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I CANCELLI DEL CIELO: RECENSIONE DI “SEGNO CINEMA”

I cancelli del cielo si aprono sull’inferno. Il film è il crack economico più disastroso di tutti i tempi e gode di un efferato ostracismo critico indigeno

di Linda Bellamore

Nel 1870 James Averill, promettente gio­vane appartenente ad una ricca famiglia dell’Est, si laurea all’Università di Harvard con il suo amico Billy Irvine. James si rende conto dell’utilità sociale di proteggere gli immigranti poveri e sfruttati che arrivano dall’Europa orientale.
All’incirca vent’anni dopo James Averill, ora sceriffo di Johnson County, nel Wyoming, giunge a Casper, città di allevatori di bestiame, dopo una permanenza a St. Louis. Porta con sé una carrozza che vuole regalare per il compleanno alla sua amante Ella Watson, una prostituta. Allo “Stock Growers Association” (il circolo degli alleva­tori) egli rivede Billy, ora infelice e alcolizza­to, ma sempre incapace di tagliare i ponti con la propria classe sociale, e viene a sapere che il capo degli allevatori, Frank Canton, vuole attaccare Johnson County con un esercito di mercenari. Lo scopo è quello di eliminare 125 immigrati, 125 nomi scritti sulla sua lista nera di “ladri e anarchici”.
Ritornando a Sweetwater, la squallida cittadina di frontiera in cui egli è di stanza, James avverte il capo della comunità, John Bridges, e poi si reca da Ella (la quale ha anche una relazione con Nate Champion, un killer proveniente da una famiglia di immigrati, ma al soldo degli allevatori). Preveden­do una guerra, James chiede a Ella di andarsene dal Wyoming. Sulla donna preme anche Nate Champion, affinché non accetti più il bestiame che gli immigrati le offrivano in pagamento. James Averill e il signor Eggleston, presidente della Camera di Com­mercio, chiedono invano aiuto al capitano dell’esercito, che però fa loro vedere una copia della lista dei condannati. Vedendovi il nome di Ella, James accusa Nate Champion, che pretende di non saperne nulla, e quindi porta la donna nella sua capanna, offrendole il matrimonio e una casa. I mercenari di Canton arrivano e catturano Ella; James la libera, ma ciononostante sceglie di andare con Champion. Quest’ultimo, avendo rifiuta­to di lavorare per Canton, viene circondato e ucciso. Dopo molte discussioni, finalmente gli immigrati vanno in massa all’attacco dei mercenari, e ha inizio una vera e propria battaglia che volge a favore degli immigrati solo quando James prende il comando. I mercenari vengono salvati dall’esercito chia­mato in aiuto da Canton.
Nel 1903, ritornato agli agi della giovinez­za, James Averill ricorda l’epilogo: un’imbo­scata in cui Ella e John Bridges furono uccisi e lui ammazzò Canton.

I cancelli del cielo si aprono sull’inferno. Il film è il crack economico più disastroso di tutti i tempi e gode di un efferato ostracismo critico indigeno, Michael Cimino è messo all’indice e linciato professionalmente, la United Artists si svende (ma pare fosse già boccheggiante) alla concorrente MGM, la presentazione dell’opera al Festival l’affossa definitivamente nonostante (o grazie a) le nuove versioni rimontate e raccorciate: le tre ore e quaranta diventano due e mezzo, ma il pollice rimane verso senza pietà. L’edizione che si può avvicinare è quest’ultima, rabber­ciata fino a ridurre alcuni passaggi al limite della plausibilità narrativa e tematica. Cimi­no ha bisogno di tempi lunghi (Il cacciatore superava le tre ore) per adagiare i suoi personaggi in un contesto socio-ambientale che lievita gradualmente verso significati ben precisi. Ma I cancelli del cielo, ultima edizione, è soffocato in un metraggio che, pur considerevole non era il suo. Così la storia procede per sbalzi coatti, i personaggi sono spesso sfasati rispetto agli avvenimenti che attraversano (emblematico in tal senso il personaggio della prostituta-tenutaria Ella, una Huppert mai così scialba), le soluzioni stilistiche non risaltano chiare sino all’evidenza. Il prologo dispone per il verso giusto, con quella corsa trafelata del protagonista verso la cerimonia di fine anno ad Harvard, con il discorso retorico del decano sbertuccia­to da coloro cui è rivolto, con quel ballo-rissa circolare intorno all’albero di tutti i neolau­reati stretti e solidali pur nella diversità dei caratteri. Poi si galoppa a molti anni dopo, quando masse d’immigrati del centro Europa, verso la fine del secolo scorso e a conquista del Far West avvenuta, vivono come coloni affamati senza pietà dai ricchi allevatori che stanno facendo grande l’America. James Averill, sceriffo federale, è mandato ad indagare in uno di questi luoghi di sopraffa­zione, a County Johnson, Wyoming. Ma James Averill, americano di origine anglosas­sone educato ad Harvard, non riuscirà a riportare la giustizia (sì, quella del discorso del decano nel prologo) nonostante l’eroismo profuso nella “battaglia di County Johnson”. Cimino racconta con mezzi cinematografici affidando a colori freddi e a paesaggi plumbei il compito di inserimento dialettico del plot nel vivo del substrato tematico: le minoranze oppresse possono sperare d’integrarsi nella società che le “ospita” solo restando al loro “posto”. L’opera di Cimino è comunque, così ridotta, difficilmente apprezzabile, ma resta il dubbio che i frequenti scarti di tono – siano imputabili ai tagli “misericordiosi” che la congiura (difficilmente spiegabile e sostanzialmente sincera nella sua contemporaneità) critico-pubblico, ha imposto all’autore dell’osannato Cacciatore.

Segno cinema n. 2, dicembre 1981, p. 60

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