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Emilio Lussu: Eroe di un popolo – di Camillo Bellieni

A un mese dalla morte si moltiplicano le iniziative per ricordare la figura di Emilio Lussu. Cogliere l’occasione per presentare un’importante testimonianza: quella di Camillo Bellieni, che di Lussu fu fraterno amico e compagno di lotte. Bellieni, che ha 82 anni è stato l’ideologo del movimento sardista ed ha scritto la storia della Brigata Sassari.

La figura di Emilio Lussu nel ricordo di Camillo Bellieni

A un mese dalla morte si moltiplicano le iniziative per ricordare la figura di Emilio Lussu. Cogliere l’occasione per presentare un’importante testimonianza: quella di Camillo Bellieni, che di Lussu fu fraterno amico e compagno di lotte. Bellieni, che ha 82 anni è stato l’ideologo del movimento sardista ed ha scritto la storia della Brigata Sassari.

Esiste nel mio animo un interno angoscioso dibattito fra il ricordo dell’amico fraterno, con il quale si condivisero le perigliose vicende di una età che fu la nostra maturità, e la consapevolezza dell’uomo di parte, sempre memore dell’apparentemente paradossale asserzione di Gaetano Salvemini, comparsa nel suo periodico «L’Unità» intorno al 1910, che nel nostro Stato, fra industriali ed operai del Settentrione, esiste un silenzioso accordo di interessi, non certo a vantaggio di una ripresa etica ed economica del nostro Meridione, nel suo complesso peninsulare ed insulare: di qui l’esigenza di una intransigente difesa di questi valori di una realtà assai vasta e diffusa e varia, intrinseca a questo appellativo di Meridione. E l’amico fraterno ricorda l’ampio sorriso, e gli occhi scintillanti di malizia e di bontà attraverso gli occhiali, dell’Aiutante Maggiore in seconda del Terzo Battaglione del 151. Fanteria, che lo accolse per primo sul calcareo massiccio a monte del borgo di Fogliano, su cui era attestata la Brigata Sassari alla fine di dicembre del 1915, quando ebbi ad abbandonare le rocciose balze di Ponte di Piava, tanto simili a quelle della Sardegna: in quanto il Comando Supremo aveva disposto che i militari di stirpe sarda di qualunque reggimento dovevano ricondursi ad una brigata rimasta stremata dalle perdite subite, ma che aveva i depositi di reclutamento nelle due città principali dell’isola. Gli ufficiali potevano accettare l’invito a seguirli. Così avvenne l’incontro fra me ed Emilio Lussu che appariva garbato e diplomatico esecutore degli ordini del comando di battaglione; sempre affettuoso e gentile nei miei riguardi; anche quando mi disse in tono un po’ ironico che potevo andare a Cà del Vescovo, nelle plaghe di Aquileia ad occuparmi di bombe e di bombarde, perché l’ultimo arrivato al reggimento e gli altri colleghi pari grado avevano necessità di un po’ di riposo nel ridente villaggio di Campolongo del Friuli, ove si era discesi da qualche giorno in accantonamento. Sì, in fondo era vero che risultavo l’ultimo arrivato, ma me lo disse in un tono così confidenziale, garbato e cordiale, con una punta di ironia che non volli osservare che da tre mesi non mi ero tolto le scarpe, non avendolo permesso le circostanze, ed accolsi l’invito.

L’ASSOCIAZIONE DEI REDUCI

E così per due anni la nostra amicizia fu schietta e sincera, sino a che non mi venne ordinato di lasciare il fronte di Monte Zebio sull’altipiano d’Asiago, per attendere alle faccende anzidette di bombe e bombarde in un poligono di corpo d’armata. E quando poi alla fine del 1918, si costituì una Associazione di reduci dalla trincea, che si diffuse rapidamente in tutta l’isola, si attese l’arrivo di Emilio Lussu da Trieste dove era oramai di stanza il 151. Fanteria, affinché egli prendesse la direzione del Movimento. E quando egli fu congedato si ebbe l’impressione che l’eroe di tante battaglie, vinte per amore dell’isola, potesse diventare il vessillifero della insegna dei Quattro mori, risollevata dai reduci affinché cessasse il perenne dibattito fra isolani asserenti che la Sardegna era dimenticata, rinfacciati dai continentali con il titolo di Sardi Queruli.
Ora sorgeva la parola d’Ordine: «La Sardegna farà da sé». Le elezioni al Parlamento del 1919 diedero una prova della validità delle nostre posizioni di pensiero: Mauro Angioni, Paolo Orano e Pietro Mastino furono eletti deputati alla Camera e nello scorcio del 1920, con le elezioni amministrative provinciali e comunali, il vessillo del Quattro mori sventolò sul Palazzo Provinciale di Sassari, gran parte delle amministrazioni comunali furono conquistate, una buona affermazione si ebbe nella provincia di Cagliari e, se ben ricordo, Emilio Lussu fu eletto consigliere provinciale.
Intanto Francesco Saverio Nitti, che governava il paese con una saggezza non sempre autorevole, così appariva, e che nel 1919 aveva assicurato libere elezioni al Parlamento, senza pressioni dall’alto, fu sostituito da Giovanni Giolitti, che pur avendo ereditato dal predecessore una vasta maggioranza parlamentare, piuttosto assenteista, causa degli incidenti subiti da quest’ultimo, volle sciogliere la Camera dei deputati e premette una pesante mano sulle elezioni agli inizi del 1921, ottenendo per risultato una schiacciante affermazione degli avversari. Gli fu concessa la fiducia con un solo voto di maggioranza e dopo qualche giorno presentò le dimissioni da Presidente del Consiglio.
Furono eletti come rappresentanti del Partito sardo d’Azione Pietro Mastino, Umberto Cao, Paolo Orano ed Emilio Lussu, in un’aspra battaglia, non priva di successivi sintomi di stanchezza, per lo sforzo compiuto. Ed alla Camera dei deputati si ebbero i discorsi di Pietro Mastino dalla parola precisa ed il periodare impeccabile, quello di Umberto Cao di un pensiero profondo di curia secolare, e di tonalità ancestrale, e si attendeva quello di Emilio Lussu, personalità che aveva suscitato interessamento e simpatia negli ambienti intellettuali della Capitale, particolarmente nel gruppo di «Volontà» che aveva convegno a Magnanapoli, nell’ospitale palazzo del conte Lucangelo Bracci, angolo via Publio Mengarini, Achille Battaglia, Vincenzo Tonaca, Novello Papafava, ed altri cordiali compartecipi al gruppo, attendevano quasi con ansia l’esordio dell’oratoria politica di Emilio Lussu già esercitante con fortuna l’attività forense di avvocato. Ed il discorso ebbe successo, nell’impeto ideale, di sostenitore delle concezioni teoriche proprie del Partito sardo d’Azione. Ed era il segno del fascino insito nella personalità di colui che era stato trascinatore d’uomini a vittoriosi assalti, e che ora entusiasmava le folle con impetuosa eloquenza, ravvivata dalla nobiltà del sentire.
Ma vi era incertezza nell’ambiente politico, vennero i giorni duri del crollo delle masse inauadrate nelle affittanze collettive dell’Emilia, passate insieme all’improvviso nelle mani del travolgente squadrismo, in maniera tumultuosa, sicché fu necessario consegnarle ad Edmondo Rossoni, perché non vi era altro sindacalista disponibile ad accudirvi, atto a poterle reggere in quel disorientamento.
Lo sfacelo delle compagini aderenti a Serrati in Umbria e Toscana, conducevano a svolte di eventi. Il 28 ottobre 1922 il Partito Sardo d’Azione si riuniva a congresso a Nuoro e si ebbe la notizia che il vapore postale di Civitavecchia non era giunto in porto nell’isola, avendo sospeso la partenza. Si dichiarò la mobilitazione delle forze del Partito che si metteva a disposizione dei Prefetti locali per il mantenimento dell’ordine pubblico. E faceva già notte quando partimmo insieme, Emilio Lussu ed io, per Macomer in auto, da dove avremmo preso i rispettivi treni, verso Sud e verso Nord. Si giunse alla diramazione stradale di Oniferi, in direzione di Cagliari. Si sostò un istante, ed Emilio Lussu disse: «Scendiamo qui, mettiamo gli uomini a cavallo, mano a mano, ed arriviamo a Cagliari». Non vi era da rispondere altro: «Come tu vuoi». Un istante di meditazione, poi: «Arriviamo a Macomer per informazioni». Era notte fonda quando si giunse all’ufficio postale di Macomer. Era tutto sbarrato, ma traspariva luce, e vi era gente. Ci venne per le mani, in qualsiasi modo, il telegramma ufficiale annunziante la nomina di Benito Mussolini a capo di governo del costituendo Ministero. Una lacrima scorse nel viso incavato di Emilio Lussu, ed in silenzio prendemmo il treno, uno per Sassari, l’altro per Cagliari.
Giunse a Cagliari il generale Gandolfo, e sorse la crisi del Partito. Ma esso si mantenne saldo nelle mani di Luigi Oggiano, Battista Puggioni, Raffaele Angius, mentre Emilio Lussu assumeva le mitiche proporzioni di capo di un popolo. E fu il 1924. Le elezioni diedero al Partito Sardo d’Azione 25.000 voti, salendo così due volte a quoziente, e mandò al Parlamento Pietro Mastino ed Emilio Lussu. Poi si venne al congresso di Macomer nello scorcio del 1925, in cui si stabilì la creazione di un Fronte proletario, come estrema difesa del popolo sardo nella incombente situazione d’estinzione di ogni libertà, ormai profilantesi senza remora alcuna. Ed Emilio Lussu, questo terribile compito lo affrontò con sovrumano rigore, in un ambiente di minacce letali. Infine la tragedia di Cagliari, il soggiorno obbligato a Lipari, l’impresa libertaria di Carlo Rosselli, e la lunga dimora a Parigi del condottiero del popolo sardo.

UN ABBRACCIO PER LA SCISSIONE

Ma in queste circostanze l’abituale sorriso era scomparso dal volto di Emilio Lussu. Fondò con i compagni d’esilio « Giustizia e Libertà ». Gli anni trascorsero, solcando profondamente l’animo dell’eroe di Croce di Piave, tale nei momenti in cui apparve ai soldati sardi come una divinità della stirpe, incolume ed invulnerabile nella tempesta degli obici e delle granate, deflagranti ad ogni istante. Negli anni dell’esilio, seppe dare vigore e volontà di iniziativa ai minatori sardi di Francia accorsi durante il conflitto iberico, alla difesa di Irun, stretta d’assedio dalle forze falangiste, ed essi apparvero come i «dinamiteros», che per oltre dieci giorni con i loro esplosivi di miniera, lanciati in 242 continuazione, impedivano la conquista di quella posizione strategica, nodo ferroviario di comunicazione fra le Province Basche e la Catalogna.
E la resistenza inumana cessò, quando gli intrepidi difensori restarono privi di granate, a loro consegnate in dotazione, come complemento ai loro esplosivi. Trascorsero gli anni dal 1936 al 1939, ed il vessillo indaco giallo amaranto fu avvolto, e passò la frontiera francese, nei valichi dei Monti Pirenei, presso il Rossiglione, che pur appartenendo alla nazione limitanea, ha linguaggio catalano. Erano i primi mesi, appunto del 1939, e dopo l’estate, si ebbe l’inizio del nuovo conflitto mondiale. Ferruccio Parri, amico sempre sincero, e valido nel sorreggere le opere economiche ed assistenziali del Partito Sardo d’Azione, guidò i Volontari della Libertà alla conquista della pianura padana, e poi divenne Presidente del Consiglio, con Emilio Lussu, ministro all’Assistenza sociale, e si ebbero in seguito gravi svolte politiche. In un congresso a Cagliari nella Manifattura Tabacchi, assise del rinnovato Partito Sardo d’Azione, in un intenso dibattito si parlò di un Partito Sardo d’Azione Socialista. La maggioranza dei delegati dalle sezioni del Movimento, allora poderoso, non accolse l’iniziativa, e quando gli altri, con Emilio Lussu in testa, discesero le scale della fabbrica ove si svolgeva il Congresso, mi trovai alla porta deliberatamente, assistendo alla dipartita delle insegne dei Quattro Mori con i bianchi drappi ornati di una bordura a lista rossa. Durante il dibattito che era stato dignitoso, volle dinanzi al congresso abbracciarmi, perché non era in discussione l’antica amicizia. Dopo allora seppi delle sue vicende interiori molto intime, di un uomo che aveva grandemente sofferto, e che nell’animo aveva segni indelebili d’isolamento, e d’anni di triste attesa, e che successivamente si chiuse nel silenzio, sino alla dipartita.

L’Unione Sarda, 4 aprile 1975

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