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MANLIO SCOPIGNO. UNICO, COME QUELLO SCUDETTO

È morto Manlio Scopigno, l'allenatore del grande Cagliari: «filosofo» e profondo conoscitore di calcio
Manlio Scopigno, 1968

fonte: L’UNIONE SARDA, domenica 26 settembre 1993

È morto Manlio Scopigno, l’allenatore del grande Cagliari: «filosofo» e profondo conoscitore di calcio

Il ricordo di Gigi Riva: «Era stato un precursore, adottavamo la difesa a zona, nessuno la faceva in Italia»
Erano micidiali le sue dissacranti battute sul mondo del pallone, ma anche su arte e politica
Così lo ricordano con affetto e commozione i compagni di quella fantastica avventura del 1970

Ci ha lasciati Manlio Scopigno, l’allenatore che ha firmato lo storico scudetto del Cagliari, in quell’in­dimenticabile 1970. Se ne è andato ieri mattina, nell’ospedale di Rieti, dove era ricoverato da un paio di settimane. Gli è stato fatale un aneurisma: da tempo le sue condizioni erano gravi. Aveva 68 anni: era nato a Paularo di Udine nel novembre del 1925. Aveva giocato nel Rieti e nel Napoli prima di finire anzitempo la carriera in seguito a un infortu­nio. Da allenatore, dopo qualche esperienza di po­co conto a Rieti e Ortona, Scopigno si formò alla scuola di Lerici, nel Vicenza, la società che lasciò per trasferirsi in Sardegna nel 1966. La sua avven­tura finì, temporaneamente, nella stagione succes­siva quando fu sostituito da Puricelli. Tornò in rossoblù a furor di popolo nell’anno successivo: vinse lo scudetto e guidò poi il Cagliari per altri due cam­pionati. In seguito allenò Roma e Bologna. Scopi­gno, uno dei grandi dello sport isolano, lascia la moglie Angela e la figlia Francesca Romana.

* * *

Non è vero che era un dissacratore anticonformista, un filosofo del pensiero cinico: in ritiro col Ca­gliari a Madrid per gio­care la partita di coppa dei campioni con l’Atletico, mentre aspettava Gi­gi Riva impegnato con la Nazionale a Vienna, scoppiò in lacrime come un bambino quando gli giunse la notizia che il suo attaccante si era fratturato una gamba. «Come se gli avessero portato via un figlio», ricorda adesso uno che lo conosceva molto be­ne, Augusto Frongia, il medico dello scudetto.
Manlio Scopigno, pe­rò, è passato alla storia del calcio italiano soprattutto per le sue straordinarie battute. La più celebre: «Tutto mi sarei aspettato dalla vita tranne che vedere Niccolai in mondovisione». Era il 1970, l’Italia era in Messico dove avrebbe conquistato il secondo posto ai campionati del mondo: di quella squa­dra faceva parte anche lo stopper rossoblù, uno dei tanti (con Riva, Albertosi, Domenghini, Ce­ra e Gori) del Cagliari campione d’Italia. Scopi­gno, davanti alla tv, non rinunciò alla battuta bersagliando alla sua maniera il difensore centrale. Che aveva al­trettanto ironicamente applaudito pochi mesi prima, a Torino, quan­do, pareggiando per 2-2 con la Juventus, il Ca­gliari vinse di fatto lo scudetto. Ricorda Maria­no Delogu, allora consigliere rossoblù: «L’episo­dio me lo raccontò Boniperti, che era seduto in tribuna al fianco di Sco­pigno, squalificato. Quando Niccolai segnò l’autogol che portò in vantaggio la Juve, Sco­pigno si alzò in piedi a battere le mani, tra lo stupore generale. E a chi gli chiedeva se fosse diventato pazzo rispon­deva che «un gol così bello non lo aveva mai visto: degno di un cen­travanti di razza».
Ne aveva, per la veri­tà, combinate di peggio­ri. Piccole schegge che riaffiorano da un passato dove vittoria e diver­timento si sono sempre perfettamente miscelati. Una in particolare, che gli era costata la panchi­na nell’estate del 1967. Durante una tournée in Usa fece pipì in un vaso (di fiori, non da notte) dell’ambasciata italiana: «Avevo bevuto un po’ troppo, non ce la facevo a trattenermi», amava raccontare divertito Sco­pigno.
Che era un tipo origi­nale, fuori dagli schemi, «unico», secondo l’ex di­rettore dell’Unione Sar­da Fabio Maria Crivelli. Una volta, a Bologna, Scopigno aveva la neces­sità di far allenare la squadra, ma il campo era lontano. Non ci pen­sò due volte: disse ai ra­gazzi di correre lungo i corridoi dell’hotel. E lui, comodamente seduto su una poltrona, dava le di­sposizioni. Se il tempo era buono la squadra si allenava in giardino: con Scopigno alla fine­stra.
Prendeva il calcio alle­gramente. «Ma», ram­menta Crivelli, «era un uomo dai mille interessi, soprattutto culturali. Ed era, soprattutto, un uomo indipendente». Se doveva dire qualcosa non la mandava a dire. Come a quel famoso guardalinee di Palermo-Cagliari, coperto di in­sulti a fine gara. Scopi­gno fu squalificato per nove settimane. Ricorda Delogu: «Eravamo negli spogliatoi e lui continua­va a parlare male, sem­pre peggio, di quel guardalinee, che era lì a due passi. Io gli facevo cen­no con gli occhi di quel­la scomoda presenza, e lui continuava imperter­rito, consapevole del fat­to che il guardalinee sta­va ascoltando».
E, proprio a Palermo, Scopigno ne aveva com­binata un’altra delle sue: la notte prima si era attardato, come era solito fare, a chiacchie­rare (ma non di calcio) con chiunque stesse ad ascoltarlo. Il giorno do­po andarono in camera sua a svegliarlo. Invano: il letto era intonso, di Scopigno nessuna trac­cia. Dopo lunghe e affannose ricerche fu tro­vato in un’altra stanza: il numero della camera giusto, Scopigno aveva semplicemente sbagliato piano.
Erano anni d’oro. Gigi Riva non aveva prezzo. Il Cagliari era la squa­dra simpatia. «Ma non solo», ricorda il più for­te attaccante di sempre del calcio italiano, forse mondiale: «Era stato lui, Scopigno, a farci fare il definitivo salto di quali­tà. Aveva un’aria disincantata, sembrava un dis­sacratore ma capiva di calcio e di calciatori co­me pochi. Noi, per esem­pio, facevamo la zona quando in Italia non ci pensava nessuno. Scopi­gno è uno che ha precorso i tempi».
Andrea Arrica, un al­tro dei grandi protagoni­sti dello scudetto, era stato forse uno degli ultimi a vederlo. «Un paio di mesi fa: eravamo an­dati a cena assieme. Eravamo amici fraterni, con lui ho diviso il pe­riodo più bello della mia vita. E lui ha dato tanto. A tutti: a me, al Caglia­ri, allo sport italiano». «Sdrammatizzava tutto», ricorda Crivelli, «non amava i ritiri, non amava parlare di calcio. Con lui ho diviso lunghe chiacchierate, tra politi­ca e arte. Era un allena­tore per caso: il calcio gli dava da vivere, ma lui non si nutriva solo di calcio».
Ma di calcio ne capi­va. Eccome! Ricorda Do­menico Duri, il fedelissimo massaggiatore rossoblù, tuttora sulla brec­cia, che era sbarcato in Sardegna proprio assie­me a Scopigno. «In pan­china leggeva le partite come pochi altri tecnici. In due minuti capiva tutto. E sapeva anche usare molto bene la psi­cologia. Una volta, per esempio, diede ordine a Martiradonna di marca­re Rivera. Martiradonna manifestò un certo disa­gio, forse un pizzico di paura. E si giustificò di­cendo che gli faceva male una gamba. Quale?, gli chiese Scopigno. La destra, rispose Martira­donna. E tu, allora, re­plicò l’allenatore, pic­chialo con la sinistra!».
Storie vere, non è let­teratura: come quella volta in cui, a notte fon­da, alla vigilia di una partita molto importan­te, Scopigno fece irruzio­ne in una stanza imbe­vuta di fumi e alcool do­ve quattro rossoblù sta­vano giocando a poker. L’ambiente si raggelò, i giocatori erano stati pre­si con le mani nel sacco. Scopigno, ancora una volta, andò controcor­rente: impose a uno di quei quattro di alzarsi. «Tu», disse, «levati dai piedi». Prese il suo po­sto: «Faccio carte io, ri­lancio libero». Chissà chi vinse a poker quella notte: certo è che il Cagliari, quel Cagliari, il giorno dopo diede spettacolo, come sempre. Nel segno di Scopigno.

Nando Mura

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