – il 1984, il suo immediato successo mi parve un segno, in fin dei conti, negativo. Anche se la previsione per il prossimo futuro era indiscutibilmente efficace e realistica, ebbi la sensazione (così come avviene oggi per la fantascienza) che più dell’avvertimento contro il pericolo, in questi casi agisca sempre sul lettore la fascinazione del pericolo, del mostro. Fui perciò piuttosto turbata dal fatto che mio Padre2, per nulla amatore di letteratura avveniristica e profetica, e neanche di favole moralistiche, desse tanta importanza a quel libro: in particolare alla profezia sulla progressiva eliminazione dell’umanità dal linguaggio, e al punto di esprimere riflessioni pessimistiche – che non gli avevo mai sentito fare nemmeno durante il fascismo – sulla facilità con cui può venire estirpata la pianta della civiltà, che impiega secoli per ricrescere. Quel ricordo, e con esso l’immagine che si ha in quel libro del popolo come ultima risorsa umana, se pure ridotta allo stato puramente vegetativo (vegetazione che inoltre la civiltà dei consumi si preparava a distruggere quando, dobbiamo dire fortunatamente, è entrata in dissesto), mi lasciarono nel subconscio la certezza che Orwell era un autore il quale non solo non aveva fatto il suo tempo, ma si sarebbe dovuto tenere di riserva per tempi più duri.

Elena Croce
George Orwell in «Settanta», n. 22, marzo 1972

* * *

… Abbiamo tutti il diritto di scansare le cose spiacevoli, e tale diritto può essere l’unica difesa contro il diritto di brontolare. E che Orwell fosse un brontolone non lo si può negare. In questo mondo egli trovò molte cose sgradevoli e volle trasmetterle. In 1984 egli estese queste cose sgradevoli sino all’agonia. Non vi è un mostro in quell’odiosa apocalisse che non esista embrionalmente nel mondo d’oggi… 1984 ha coronato l’opera di Orwell, e si può comprendere come si sia trattato di una corona di spine.

E. M. Forster
George Orwell in Two Cheers for Democracy
Edward Arnold, Londra 1951

* * *

Mentre Wells era essenzialmente interessato a una critica del suo tempo, Zamjàtin allargò la visione del romanzo anti-utopistico usandolo come veicolo per un atto d’accusa verso il futuro. È questo aspetto di Noi che ne pone in risalto il carattere precorritore di due dei meglio conosciuti classici della letteratura inglese moderna: Il nuovo mondo di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell. Scrivendo nel 1930, Huxley doveva indubbiamente a Zamjàtin il concetto fondamentale di una critica del futuro basata sull’estrapolazione di certe tendenze contemporanee. Ma a parte questo ovvio debito, Huxley condivideva con Zamjàtin la preoccupazione per la schiavitù dell’uomo alle esigenze di una società fondata sulla tecnologia (nel caso di Zamjàtin, il suo mondo futuro è un tentativo quasi riuscito di subordinare l’uomo alle leggi della matematica e della tecnica, mentre Huxley vede il principale pencolo per l’umanità in una resa alla logica delle scienze biologiche e genetiche). Ciò che manca in Huxley, comunque, è il senso del potere dell’ideologia: il suo Nuovo mondo è apolitico, mentre per Zamjàtin, che scriveva in una Pietrogrado tutta pervasa dall’ideologia trionfante, la minaccia principale era rappresentata dall’ideologia accomunata al terrore. In effetti, Zamjàtin predisse lo stalinismo. Orwell, che condivideva con Zamjàtin la revulsione per la tirannia ideologica, vide sotto i suoi occhi la realizzazione dello stalinismo e, proiettandolo un po’ avanti nel tempo, predisse la sua evoluzione in termini che lo rendevano spaventosamente evidente anche agli isolani e politicamente compiacenti inglesi. È certo che la nostra attuale coscienza dei due pericoli che minacciano l’umanità civile – la scienza e l’ideologia fini a se stesse – la dobbiamo assai più alla bravura artistica di Huxley e di Orwell che non alle critiche degli uomini politici.

Michael Glenny
Introduction to We di Yevgeny Zamjàtin
Penguin Modern Classics, 1972

* * *

Il suo progetto socialista non è il mondo di 1984, come è stato sostenuto da molti critici antisocialisti. L’Utopia di Orwell, che è colorata dall’ottimismo dell’autore, è troppo permissiva per apparire possibile, troppo idilliaca per avere senso in una società industrializzata. Secondo Orwell, 1984 non raffigura il futuro socialista, ma ciò che avverrà se il socialismo mondiale non trionferà sia sul capitalismo che sul comunismo.

Frederick R. Karl
A Reader’s Guide to the Contemporary English Novel
Thames and Hudson, Londra 1963

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L’Utopia di Platone è più terrificante di quella di 1984 di Orwell, perché Platone auspica che si realizzi quel che Orwell teme possa avvenire.

Arthur Koestler
The Sleepswalkers
Hutchinson, Londra 1959

* * *

Pur essendo estremamente cauto, rispettoso degli altri, conscio della complessità delle ragioni della crisi del nostro tempo, partecipando del tutto delle inibizioni e le crisi del liberale moderno, l’Orwell non aveva paura di avere un carattere: il che, oggi, è cosa quasi introvabile. Era un uomo, in fondo, di “terza forza” , ma privo assolutamente di quella che oggi è la pratica costante e direi la “tematica” della terza forza, il compromesso: 1984 è un libro che non pone termini di mediazione ma anzi, li distrugge e li nega. Indulge se mai nell’amara retorica del martino, non a quella della transazione e del provvisorio.

Geno Pampaloni
Ritratto sentimentale di George Orwell in «Il Ponte», marzo 1951

* * *

L’ultima parola a proposito di 1984 deve essere piuttosto di ringraziamento che di critica: grazie a uno scrittore che tratta problemi del mondo piuttosto che quelli interiori degli individui, e che è capace di parlare con serietà e originalità della natura della realtà e dei terrori del potere.

«The Times Literary Supplement» del 10 giugno 1949

* * *

In altri paesi dell’Europa occidentale, in cui elementi del vecchio ordine avevano collaborato con il fascismo e, quindi, si erano strette nuove alleanze nella Resistenza, erano possibili altre scelte. Ma in Inghilterra la democrazia capitalista sopravvisse mantenendo intatte tutte le sue principali contraddizioni, per cui la pretesa o la speranza che si trattasse di democrazia sociale, o che tale dovesse divenire, durò più a lungo di quanto fosse ragionevole. Tale pretesa o speranza sopravvisse anche dopo le profonde delusioni del 1945-51 e del 1964-70 [l’autore si riferisce a due periodi di governo laburista in Gran Bretagna]. Tuttavia, una simile illusione non è statica. Se l’unico effettivo contrasto era tra “democrazia” e “comunismo”, una specie di accomodamento col capitalismo – con quel capitalismo che “era sul punto di” diventare una democrazia sociale – fu, temporaneamente in un primo tempo, poi abitualmente, concepibile. Avendo compiuto un tale accomodamento e la corrispondente identificazione del “comunismo” quale unica minaccia, divenne ancora più difficile scorgere e ammettere quali azioni l’imperialismo capitalistico fosse ancora capace di compiere: tutto ciò che, dal tempo della morte di Orwell, ha compiuto reiteratamente sia sul piano della repressione che della guerra.

Questo fatto si realizzò a metà degli anni quaranta, e Orwell stesso vi contribuì. Poi, nel suo ultimo romanzo, 1984, egli scartò l’elemento apparentemente positivo di questa illusione – la credenza nell’avvento della democrazia sociale – e tra le mani non gli rimasero che effetti negativi. Per il futuro egli non vedeva che comunismo autoritario senza alternative o forze sociali che lo contrastassero. Il primo titolo per quello che doveva essere 1984, fu L’ultimo uomo in Europa, ed è chiaro come dovesse suonare: esso aveva una sua nuda onestà che rivelava il punto in cui le contraddizioni politiche e l’astrazione e l’isolamento in esse implicite coincidono con la mancanza di qualsiasi identità sociale indipendente nel produrre un terrore genuino.

Raymond Williams
Orwell
Fontana Books, Londra 1971

Note:

1 Sia pure assai rapidamente, le affinità e le dissomiglianze fra le tre anti-utopie di Zamjàtin, Huxley e Orwell sono trattate nel brano dell’Antologia critica del presente volume (n.d.c).
2 Benedetto Croce (n.d.c.)


Bibliografia essenziale

OPERE DI GEORGE ORWELL

Down and Out in Paris and London, Londra 1933; ed. it. Senza un soldo a Parigi e a Londra, Milano 1967. Burmese Days, New York 1934; ed. it. Giorni in Birmania, Milano 1948
A Clergyman’s Daughter, Londra 1935; ed. it. La figlia del reverendo, Milano 1969.
Keep the Aspidistra Flying, Londra 1936; ed. it. Fiorirà l’aspidistra, Milano 1960.
The Road to Wigan Pier: on Industrial England and its Political Future, Londra 1937; ed. it. La strada di Wigan Pier, Milano 1960.
Homage to Catalonia, Londra 1938; ed. it. Omaggio alla Catalogna, Milano 1948.
Coming Up for Air, Londra 1939; ed. it. Una boccata d’aria, Milano 1967.
Inside the Whale (saggi), Londra 1940.
The Lion and the Unicorn: Socialism and the English Genius, Londra 1941.
Animal Farm, Londra 1945; ed. it. La fattoria degli animali, Milano 1947.
Critical Essays, Londra 1946.
The English People (saggio), Londra 1947.
Ninteen Eighty-Four, Londra 1948; ed. it. 1984, Milano 1950.
Shooting an Elephant (saggi), Londra 1950.
Such, Such Were the Joys (autobiografia), Londra 1968.
Esiste una raccolta delle opere di George Orwell, la Uniform Edition (Londra 1948-1960), una selezione di saggi (Selecled Essays, Londra 1957) e una assai ampia raccolta di saggi, di scritti giornalistici e di lettere (The Collected Essays, Journalism and Letters, ed. Sonia Orwell – vedova dello scrittore – e Ian Angus, Londra 1968).

Gli studi più importanti in inglese su George Orwell e la sua opera sono i seguenti:

Enemies of Promise di Cyril Connolly, Londra 1949 (nuova edizione riveduta)
George Orwell di Tom Hopkinson, Londra 1953
Orwell di Edward Thomas, Edimburgo 1953
George Orwell di Laurence Brander, Londra 1954
George Orwell di John Atkins, Londra 1954
A study of George Orwell di Christopher Hollis, Londra 1958
George Orwell – Fugitive from the Camp of Victory di Richard Rees, Londra 1961
The Paradox of George Orwell di Richard Vorhees, Lafayette, Ind., 1961
The Crystal Spirit di George Woodcock, Londra 1967
George Orwell di B. T. Oxley, Londra 1967
The Making of George Orwell di Keith Alldritt, Londra 1969
Orwell di Raymond Williams, Londra 1971
The World of George Orwell a cura di Miriam Gross, Londra 1971
The Unknown Orwell di Peter Stansky e William Abrahams, Londra 1972
The Last Man in Europe: an Essay on George Orwell di Alan Sandison, Londra 1974 George Orwell: The Critical Heritage, a cura di Jeffrey Meyers, Londra 1975
George Orwell, a Collection of Critical Essays, a cura di Raymond Williams, Londra 1975 The Road to 1984 di William Steinhoff, Londra 1975
The Road to Miniluv: George Orwell, The State and God di Christopher Small, Londra 1975
Orwell and the Left di Alex Zwederling, Yale University Press 1975
Orwell: The Transformation di Peter Stansky e William Abrahams Londra 1979
George Orwell: A Life di Bernard Crick, Londra 1980.

Diamo qui di seguito gli estremi di alcuni articoli e saggi di critici italiani apparsi sulla stampa periodica:
George Orwell critico e saggista di Maria Luisa Astaldi, «Ulisse» giugno 1950
Ritratto sentimentale di George Orwell di Genti Pampaloni, «Il Ponte», marzo 1951
George Orwell di Elena Croce, «Settanta», marzo 1972.
Sulla «Fiera Letteraria», nel mese di ottobre del 1968, sono apparsi in lingua italiana gli articoli Questo è George Orwell e Antiquato sì ma fedele alle mie idee di John Gross che contengono numerosissimi interessanti estratti saggistici, libellistici e autobiografici dello scrittore, molti dei quali sono inediti. I due articoli erano apparsi poche settimane prima in originale su «The Observer» (22 e 29 settembre 1968) in occasione della pubblicazione della prima edizione di The Collected Essays, Journalism and Letters.
Si vedano, inoltre, Invito alla lettura di Orwell di Giovanni Zanmarchi, Milano 1975; Utopia e totalitarismo: George Orwell, Maurice Merleau Ponty e la storia della rivoluzione russa da Lemn a Stalin, di Franco Livorsi, Torino 1979; George Orwell, di Stefano Manferlotti, Firenze 1979.

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